(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19759 del 17 Luglio 2024, ha affermato che per inquadrare correttamente la società da un punto di vista previdenziale è necessario individuare, in maniera certa ed oggettiva, l’attività posta in essere.
La Corte di Cassazione. intervenendo in tema di inquadramento previdenziale, ha ribadito il principio secondo cui “… l’inquadramento ai fini contributivi di cui all’art. 1 d.l. n. 338/1989, cit., per come autenticamente interpretato dall’art. 2, comma 25, l. n. 549/1995, va correlato all’attività effettivamente svolta dall’impresa, ex art. 2070 c.c., dovendo necessariamente farsi ricorso, in ragione del rilievo pubblicistico della materia, ad un criterio oggettivo e predeterminato che non lasci spazio a scelte discrezionali o a processi di autodeterminazione normativa, che restano viceversa possibili, stante il principio di libertà sindacale e la non operatività dell’art. 2070 cit. nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, solo in relazione al trattamento economico e normativo dei lavoratori, sia pure nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali garantiti dall’art. 36 Cost. (così già Cass. n. 801 del 2012, in motivazione, sulla scorta di Cass. S.U. n. 11199 del 2002, nonché da ult. Cass. n. 623 del 2024, sempre in motivazione); …”.
La vicenda riguardava una società a responsabilità limitata cui era stato notificato, da parte dell’INPS, un avviso di addebito, a seguito dell’esito di un accertamento ispettivo con cui veniva ritenuto che l’attività da essa svolta avesse natura commerciale, con cui veniva richiesto alla società le differenze contributive rivenienti dall’applicazione del CCNL per i dipendenti delle imprese del terziario, in luogo di quello applicato dall’impresa per i dipendenti di studi professionali.
La società impugnava tale atto. Il Tribunale adito rigettava l’opposizione.
Avverso la decisione di primo grado, la società proponeva appello. La Corte territoriale confermava la sentenza impugnata.
Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura.
I giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso. Nel confermare la sentenza impugnata hanno precisato che l’accertamento in fatto deve considerarsi intangibile in sede di legittimità anche in ragione della previsione dell’art. 348-ter ult. co. c.p.c..
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