(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di Cassazione. Ordinanza 7 ottobre 2024, n. 26121
Accertamento del diritto all’inquadramento superiore – Differenze retributive – Supervisore di turno – Ufficio turni per dettare le linee generali – Procedimento logico-giuridico – Apprezzamenti di merito – Rigetto.
“[…] Secondo il consolidato orientamento (da ultimo, Cass. n. 22198 del 2024), oramai stratificato nella giurisprudenza di legittimità (tra molte: Cass n. 30580 del 2019; Cass. n. 10961 del 2018; Cass. n. 21329 del 2017; Cass. n. 39 del 2016; Cass. n. 24544 del 2015; Cass. n. 18040 del 2015), secondo il quale l’accertamento del diritto all’inquadramento superiore avviene seguendo un procedimento logico-giuridico articolato in tre fasi successive: a)occorre accertare in fatto le attività concretamente svolte dal lavoratore, b)individuare poi la qualifica rivendicata e le mansioni alla stessa riconducibili secondo la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva ed infine verificare che le prime corrispondano a queste ultime; in particolare, si è precisato che, ai fini della determinazione dell’inquadramento spettante al lavoratore alla stregua delle qualifiche previste dalla disciplina collettiva di diritto comune, al giudice del merito spetta dapprima identificare le qualifiche o categorie, interpretando le disposizioni collettive secondo i criteri di cui agli artt. 1362 ss. c.c.; c) deve poi accertare le mansioni di fatto esercitate e deve infine confrontare le categorie o qualifiche così identificate con le mansioni svolte in concreto; mentre la prima operazione logica può essere censurata in sede di legittimità come violazione di legge per falsa o errata applicazione dei canoni ermeneutici anzidetti — ovvero, nel caso di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, successivamente alla modifica dell’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c., operata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, anche per violazione o falsa applicazione di detta disciplina collettiva (ab imo Cass. n. 6335 del 2014) — le altre due operazioni logiche attengono ad apprezzamenti di fatto (ex pluribus, Cass. n. 17896 del 2007; Cass. n. 26233 del 2008; Cass. n. 26234 del 2008); si è poi evidenziato che l’osservanza del cd. criterio “trifasico” non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio (tra molte: Cass. n. 18943 del 2016) […]”.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Rilevato che
1. i ricorrenti in epigrafe convenivano, innanzi al Tribunale di Pisa, la T.A. spa, società di cui erano dipendenti, asserendo di avere svolto, oltre alle ordinarie mansioni di “supervisori di varco”, anche, alternandosi tra loro, mansioni di “supervisori di turno”, con competenze di gestione del personale; sostenevano che tali ultime mansioni erano inquadrabili nel superiore livello 2B del CCNL applicato in azienda, situazione protratta “sino al maggio 2009 allorquando erano state istituite le figure dei T.L.S., inquadrati appunto quali 2B e a cui le loro mansioni (di supervisore di turno) erano state trasferite”; per tali ragioni, avevano rivendicato il livello B2 e le relative differenze retributive;
2. la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza qui impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande dei lavoratori:
in estrema sintesi, la Corte ha “acclarato che, nella funzione di supervisore di turno, vi era sempre un ufficio turni che dettava le linee generali; in ogni caso, l’autonomia e discrezionalità che tale figura aveva nel gestire il turno non era comunque tale da implicare quella discrezionalità e decisionalità propria del livello 2B in relazione a mansioni di alto contenuto professionale”;
“in sostanza – secondo la Corte – l’attività compiuta dal supervisore di varco nell’esercizio di supervisione del turno era comunque riconducibile al 4° livello CCNL (comprendente appunto, il controllo e supervisione del varco presieduto, delle attività, delle risorse e delle attrezzature ad esso collegate; la verifica della corretta applicazione delle procedure operative del Sistema digestione integrato e degli standard di qualità e sicurezza; l’emissione pass giornalieri urgenti per l’accesso alle aree sterili, per mezzi e persone fisiche negli orari di chiusura dell’apposito ufficio competente; supporto e coordinamento con l’ufficio back office nelle attività di copertura dei turni), trattandosi da un punto di vista qualitativo di identica tipologia di attività, con l’unica differenza che la mansione veniva espletata su più varchi”;
infine, la Corte ha aggiunto: “in ogni caso, gli odierni appellati (a sostegno della loro tesi) non avrebbero dato contezza della prevalenza dell’una mansione (supervisore di turno) rispetto a quella di loro ordinario svolgimento, in termini di prevalenza quantitativa, ovverosia di tempo dedicato all’una piuttosto che all’altra”;
3. avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i soccombenti affidandosi ad un unico articolato motivo; ha resistito con controricorso la società; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1. l’unico motivo di ricorso denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e degli artt. 10 CCNL del 1988, 11 CCNL 1992, 24 CCNL del 2002, all. 1 CCNL 2005”; si critica diffusamente la sentenza impugnata per avere negato il rivendicato livello superiore di inquadramento in ragione delle mansioni di fatto svolte dai ricorrenti;
2. il motivo non può trovare accoglimento;
2.1. i giudici del merito non hanno affatto disatteso il consolidato orientamento (da ultimo, Cass. n. 22198 del 2024), oramai stratificato nella giurisprudenza di legittimità (tra molte: Cass n. 30580 del 2019; Cass. n. 10961 del 2018; Cass. n. 21329 del 2017; Cass. n. 39 del 2016; Cass. n. 24544 del 2015; Cass. n. 18040 del 2015), secondo il quale l’accertamento del diritto all’inquadramento superiore avviene seguendo un procedimento logico-giuridico articolato in tre fasi successive: occorre accertare in fatto le attività concretamente svolte dal lavoratore, individuare poi la qualifica rivendicata e le mansioni alla stessa riconducibili secondo la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva ed infine verificare che le prime corrispondano a queste ultime; in particolare, si è precisato che, ai fini della determinazione dell’inquadramento spettante al lavoratore alla stregua delle qualifiche previste dalla disciplina collettiva di diritto comune, al giudice del merito spetta dapprima identificare le qualifiche o categorie, interpretando le disposizioni collettive secondo i criteri di cui agli artt. 1362 ss. c.c.;
deve poi accertare le mansioni di fatto esercitate e deve infine confrontare le categorie o qualifiche così identificate con le mansioni svolte in concreto; mentre la prima operazione logica può essere censurata in sede di legittimità come violazione di legge per falsa o errata applicazione dei canoni ermeneutici anzidetti — ovvero, nel caso di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, successivamente alla modifica dell’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c., operata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, anche per violazione o falsa applicazione di detta disciplina collettiva (ab imo Cass. n. 6335 del 2014) — le altre due operazioni logiche attengono ad apprezzamenti di fatto (ex pluribus, Cass. n. 17896 del 2007; Cass. n. 26233 del 2008; Cass. n. 26234 del 2008); si è poi evidenziato che l’osservanza del cd. criterio “trifasico” non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio (tra molte: Cass. n. 18943 del 2016);
2.2. ciò posto, la sentenza impugnata ha certamente operato secondo la sequenza procedimentale stabilita dall’orientamento richiamato; invece, i ricorrenti, più che evidenziare realmente un errore di interpretazione che sarebbe stato commesso nell’ascrizione di significato alle declaratorie contrattuali, nella sostanza criticano apprezzamenti di merito – compiuti dai giudici ai quali il merito compete – in ordine al fatto che gli istanti svolgessero o meno “mansioni di alto contenuto professionale”, quale profilo qualitativo della prestazione caratteristico del superiore livello rivendicato; si tratta chiaramente di apprezzamenti di merito, peraltro inammissibilmente contestati nella censura con riferimento alla valutazione dell’istruttoria orale, i quali tengono conto delle circostanze del caso concreto e che, evidentemente, non possono essere oggetto di diversa valutazione in questa sede di legittimità;
3. conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese liquidate come da dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese [..]”.
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