La disciplina del licenziamento secondo la normativa anti-Covid.

Art. 40, commi 4 e 5, L. n. 106/2021.

La disciplina del licenziamento secondo la normativa anti-Covid.

(art. 40, commi 4 e 5, L. n. 106/2021).

Nota di Eva Zanghì

Riferimento legislativo: D.L. 73/2021 (cd. “Decreto Sostegni bis”), recante “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”, cd. Decreto Sostegni-bis), convertito in legge con L. 23 luglio 2021, n. 106.

1.Dal testo della Legge n. 106, del 23 Luglio 2021, di conversione del D.L. n. 73/2021. Articolo 40, commi 4 e 5.

“[…] 4. Ai datori di lavoro che presentano domanda di integrazione salariale ai sensi del comma 3 resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021 e restano altresì sospese nel medesimo periodo le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto. Ai medesimi soggetti di cui al primo periodo resta, altresì preclusa nel medesimo periodo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604 e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge.

5.Le sospensioni e le preclusioni di cui al comma 4 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. A detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso […]”.

2. L’articolo 40, ai commi 4 e 5, preclude dunque la possibilità di avviare le procedure di licenziamento individuale e collettivo (restando, altresì, sospese nel medesimo periodo le procedure pendenti avviate dopo il 23 febbraio 2020), nonché di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo (restando altresì sospese le procedure in corso per la medesima causale), ai datori di lavoro privati che, a decorrere dal 1° Luglio 2021 e fino al 31 Dicembre 2021, sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 e che presentino domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale, per la durata del trattamento medesimo fruito entro il 31 Dicembre 2021 (comma 4). Alle preclusioni e sospensioni di cui sopra sono previste specifiche eccezioni (comma 5).

Il comma 4 dell’art. 40, cit., preclude l’avvio delle procedure relative ai licenziamenti collettivi e individuali (ex artt. 4, 5 e 24 della L. n. 223/1991) ai datori di lavoro privati di cui al comma 3 dell’art. 40 della legge cit.: si tratta dei datori di lavoro che, a decorrere dalla data del 1° Luglio 2021 e fino al 31 Dicembre del 2021, sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 presentando, altresì, domanda di concessione del trattamento ordinario e straordinario di integrazione salariale (rispettivamente, ai sensi degli artt. 11 e 21 del D.Lgs. n.148/2015). Il blocco delle procedure di licenziamento è disposto per la durata del trattamento di integrazione salariale.

Restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 Febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto.

Ai suddetti datori di lavoro privati resta, infine, preclusa, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della L. n. 604/1966[1] e restano sospese anche le procedure in corso di cui all’art. 7 della medesima legge[2].

Ai sensi del comma 5 dell’art. 40 cit., le preclusioni e le sospensioni di cui al comma 4 (già disciplinate dal ”Decreto Ristori” e dalla relativa legge di conversione), non si applicano nelle seguenti ipotesi: a) licenziamenti motivati dal venir meno del soggetto imprenditoriale, per la cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, oppure per la cessazione definitiva dell’attività dell’impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività (sempre che nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c); b) in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nei casi in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso; c) ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo: a detti lavoratori è comunque riconosciuta l’indennità di disoccupazione (Naspi), ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. 4 marzo 2015 n. 22[3].

3.Promemoria. Il “blocco” dei licenziamenti al tempo del Covid-19 riguarda forme di licenziamento identificate per nome e mediante rinvio alla nozione legale rispettiva (licenziamenti collettivi “di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223” e licenziamenti individuali per “giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”).

L’istituto del licenziamento collettivo non trova applicazione nei confronti dei dirigenti. Le cause che giustificano il ricorso al licenziamento collettivo sono, sostanzialmente, riconducibili alla riduzione o alla trasformazione del lavoro o dell’attività  ed alla cessazione di quest’ultima. Il ridimensionamento aziendale può discendere anche da una diversa organizzazione del lavoro, cosa che non significa crisi aziendale (Cass., n. 11984/1997). La riduzione di personale può riguardare anche lavoratori in aspettativa se l’impresa ritiene necessario eliminare posti di lavoro ai quali erano adibiti e che non troverebbero più al rientro in azienda (Cass., n.6553/1998). Si può parlare di licenziamento collettivo allorquando (con l’esclusione delle imprese provenienti dalla CIGS, per le quali non sussiste il limite minimo) si intendano effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni nell’unità produttiva o in più unità produttive nell’ambito della provincia. Tali sono considerati tutti i recessi riconducibili alla medesima causale nello stesso arco temporale e nello stesso ambito territoriale. Nel numero ipotizzato rientrano anche i dirigenti, per effetto di quanto previsto dall’art. 16 della L. n. 161/2014. Il nesso di causalità e di congruità (nel senso che una piccola trasformazione produttiva non può comportare un rilevante numero di licenziamenti) va sempre effettuato (Cass. n. 12297/1998). Il numero minimo di cinque unità da licenziare riguarda il momento di inizio della procedura la quale può ben concludersi con un numero inferiore, senza che, sotto l’aspetto prettamente procedurale, i recessi non possano esser qualificati come collettivi[4].

La normativa si applica a tutti i licenziamenti che, nel medesimo arco temporale e nello stesso territorio siano riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione (ex multis, Cass. n. 16997/2019).

Spetta al datore di lavoro provare l’effettività e la definitività della diminuzione del fabbisogno di forza-lavoro, attraverso la mancata sostituzione dei lavoratori licenziati o l’assenza di ulteriori assunzioni.

La procedura stabilita per il licenziamento collettivo è applicata anche alle aziende in CIGS, qualora nel corso o al termine del programma si verifichi la necessità di procedere anche ad un solo licenziamento. La procedura è contenuta nell’art. 4 della L. n. 223/1991, che disciplina la procedura per la dichiarazione di mobilità (identica in caso di licenziamenti collettivi). In particolare, tale procedura può essere avviata dall’impresa che sia stata ammessa alla CIGS, qualora nel corso di attuazione del programma -che l’impresa intende attuare con riferimento anche alle eventuali misure previste per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale- ritenga di non poter garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative (comma 1).

La procedura è dunque regolata in modo analitico dagli artt. 4, co. 2-12, e 5, co. 1-2, Legge n. 223/1991, e si apre con una comunicazione obbligatoria e scritta del datore di lavoro contenente la determinazione al licenziamento collettivo, che assume rilevanza fondamentale e strategica per la validità ed efficacia di tutta la procedura e dei licenziamenti a valle della stessa.

A mente dell’art. 4, co. 2, il datore di lavoro ha l’obbligo di inviare, anche tramite la propria associazione territoriale, alle rappresentanze sindacali aziendali, costituite ai sensi dell’art. 19 St. Lav., ovvero in mancanza alle RSU e alle rispettive associazioni di categoria, nonché alla Direzione territoriale del lavoro (oggi ITL), una comunicazione contenente l’indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale e dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porvi rimedio evitando i licenziamenti, del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché di quello abitualmente impiegato, dei tempi di attuazione del programma di mobilità, delle misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione del programma medesimo e del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

NOTE

[1] Ai sensi dell’articolo 3, il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

[2] Le procedure di cui all’articolo 7, ai fini del licenziamento per giustificato motivo di cui all’art. 3, comportano una comunicazione del datore di lavoro nella quale egli deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. La comunicazione prelude ad un tentativo di conciliazione tra datore di lavoro e lavoratore previa convocazione dalla Direzione territoriale del lavoro: l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione.

[3] Ai sensi del cit. articolo 1, a decorrere dal 1° Maggio 2015 è istituita presso la Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, una indennità mensile di disoccupazione, denominata: “Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI)”, volta a fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.

 [4] Il Ministero del Lavoro, con una risposta risalente al 1994 indirizzata all’Ispettorato Regionale del Lavoro del Lazio, affermò che si poteva parlare di “licenziamento collettivo” pur anche nell’ipotesi limite che la procedura si fosse conclusa con un solo licenziamento.