Valori su cui si fonda l’Unione europea. La Corte di Giustizia respinge il ricorso dell’Ungheria.
Sentenza del 3 Giugno 2021 (causa C-650/18)La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza del 3 Giugno 2021 (in causa C-650/18) ha respinto il ricorso dell’Ungheria contro la risoluzione del Parlamento europeo che avvia la procedura volta a constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave, da parte di detto Stato membro, dei valori su cui si fonda l’Unione
di Luigi Verde
Nel calcolare i voti espressi in occasione dell’adozione della risoluzione stessa, giustamente il Parlamento europeo ha escluso di prendere in considerazione le astensioni
1. Il 12 settembre 2018, il Parlamento europeo (PE) ha adottato una Risoluzione (n. 2017/2131[INL]) su una proposta recante l’invito al Consiglio dell’Unione europea a constatare, a norma dell’art. 7, par. 1, TUE[1], l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione. Tale dichiarazione ha avviato la procedura prevista all’art. 7 TUE, che può condurre alla sospensione di alcuni diritti derivanti dall’appartenenza dello Stato membro interessato all’Unione.
Ai sensi dell’art. 354, quarto comma, TFUE, che stabilisce le modalità di voto ai fini dell’applicazione dell’art. 7 TUE, l’adozione da parte del PE della risoluzione di cui trattasi richiede la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenta la maggioranza dei membri che lo compongono. Applicando il suo regolamento interno, secondo cui, per l’approvazione o il rigetto di un testo vengono presi in considerazione solo i voti a favore e contro, ameno che i trattati non prevedano una maggioranza specifica (art. 178, par. 3, del regolamento interno del PE), , il Parlamento ha preso in considerazione, nell’ambito del calcolo dei voti sulla risoluzione di cui trattasi, solo i voti favorevoli e contrari dei suoi membri e ha escluso le astensioni. La risoluzione è stata adottata con 448 voti favorevoli, 197 voti contrari, e 48 astensioni.
Ritenendo che, nel calcolo dei voti espressi, il PE avrebbe dovuto tener conto delle astensioni, l’Ungheria ha proposto, ai sensi dell’art. 263 TFUE, un ricorso diretto ad ottenere l’annullamento della risoluzione di cui trattasi.
La Corte, riunita in Grande Sezione, ha respinto il suddetto ricorso. La Corte afferma, in primo luogo, che la risoluzione impugnata può essere oggetto di controllo giurisdizionale ai sensi dell’art. 263 TFUE. In secondo luogo, essa chiarisce che le astensioni dei parlamentari non devono essere conteggiate al fine di stabilire se sia stata raggiunta la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, richiesta dall’art 354 TFUE.
2.Giudizio della Corte. La Corte si pronuncia anzitutto sulla propria competenza a statuire sul suddetto; e poi sulla ricevibilità del medesimo.
La Corte constata in primo luogo che l’art. 269 TFUE, il quale prevede una possibilità limitata di proporre un ricorso di annullamento avverso gli atti adottati dal Consiglio europeo o dal Consiglio nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 TUE, non è tale da escludere la competenza della Corte a conoscere del ricorso in argomento. Infatti, nel subordinare tale diritto di ricorso a condizioni più rigorose rispetto a quelle imposte dall’art. 263 TFUE, l’art. 269 TFUE implica una limitazione alla competenza generale della Corte di giustizia dell’Unione europea a controllare la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione e dev’essere, pertanto, interpretato restrittivamente.
Inoltre, le risoluzioni del PE, adottate a norma dell’art. 7, par. 1, TUE, non sono menzionate all’art. 269 TFUE. Pertanto, gli autori dei trattati non hanno inteso escludere un atto, quale la risoluzione impugnata, dalla competenza generale riconosciuta alla Corte di giustizia dell’Unione europea dall’art. 263 TFUE. Una siffatta interpretazione è peraltro idonea a contribuire al rispetto del principio secondo cui l’Unione europea è una Unione di diritto che ha istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte di giustizia dell’Unione europea il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione.
La Corte dichiara, poi, che la risoluzione in questione costituisce un atto impugnabile. Infatti, essa produce effetti giuridici vincolanti sin dalla sua adozione, poiché, finché il Consiglio non si sia pronunciato sul seguito da darvi, detta risoluzione produce l’effetto immediato di revocare il divieto che incombe sugli Stati membri di prendere in esame o di dichiarare ammissibile all’esame una domanda di asilo presentata da un cittadino ungherese (a norma dell’articolo unico, lett. b, del protocollo n. 24 sull’asilo per i cittadini degli Stati membri dell’UE).
Inoltre, la risoluzione impugnata non rappresenta un atto intermedio la cui legittimità possa essere contestata solo in occasione di una controversia vertente sull’atto definitivo di cui costituisce una fase di elaborazione. Infatti, per un verso, adottando tale risoluzione il Parlamento non ha espresso una posizione provvisoria, sebbene la successiva constatazione, da parte del Consiglio, dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori dell’Unione sia ancora subordinata alla previa approvazione del Parlamento. Per altro verso, la risoluzione di cui trattasi produce effetti giuridici autonomi in quanto, benché lo Stato membro interessato possa invocare l’illegittimità di tale risoluzione a sostegno del suo eventuale ricorso di annullamento avverso la successiva constatazione del Consiglio, l’eventuale accoglimento di quest’ultimo ricorso non consentirebbe, comunque, di eliminare tutti gli effetti vincolanti della risoluzione stessa.
La Corte sottolinea, tuttavia, che talune specifiche condizioni, previste all’art. 269 TFUE, alle quali è subordinata la proposizione di un ricorso di annullamento diretto contro la constatazione che il Consiglio può adottare a seguito di una proposta motivata del PE, quale la risoluzione impugnata, debbono altresì applicarsi a un ricorso di annullamento presentato a norma dell’art. 263 TFUE avverso una siffatta proposta motivata, a meno di non voler privare del suo effetto utile l’art. 269 TFUE. In tal senso, questo ricorso può essere proposto unicamente dallo Stato membro oggetto della proposta motivata, e i motivi di annullamento dedotti a sostegno di un simile ricorso possono vertere soltanto sulla violazione delle norme di carattere procedurale previste dall’art.7 TUE.
In secondo luogo, nel pronunciarsi sul merito, la Corte osserva che la nozione di “voti espressi”, contenuta all’art. 354, quarto comma, TFUE, non è definita dai trattati e che tale nozione autonoma del diritto dell’Unione deve essere interpretata conformemente al suo significato abituale nel linguaggio corrente. Orbene, tale nozione comprende, nel suo significato abituale, solo la manifestazione di un voto positivo o negativo in merito a una determinata proposta, mentre l’astensione, intesa come il rifiuto di prendere posizione in merito a una determinata proposta, non può essere equiparata a un “voto espresso”. Pertanto, la norma di cui all’art. 354, quarto comma, TFUE, che impone un voto a maggioranza dei voti espressi, dev’essere interpretata nel senso che esclude che siano prese in considerazione le astensioni.
3. Tanto premesso, dopo aver rammentato che l’art. 354, quarto comma, TFUE implica un duplice requisito di maggioranza, ossia che gli atti adottati dal PE a norma dell’art. 7, par. 1, TUE devono ottenere, per un verso, l’accordo dei due terzi dei voti espressi e, per altro verso, l’accordo della maggioranza dei membri del Parlamento, la Corte rileva che in ogni caso le astensioni sono prese in considerazione per verificare che i voti favorevoli rappresentino la maggioranza dei membri del Parlamento.
Infine, la Corte dichiara che l’esclusione delle astensioni dal calcolo dei voti espressi, ai sensi dell’art. 354, quarto comma, TFUE, non è contraria né al principio di democrazia, né a quello della parità di trattamento, alla luce, in particolare, del fatto che i parlamentari che si sono astenuti in occasione del voto hanno agito con cognizione di causa, essendo stati previamente informati del fatto che le astensioni non sarebbero state prese in considerazione nel calcolo dei voti espressi.
[1] L’art. 7, par. 1, TUE così recita: “Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi”.
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