(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di Cassazione. Sezione lavoro, Ordinanza 12 novembre 2024, n. 29157.
In tema di infortuni sul lavoro, quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell’evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 1294 cod. civ. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire
“Si riconosce la responsabilità del committente sul presupposto dell’obbligo, a carico del committente-datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori ad altre imprese, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, nonché di cooperare nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata, nell’ambito dell’intero ciclo produttivo”.
Lavoro. Domanda risarcimento danno biologico e morale. Iure herediatario. Eredi dipendente. Decesso per mesotelioma pleurico. Esposizione amianto sul luogo di lavoro. Prova ingerenza dell’appaltante nell’organizzazione del lavoro. Responsabilità committente. Accoglimento.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Rilevato che
1. Con sentenza n. 348/2022, del 22 maggio 2022, la Corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, giudicando sulla domanda di risarcimento del danno biologico e morale promosso, iure herediatario, dagli eredi del defunto M.C., dipendente della S. S.p.A., deceduto per mesotelioma pleurico causato dall’esposizione all’amianto sul luogo di lavoro, ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto del 8.6.2017.
Il giudice di primo grado, nell’accertare il fatto, aveva condannato al risarcimento la sola S. S.p.A., rigettando la domanda risarcitoria verso l’appaltante F. S.p.A., poiché non era stata fornita la prova dell’ingerenza dell’appaltante nella organizzazione del lavoro della suddetta S.
2. Avverso la decisione di secondo grado gli eredi hanno presentato ricorso per Cassazione affidato ad un unico articolato motivo cui ha resistito con controricorso F.
3. Le parti hanno depositato memorie.
4. Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Considerato che
1. Con un unico articolato motivo i ricorrenti si dolgono della violazione di legge (art. 2087 c.c., 2359 c.c. e 115 c.p.c.) in cui sarebbe incorsa la sentenza appellata, poiché avrebbe errato nell’interpretazione dell’obbligo di protezione della salute e sicurezza dei lavoratori da parte del datore di lavoro e del committente, ignorando che Ilva (in seguito a diverse vicende societarie, oggi F.) aveva il controllo dello stabilimento di Taranto, poiché aveva attribuito l’appalto ad una società, S., della quale possedeva tuttavia l’intero capitale sociale.
Di tale ultima circostanza, esplicitamente dedotta in sede di appello, anche perché scoperta successivamente al giudizio di primo grado, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto, ai fini della attribuzione della responsabilità al committente, come pure non avrebbe valorizzato prove documentali, prodotte in appello, che avrebbero dimostrato il pieno controllo di F. sul contesto lavorativo, come il “Curriculum professionale” di M.C., documento rilasciato appunto dalla committente F. e non da S.
2. Il ricorso è fondato, sotto il profilo della violazione dell’art. 2087 c.c.
La corte territoriale non si è confrontata con la giurisprudenza di questa corte (Cass. n. 5419/19; Cass. n. 798/17) che ha chiarito come il committente abbia un debito di sicurezza sia verso i propri dipendenti sia verso i dipendenti degli appaltatori, principio tanto più valido quando si discute di violazione delle norme sull’igiene del lavoro nello stabilimento del committente.
3. Nel caso dello stabilimento siderurgico di Taranto, oggetto di ampio contenzioso analogo a quello in esame, il controllo dell’ambiente di lavoro da parte di F. (proprietaria e custode dei luoghi di lavoro, nonché nella titolarità dell’intero patrimonio sociale della appaltatrice S.) imponeva alla medesima di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, e tali misure comprendono: il fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, il predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza degli impianti e il cooperare con l’appaltatore nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata.
4. D’altro canto, l’insegnamento in materia di questa Corte riconosce la responsabilità del committente sul presupposto dell’obbligo, a carico del committente-datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori ad altre imprese, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, nonché di cooperare nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata, nell’ambito dell’intero ciclo produttivo (Cass. 24 giugno 2020, n. 12465).
E, sussiste l’obbligo del committente, che mantenga la disponibilità dell’ambiente di lavoro, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, consistenti nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori sulle situazioni di rischio, nel predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata (Cass. 25 febbraio 2019, n. 5419, con richiamo di precedenti conformi in motivazione, tra i quali: Cass. n. 19494 del 2009; Cass. n. 21694 del 2011; Cass. n. 798 del 2017).
5. Tali principi si fondano su quello più generale, secondo il quale “in tema di infortuni sul lavoro, quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell’evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 1294 cod. civ. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire (Cass. n. 8372 del 2014)” (Cass. 18 ottobre 2019, n. 26614, p.to 9.1 in motivazione).
6. Tali generali principi devono essere affermati anche con riguardo al periodo precedente all’entrata in vigore del d.lgs. 626/1994, poiché promanano dalla generale norma dell’art. 2087 c.c., norma di “chiusura” in materia di responsabilità per gli infortuni e le malattie professionali, proprio per il suo importante ruolo di integrazione della protezione del lavoratore e di tutela della salute sul luogo di lavoro (v. ex multis Sez. L – , Ordinanza n. 37019 del 16/12/2022, Sez. L, Sentenza n. 3291 del 19/02/2016, Sez. L, Sentenza n. 20142 del 23/09/2010, Sez. L, Sentenza n. 12138 del 19/08/2003).
7. Pertanto, nel caso in esame, non basta ad escludere la responsabilità della società committente la circostanza che essa non si sia ingerita nell’esecuzione o nell’organizzazione dell’attività appaltata, perché la malattia per cui è causa si assume essere derivata da “noxa” non già derivanti dal particolare tipo di esecuzione od organizzazione dell’attività appaltata, ma presenti nel luogo di lavoro, cioè nello stabilimento, rimasto nella disponibilità della committente F.
8. La gravata sentenza deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Bari, che procederà ad un nuovo esame tenendo conto di quanto sopra esposto e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso […]”.;
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