(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
1.Con la sentenza AT ed altri (23 novembre 2023, Ricorso n. 47287/17), di cui pubblichiamo di seguito ampie parti del testo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per: a) violazione dell’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito : “la Convenzione”) (condizioni disumane e degradanti); b) violazione dell’art. 5 par.i 1, 2 e 4 della Convenzione (illegittima privazione della libertà); c) violazione del combinato disposto dell’art. 13 con l’art. 3 della Convenzione (diritto ad un rimedio legale effettivo).
Il caso riguardava alcuni migranti, tutti minorenni, che avevano raggiunto l’Italia con un’imbarcazione di fortuna il 22 maggio 2017, e che erano stati trasferiti nel Centro di Soccorso e Prima Accoglienza (CSPA) di Taranto, dove erano state prese loro fotografie e impronte digitali. Tutti gli immigrati avevano chiesto subito la protezione internazionale.
La Corte ha esaminato in particolare le condizioni di vita dei ricorrenti nel CSPA di Taranto, designato come punto di accesso italiano ai sensi dell’art. 17 del D.L. n. 13 del 17 febbraio 2017. Invocando gli artt. 3 e 8 della Convenzione, i ricorrenti avevano lamentato che le condizioni di accoglienza nel CSPA di Taranto erano assai misere, che il centro era destinato agli adulti, era sovraffollato e le condizioni di alloggio erano malsane. Essi richiamavano una relazione del Vicepresidente della Commissione per i diritti dell’uomo del Senato della Repubblica del gennaio 2017, dalla quale risultava che i ricorrenti rimanevano nel centro oltre il periodo massimo previsto per questo tipo di centri (progettati solo per l’iniziale accoglienza e per soggiorni brevi), che vi era un insufficiente riscaldamento nelle tende , soprattutto di notte, e una carenza di prodotti igienici e di vestiti (la maggior parte degli ospiti indossavano le infradito e solo pochi avevano scarpe). Quanto alla salute, il medico presente aveva riscontrato la diffusione di scabbia, influenza e raffreddore, mentre molti dei migranti avevano chiari segni di torture fisiche e maltrattamenti legati al periodo trascorso in Libia e molte donne avevano dichiarato di aver subito violenza sessuale, anche di gruppo, e vi erano anche molte persone vulnerabili che mostravano gravi disturbi mentali.
Le pessime condizioni igieniche e la mancanza di spazio nel Centro erano state documentate dai ricorrenti con varie foto (e comunque non erano state contestate dal Governo italiano). La Corte ha quindi accertato che ricorrenti erano stati sottoposti a trattamento disumano e degradante, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione. La Corte ha inoltre rilevato che i ricorrenti erano rimasti nel centro per circa un mese e venti giorni, e ciò senza una chiara giustificazione e in assenza di un provvedimento motivato che disponesse la loro restrizione, cosicché i migranti erano stati arbitrariamente privati della libertà, in violazione del primo capo dell’articolo 5 § 1 f) della Convenzione. I migranti, infine, non avevano potuto contestare i motivi della loro detenzione di fatto davanti a un tribunale. La Corte ha quindi ravvisato anche la violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione.
Infine, basandosi sul combinato disposto dell’art. 13 della Convenzione con gli artt. 3 e 5, i ricorrenti avevano anche lamentato che, a causa della mancanza di nomina di un tutore legale nel loro caso, non avevano potuto contestare dinanzi alla Corte le violazioni della Convenzione. La Corte ha quindi accertato anche la violazione del combinato disposto degli artt. 13 e 3 della Convenzione.
L’Italia è stata pertanto condannata al risarcimento del danno non patrimoniale (euro 6.500 ciascuno) e al rimborso delle spese legali.
2. “[…] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.Quinta Sezione.
Causa A.T. e altri c. Italia (Ricorso n. 47287/17).
Strasburgo, 23 novembre 2023.
[…]
Visto il ricorso (n. 47287/17) proposto contro la Repubblica italiana con il quale, in data 5 luglio 2017, tredici ricorrenti, le cui nazionalità sono indicate nella tabella allegata, rappresentati dall’avvocato D. Belluccio del foro di Bari, hanno adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);
vista la decisione di comunicare il ricorso al Governo italiano (“il Governo”), rappresentato dal suo agente L. D’Ascia;
viste le osservazioni presentate dal Governo e le osservazioni presentate in risposta dai ricorrenti;
visti i commenti presentati da Defence for Children International, dalla Commissione internazionale di giuristi (CIG), dal Centro di consulenza sui diritti individuali in Europa (AIRE), dal Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) e dal Consiglio olandese per i rifugiati, tutti autorizzati a intervenire dal Presidente della Sezione;
dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 19 ottobre 2023,
pronuncia la seguente sentenza adottata in tale data:
OGGETTO DELLA CAUSA
La causa concerne il trattenimento dei ricorrenti nell’hotspot di Taranto e le carenti condizioni di alloggio in tale struttura. Il Centro di soccorso e prima accoglienza di Taranto (CSPA) è stato adibito a hotspot italiano ai sensi dell’articolo 17 del decreto-legge 17 febbraio 2017 n. 13.
I ricorrenti raggiunsero le coste italiane a bordo di un’imbarcazione di fortuna il 22 maggio 2017. Hanno dedotto che avevano dichiarato di essere minorenni. Furono trasferiti nell’hotspot di Taranto, foto-segnalati e sottoposti a rilievi dattiloscopici. In data 23 maggio 2017 presentarono domanda di protezione internazionale.
In data 13 luglio 2017, a seguito della richiesta presentata alla Corte dai ricorrenti ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento della Corte, i ricorrenti I.C., M.J. e K.I.S. furono trasferiti in strutture per minori non accompagnati. A.T. fu trasferito in una struttura per minori in data 15 luglio 2017.
Dalle informazioni fornite dal Governo, al quale sono state trasmesse dal Tribunale per i minorenni di Taranto, risulta che in data 28 luglio 2017 quest’ultimo aveva disposto l’affidamento di I.C., M.J. e K.I.S ai servizi sociali del Comune di Taranto e aveva nominato per loro un tutore legale.
Il Tribunale per i minorenni non ha fornito informazioni relative a A.T. A quanto risulta il pubblico ministero non aveva presentato richieste al suo riguardo poiché egli era stato trasferito in una regione fuori del territorio di competenza del Tribunale per i minorenni di Taranto.
LA VALUTAZIONE DELLA CORTE
SULLA RICEVIBILITÁ
La Corte ribadisce che il rappresentante di un ricorrente non soltanto deve produrre una procura o un mandato scritto (articolo 45 § 3 del Regolamento della Corte) ma è anche importante che mantenga i contatti con il ricorrente nel corso di tutto il procedimento. Tali contatti sono essenziali sia per conoscere meglio la specifica situazione del ricorrente che per confermare il perdurante interesse dello stesso al proseguimento dell’esame del suo ricorso (si vedano M. e altri c. Belgio (cancellazione) [GC], n. 60125/11, § 35, 17 novembre 2016; Sharifi e altri c. Italia e Grecia, n. 16643/09, § 124, 21 ottobre 2014; mutatis mutandis, Ali c. Svizzera, 5 agosto 1998, § 32, Reports of Judgments and Decisions 1998‑V; e N.D. e N.T. c. Spagna [GC], nn. 8675/15 e 8697/15, § 73, 13 febbraio 2020).
Nel caso di specie, a seguito di una richiesta della Corte finalizzata a sapere se il rappresentante dei ricorrenti fosse ancora in contatto con i suoi assistiti, il rappresentante ha replicato che egli aveva mantenuto i contatti con T., I.C., M. J. e K.I.S. ma li aveva persi con tutti gli altri ricorrenti nel periodo compreso tra marzo e aprile 2020.
Per quanto riguarda T., M.J. K.I.S., il rappresentante ha trasmesso delle dichiarazioni da loro firmate in cui ribadivano il loro interesse alla prosecuzione del presente ricorso. Quanto a I.C., il rappresentante ha inviato copia dello screenshot di una conversazione su WhatsApp.
Alla luce di quanto suesposto, e in assenza di circostanze speciali concernenti il rispetto dei diritti garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli, la Corte, in conformità all’articolo 37 § 1 lettera a) della Convenzione, ritiene che la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata in relazione ai ricorrenti che hanno interrotto i contatti con il rappresentante, ovvero quelli elencati ai numeri 2, 3, 5, 6, 7, 9, 10, 11 e 13 della tabella allegata. Decide pertanto di cancellare dal ruolo la relativa parte del ricorso.
La Corte osserva inoltre che la doglianza dei ricorrenti ai sensi dell’articolo 5 § 3 della Convenzione non è stata adeguatamente suffragata e deve pertanto essere rigettata in quanto manifestamente infondata.
Quanto alla parte restante del ricorso presentato da T., I.C., M.J. e K.I.S, La Corte osserva che essa non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 lettera a) della Convenzione, e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. Deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
Invocando gli articoli 3 e 8 della Convenzione, i ricorrenti hanno lamentato le carenti condizioni di accoglienza nell’hotspot di Taranto. Hanno affermato che il centro, destinato soltanto agli adulti, era sovraffollato e che le condizioni di alloggio erano insalubri. La Corte, essendo libera di qualificare giuridicamente i fatti della causa (si veda Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 114, 20 marzo 2018), esaminerà la doglianza unicamente sotto il profilo dell’articolo 3.
I ricorrenti hanno presentato fotografie che mostravano il sovraffollamento del centro e l’inadeguatezza delle condizioni igieniche. Hanno inoltre citato il rapporto del vicepresidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica italiana, aggiornato a gennaio 2017, le cui parti pertinenti recitano:
“Il centro ha una capienza di 400 persone. Il 3 novembre 2016 risultavano presenti 267 migranti. Circa 50 i minori non accompagnati presenti il giorno della visita e ospitati nelle tende più piccole, senza una vera e propria struttura dedicata e divisa dagli altri dormitori.
Molti dei migranti presenti, compresi alcuni minori, erano arrivati a Taranto il 25 ottobre, ultimo sbarco registrato nell’area: la loro permanenza supera dunque le due settimane e va ben oltre il periodo massimo previsto per i centri di questa tipologia, pensati per una primissima accoglienza e per una permanenza molto breve. Di conseguenza i servizi offerti non possono coprire le esigenze di un’accoglienza prolungata: i kit di indumenti e prodotti consegnati all’arrivo, ad esempio, sono insufficienti per tempi più lunghi (…) Non ci sono spazi comuni né è prevista alcuna attività per i migranti ospitati. Agli adulti è consentito uscire dalla struttura durante il giorno, mentre i minori, per decisione dell’ente gestore, non possono farlo. Questa situazione crea alcune tensioni e può accadere che, pur di poter uscire per qualche ora dal centro, alcuni minori decidano di modificare le informazioni date all’arrivo e si dichiarino maggiorenni.
Da quanto potuto verificare nel corso del sopralluogo, le condizioni del centro da un punto di vista igienico sono dignitose. Dalle testimonianze raccolte nel corso di colloqui con i migranti, sono tuttavia emerse alcune segnalazioni da rivolgere all’ente gestore: insufficienza di riscaldamento nei tendoni, soprattutto nelle ore notturne; scarsezza di prodotti per l’igiene e di indumenti. In particolare, si è potuto osservare direttamente che la maggior parte degli ospiti indossava ciabatte infradito e solo in pochi possedevano scarpe vere e proprie.
Da un punto di vista sanitario, il medico presente ha specificato che gli interventi più diffusi sono quelli per la scabbia e per influenze e raffreddori. Moltissimi dei migranti sbarcati hanno evidenti segni fisici di tortura e maltrattamenti relativi al periodo trascorso in Libia. Moltissime le donne che hanno dichiarato di aver subito violenze sessuali, anche di gruppo. Vi sono poi persone fortemente vulnerabili che manifestano gravi disagi psichici per cui si rende necessario un intervento specialistico. Dal mese di marzo, inoltre, sono stati tre i trattamenti sanitari obbligatori (Tso) emessi nei confronti di migranti ospitati nel centro.”
I ricorrenti hanno sottolineato che all’epoca di suddetto rapporto il centro ospitava 267 migranti, che erano rimasti nella struttura per circa dieci giorni, mentre durante la loro permanenza il centro ospitava oltre 1.419 persone, alcune delle quali erano rimaste nella struttura per oltre due mesi. Pertanto le condizioni sperimentate dai ricorrenti erano state ancora più difficili di quelle descritte nel rapporto.
Il Governo ha osservato che in data 22 e 26 maggio 2017 erano sbarcati sulle coste italiane due folti gruppi di migranti, tra i quali vi erano 202 minori. Tale ingente numero di arrivi si era dimostrato particolarmente difficile da gestire. Tuttavia le autorità nazionali alla fine erano riuscite a trasferire i ricorrenti in strutture per minori, a darli in affidamento ai servizi sociali e a nominare per loro un tutore legale.
Defence for Children International, terzo interveniente, ha sottolineato le difficili condizioni di vita cui sono sottoposti i minori negli hotspot. Ha fatto inoltre riferimento, inter alia, alle pertinenti disposizioni della Convenzione sui diritti del fanciullo delle Nazioni Unite relative all’applicabilità della convenzione senza discriminazioni, al principio dell’interesse superiore del fanciullo, al diritto alla vita e al diritto del fanciullo di esprimere le sue opinioni (articoli 2, 3, 6 e 12 della Convenzione dell’ONU).
I principi generali concernenti le condizioni di alloggio negli hotspot sono stati riassunti nella causa A. e altri c. Italia (n. 21329/18, §§ 58 e 65, 30 giugno 2023). In ordine alle condizioni di alloggio dei minori, la Corte fa riferimento ai principi generali ribaditi nella causa Darboe e Camara c. Italia (n. 5797/17, §§ 167-73, 21 luglio 2022).
La Corte riconosce che il Governo non ha contestato le informazioni fornite dai ricorrenti relativamente alle carenze delle condizioni materiali presenti nell’hotspot di Taranto all’epoca della loro permanenza (ovvero, condizioni igieniche carenti e mancanza di spazio come dimostrato dalle fotografie, si veda il paragrafo 13 supra).
La Corte osserva che nel caso di specie i ricorrenti sono rimasti nell’hotspot di Taranto per circa un mese e venti giorni.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte conclude che i ricorrenti sono stati sottoposti a trattamenti inumani e degradanti durante la loro permanenza nell’hotspot di Taranto, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 §§ 1, 2 E 4 DELLA CONVENZIONE
I ricorrenti hanno lamentato di essere stati privati della libertà durante il loro soggiorno nell’hotspot di Taranto in assenza di una base legale chiara e accessibile, nonché l’impossibilità di contestare la legittimità di tale privazione della libertà.
Il Governo ha osservato che i ricorrenti non erano detenuti nell’hotspot di Taranto e che avrebbero potuto lasciare il centro in qualsiasi momento.
La Commissione internazionale di giuristi (CIG), il Centro di AIRE, il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) e il Consiglio olandese per i rifugiati, terzi intervenienti, hanno osservato che i migranti minorenni erano in una situazione di vulnerabilità e che privarli della libertà in assenza di una base legale e di garanzie procedurali era contrario all’articolo 5 della Convenzione
I principi generali concernenti la privazione della libertà negli hotspot sono stati riassunti nella causa A. e altri (sopra citata, §§ 79-84).
La Corte sottolinea anzitutto che l’impossibilità per i ricorrenti, migranti minorenni, di lasciare l’hotspot di Taranto emerge, inter alia, dal rapporto del vicepresidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica italiana, aggiornato a gennaio 2017 (si veda il paragrafo 13 supra), richiamato anche dalle osservazioni dei ricorrenti.
Tenuto conto del fatto che i ricorrenti sono stati collocati nell’hotspot di Taranto dalle autorità italiane e vi sono rimasti per circa un mese e venti giorni senza una base legale chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che ne disponesse il trattenimento, la Corte ritiene che i ricorrenti siano stati arbitrariamente privati della libertà, in violazione della prima frase dell’articolo 5 § 1 lettera f) della Convenzione.
Alla luce della suesposta conclusione sulla assenza di una base legale chiara e accessibile per il trattenimento, la Corte non comprende come le autorità avrebbero potuto informare i ricorrenti delle motivazioni giuridiche della privazione della libertà loro imposta o avrebbero potuto fornire loro informazioni sufficienti a consentirgli di contestare dinanzi a un tribunale i motivi della loro detenzione de facto (si vedaKhlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, §§ 117 e 132 et seq., 15 dicembre 2016).
La Corte conclude pertanto che l’articolo 5 della Convenzione è applicabile e che vi è stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione
SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
Invocando l’articolo 13 della Convenzione in combinato disposto con gli articoli 3 e 5, i ricorrenti hanno lamentato che, a causa della mancata nomina nel loro caso di un tutore legale, non avevano potuto impugnare le violazioni della Convenzione dinanzi a un tribunale.
Il Governo non ha presentato osservazioni al riguardo.
I principi generali concernenti il diritto a un ricorso effettivo sono esposti nella causa Darboe e Camara (sopra citata, § 128).
La Corte ha già discusso le possibilità dei ricorrenti di contestare dinanzi a un tribunale i motivi della loro detenzione de facto, non vi è pertanto necessità di esaminare tale parte della loro doglianza. Quanto alla parte restante, la Corte ritiene, in primo luogo, che i ricorrenti sollevino una doglianza chiaramente sostenibile ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. L’articolo 13 è pertanto applicabile al caso di specie.
La Corte osserva inoltre che il Governo non ha indicato rimedi specifici che avrebbero consentito ai ricorrenti di proporre un reclamo relativamente alle condizioni di alloggio nell’hotspot di Taranto.
Segue che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione letto in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione.
SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
I ricorrenti hanno chiesto 200.000 euro (EUR) ciascuno per il danno non patrimoniale e EUR 72.240,10 per le spese sostenute dinanzi la Corte.
Il Governo ha chiesto il rigetto delle richieste dei ricorrenti.
La Corte accorda a T., I.C., M.J. e K.I.S. EUR 6.500 ciascuno per il danno non patrimoniale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.
Tenuto conto della documentazione in suo possesso, la Corte ritiene appropriato accordare congiuntamente ai ricorrenti EUR 4.000, a copertura delle spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte, oltre l’importo eventualmente da loro dovuto a titolo di imposta.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITA’
Decide di cancellare dal ruolo il ricorso introdotto dai ricorrenti elencati ai numeri 2, 3, 5, 6, 7, 9, 10, 11 e 13 della tabella allegata;
Dichiara ricevibile il ricorso presentato da T., I.C., M.J. e K.I.S. in relazione all’articolo 3, all’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 e all’articolo 13 della Convenzione letto in combinato disposto con l’articolo 3, e irricevibile il resto del ricorso;
Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4 della Convenzione;
Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 13 in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione;
Ritiene che non sia necessario esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 13 in combinato disposto con l’articolo 5 della Convenzione;
Ritiene
che lo Stato convenuto debba versare a T., I.C., M.J. e K. I.S., entro tre mesi, le seguenti somme:
EUR 6.500 (seimilacinquecento euro) a ciascun ricorrente, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;
EUR 4.000 (quattromila euro) ai ricorrenti congiuntamente, oltre l’importo eventualmente da loro dovuto a titolo di imposta, per le spese;
che a decorrere da detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
Rigetta la domanda di equa soddisfazione dei ricorrenti per il resto […]”.
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