Installazione di telecamere senza accordo con le OO.SS.: condotta antisindacale.
Cassazione, sentenza 4 Novembre 2021, n. 31778.Installazione di telecamere senza accordo con le OO.SS., controllo dei dipendenti e condotta antisindacale. Cassazione, sentenza 4 novembre 2021, n. 31778.
Nota di Luigi Verde
1.La Corte di Cassazione, con sentenza n. 31778, del 4 novembre 2021, ha ribadito che, in tema di impianti audiovisivi, qualora l’installazione determini la possibilità di controllare a distanza, anche solo potenzialmente, la prestazione dei lavoratori, essa non può avvenire senza l’accordo con le organizzazioni sindacali rappresentative di questi ultimi. La Corte, nel confermare la condanna di un sindaco per avere predisposto apparecchiature dirette a riprendere gli esami per la patente di guida, hanno ritenuto che a nulla giova sostenere che l’iniziativa costituirebbe un legittimo controllo difensivo imposto dalla necessità di assicurare pubblicità alle prove, ex art. 121 del Codice della Strada, poiché i “controlli difensivi” destinati a restare al di fuori delle regole vincolistiche sono quelli estranei alle esigenze organizzative e produttive, strettamente intese.
2.Art. 4, Legge n. 300/1970.
Impianti audiovisivi. (1)
1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. (2).
2.La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
3.Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
(1) Articolo così sostituito dall’art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 151/2015.
(2) Comma così modificato dall’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n.185/2016.
3. Nella sua formulazione originaria l’art. 4, della legge n. 300/1970 (nota come Statuto dei lavoratori) sanciva un espresso divieto dell’uso “di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”. Al fine di salvaguardare e proteggere la dignità della persona del lavoratore era dunque espressamente vietata l’utilizzazione di strumenti tecnologici che avessero mera finalità di controllo dell’esecuzione della prestazione di lavoro dei dipendenti. Tuttavia, era consentita l’installazione di strumenti dai quali potesse derivare anche indirettamente un controllo a distanza solo a fronte di “esigenze organizzative e produttive” e/o legate alla “sicurezza sul lavoro” e solo previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali (in mancanza di accordo provvedeva l’Ispettorato del lavoro dettando le modalità per l’uso degli impianti).
Restavano fuori dall’ambito di applicazione della norma i “controlli difensivi”, categoria di fonte giurisprudenziale che ricomprendeva i controlli aventi ad oggetto non l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal contratto, ma comportamenti illeciti dei lavoratori e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale.
Con le modifiche introdotte sotto il Governo Renzi, il divieto generale previsto al comma 1 dell’art. 4 St. Lav. è scomparso. Resta fermo che gli impianti e gli strumenti audiovisivi dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati solo per determinate finalità (accanto alle esigenze organizzative e produttive e alla sicurezza sul lavoro entra in scena l’esigenza di tutela del patrimonio aziendale che sembra aver comportato il superamento della giurisprudenza sui controlli difensivi, e possono essere installati solo previo accordo collettivo stipulato con le RSU o le RSA ovvero con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione o in più regioni. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti possono essere installati previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
La novità di maggior rilievo è contenuta nel comma 2 dell’art. 4, il quale prevede che le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano “agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Quindi, in presenza di “strumenti di lavoro”, che per il loro funzionamento potrebbero consentire un controllo a distanza dei dipendenti, non opera il filtro dell’accordo con le rappresentanze sindacali o dell’autorizzazione dell’INL.
Il novellato art. 4 consente infine un utilizzo delle informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs. 196/2003”. In sostanza, la novella del 2014 ha introdotto un regime diverso a seconda del tipo di strumento utilizzato prevedendo che: a) er gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti che consentono il controllo a distanza del lavoratore permane il divieto di installazione salvo esigenze specifiche e l’accordo sindacale/l’autorizzazione dell’INL; b) per gli strumenti di lavoro e per gli strumenti di registrazione di accessi e presenze non opera alcun divieto e alcun obbligo di accordo sindacale o di autorizzazione dell’INL; c) sia per i primi che per i secondi il datore ha l’obbligo di fornire ai dipendenti adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nonché l’obbligo di rispettare la normativa sulla privacy nella raccolta e nel trattamento dei dati.
4.Corte di Cassazione, sentenza del 4 Novembre 2021, n. 31778,
“[…] Fatti di causa:
1. La Corte d’Appello di Roma, accogliendo il gravame proposto dall’U.S.B. ha ritenuto l’antisindacalità della installazione, senza previo accordo con le organizzazioni sindacali, da parte del Ministero delle Infrastrutture, di apparecchiature audiovisive di ripresa delle attività
di esame per il conseguimento della patente di guida.
La Corte territoriale riteneva che la possibilità così determinata di controllare a distanza, anche solo potenzialmente, la prestazione di lavoro degli addetti allo svolgimento delle predette prove di esame imponesse l’osservanza delle procedure di cui all’art 4, co. 2, L. 300/1970, nel caso di specie non rispettate.
2.La sentenza è stata impugnata dal Ministero con due motivi, resistiti da controricorso di U.S.B.. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ai sensi dell’art. 23, co. 8-bis, d.l. 137/2020, conv. con mod. in L. 176/2020, con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione.
1.Con il primo motivo di ricorso il Ministero denuncia la violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, anche in relazione all’art. 127, co. 7, del Codice della Strada, sostenendo che quello realizzato costituirebbe un legittimo controllo “difensivo”, imposto dalla pubblicità da assicurare ai sensi dell’art. 121 del Codice della Strada e finalizzato ad assicurare la tutela dì un bene estraneo al rapporto di lavoro, ovverosia la trasparenza delle operazioni e l’autenticità delle risposte ai test rese dai candidati;
2.Il secondo motivo richiama la violazione delle stesse norme di cui sopra, sostenendo che la “pubblicizzazione” delle procedure e il loro “controllo” sono concetti distinti, in quanto diretta la prima a manifestare all’esterno l’evento che si sta svolgendo ed il secondo, attraverso una relazione tra datore dì lavoro o suoi ausiliari ed il lavoratore, a verificare l’operato del dipendente, senza contare che, essendo percepibili da tutti le modalità di attivazione dell’impianto all’inizio delle prove, sarebbe da escludere qualsivoglia natura “occulta” del controllo consequenzialmente svolto.
3.I motivi vanno esaminati congiuntamente, riguardando essi questioni tra loro strettamente connesse, e sono da ritenere infondati.
4.L’art. 4 L. 300/1970, nella sua formulazione originaria ed applicabile ratione temporis, prevede, al primo comma, il divieto di utilizzazione di «impianti audiovisivi e di altre apparecchiature» per il «controllo a distanza dell’attività dei lavoratori» ed ammette, al secondo comma, l’installazione di impianti ed apparecchiature rese necessarie da «esigenze organizzative e produttive ovvero della sicurezza del lavoro», allorquando da esse derivi «anche la possibilità» di un controllo a distanza dell’attività del lavoratore, ma solo previo accordo sindacale o, in caso di mancato accordo, previa disposizione da parte delle Direzioni territoriali del lavoro.
Nell’attuale formulazione, introdotta successivamente ai fatti di causa e qui non applicabile ma utile a fini interpretativi, i due primi commi del precedente testo vengono unificati, con l’aggiunta, tra le esigenze autorizzabili, di quelle volte alla «tutela del patrimonio»; il primo comma originario non è in sé riprodotto, ma la nuova formulazione, facendo riferimento all’autorizzabilità di apparecchiature dalle quali «derivi anche la possibilità di controllo a distanza», rende chiaro che il fine di controllo a distanza dell’attività non è mai sufficiente a legittimare, da solo (controllo diretto), il controllo sull’attività lavorativa, analogamente a quanto prevedeva la formulazione originaria dell’art. 4, mentre lo è, ferma l’autorizzazione, quale possibilità conseguente ad altri fini (controllo indiretto). E’ stata poi introdotta l’espressa previsione di esclusione da limitazione dell’installazione di «strumenti
utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa» (v. computer aziendali etc.) e degli agli «strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze» (nuovo comma 2), oltre al condizionamento dell’utilizzazione delle informazioni provenienti da ogni installazione ad una «adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196» (nuovo comma 3).
5.La giurisprudenza di questa S.C. ha talora identificato ipotesi nelle quali la “possibilità” di controllo a distanza (di cui all’art. 4, co. 2, dell’originario testo) non è stata ritenuta tale da integrare la necessità di previe autorizzazioni.
Non è semplice l’individuazione di un lineare percorso interpretativo cui ancorare queste ultime ipotesi, per il fatto che la “possibilità” di controllo di cui al citato secondo comma è fattispecie logicamente e lessicalmente ampissima.
In proposito sembra inevitabile muovere dalla ratio che ispira la norma e che chiaramente, ove letta in controluce rispetto alla possibilità incontroversa di controllo “umano” della prestazione, anche mediante ausiliari (Cass. 9 ottobre 2020, n. 21888; Cass. 12 giugno 2002,
n. 8388), sta ad impedire (comma 1) o governare (comma 2) l’utilizzazione di mezzi elettronici o meccanici («apparecchiature») e ciò in quanto la prestazione del lavoro personale deve mantenere margini di autonomia potenzialmente destinati a scomparire, in
violazione della dignità stessa del prestatore, se il datore sia posto in grado di analizzare, con modalità diverse dal diretto e contestuale contatto personale, ogni singolo comportamento tenuto nell’ambito dell’attività lavorativa.
D’altra parte, l’ampiezza della “possibilità” di controllo di cui al secondo comma dell’originario art. 4 rende il requisito inidoneo a delimitare l’ambito dei controlli che restano al dì fuori dei vincoli normativi, riguardando anzi esso, proprio per tale ampiezza terminologica, anche quei mezzi, come sono le riprese video dei nostri tempi, che anche solo consentono di rivedere a distanza di tempo quanto mano a mano visualizzato eo captato.
A delimitare l’ambito della norma sta dunque piuttosto, come del resto sembra affermare anche il Pubblico Ministero nella propria memoria finale, l’interpretazione rigorosa d ei casi in cui i controlli sono soggetti a disciplina vincolistica.
Di ciò si ha in qualche misura riscontro anche prendendo in considerazione la norma come ora novellata, ove, a fronte della esclusione di tutele nei casi in cui siano gli stessi macchinari in uso al lavoratore a lasciare traccia dell’attività svolta o nei casi di rilevazione delle presenze, per ampliare invece le garanzie ai casi di controlli c.d. difensivi riguardanti
il patrimonio aziendale, si è appunto agito inserendo l’ipotesi tra le esigenze che legittimano, ma previa concertazione, le installazioni di apparecchiature di controllo.
5.1.Muovendo in tale prospettiva si rileva che l’art. 4, co.2, nella versione qui da applicare, ha riguardo ai controlli indirettamente possibili in ragione di strumenti richiesti da «esigenze
organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro».
I “controlli difensivi” destinati a restare al di fuori delle regole vincolistiche sono dunque quelli estranei a quelle esigenze, strettamente intese, tra cui rientrano certamente i controlli
necessari ad assicurare tutela all’immagine del datore di lavoro (v. Cass. 10 novembre 2017, n. 26682) o del suo patrimonio (Cass. 8 novembre 2016, n. 22662, tra l’altro questi ultimi ora attratti, come detto, nel regime autorizzatorio dal nuovo testo della norma) e che del tutto occasionalmente ed imprevedibilmente, secondo un giudizio di ragionevolezza ex ante, intercettino comportamenti del lavoratore, rilevanti essenzialmente in quanto illeciti, quasi sempre contrattualmente rilevanti o comunque anche di portata extracontrattuale.
6.Ciò posto, è indubbio che l’assicurazione di pubblicità alle prove di esame per il conseguimento della patente dì guida rientri tra le «esigenze organizzative e produttive», in questo caso imposte per legge dal Codice della Strada e discrezionalmente attuate dal Ministero attraverso il sistema di video trasmissione all’esterno.
Nessun rilievo ha del resto il fatto -non contemplato dalla norma- in ordine alla portata “non occulta” o non ignota ai lavoratori del mezzo di controllo (Cass. 6 marzo 1986, n. 1490), del resto destinata a divenire sostanzialmente la regola, ferma restando la liceità solo previa autorizzazione, nel sistema quale ora novellato (art. 4, co. 3).
Così come irrilevante, proprio per l’ampiezza della previsione di “possibilità” di controllo, è che lo scopo sia quello di assicurare “pubblicità” alle sedute di esame, perché tale pubblicità, se consente di verificare eventuali comportamenti indebiti dei candidati, certamente consente anche di assicurare controllo sui comportamenti più o meno scorretti degli esaminatori, e tanto basta.
7.Il ricorso va dunque disatteso e le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge” […].
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