Consigli di (ri)lettura. L’arte di saper ascoltare.

1.Composto nel I secolo d.C., il breve scritto di Plutarco dal titolo “L’arte di ascoltare”, è tra le opere più originali del corpus filosofico dei Moralia.

Indirizzato a un giovane che sta per accostarsi all’apprendimento della filosofia, il testo fornisce preziosi consigli sulle norme di comportamento che dovrà seguire.

Plutarco espone principi pedagogici ancora attuali, sottolineando come il “saper ascoltare” sia fondamentale per giungere ad una conoscenza di sé che è a sua volta la premessa per liberarsi dalle inquietudini e pervenire alla serenità interiore.

Perché “la mente ha bisogno di una scintilla che l’accenda e vi infonda l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità”. E solo il corretto ascolto della parola dei filosofi può accendere quella scintilla.

Qualsiasi discorso è nullo se non è ben inteso.

L’ascolto, spesso sottovalutato, è infatti una metà fondamentale dell’atto della comunicazione.

Nell’arte di saper ascoltare, Plutarco elargisce consigli di virtù, ma anche esempi di vizi che toccano uno degli aspetti più importanti della vita umana. Perché l’arroganza, l’odio, la presunzione e la smania di protagonismo inquinano la nostra disposizione verso l’altro e le sue ragioni.

2.Il trattatello è rivolto al giovane Nicandro, al quale Plutarco raccomanda di imparare ad “ascoltare” per trarre il massimo profitto dalle parole del maestro e saperne al tempo stesso distinguere il reale valore.

Plutarco cita gli antichi filosofi, racconta aneddoti, riporta versi di Omero, mette in guardia contro le belle parole vuote, contro i discorsi apparentemente affascinanti ma privi di sostanza, usati per abbindolare gli ingenui e coloro, appunto, che non sanno ascoltare.

Ogni affermazione dev’essere sottoposta al vaglio costante della ragione, per evitare il rischio, comune negli uomini, di accogliere anche ragionamenti erronei e fuorvianti per simpatia o fiducia nei confronti di chi parla.

Bisogna concentrarsi sui concetti, e non sullo stile e la dizione, e all’uscita esaminare e giudicare la lezione partendo da se stessi e dal proprio stato d’animo, “valutando se qualche passione sia divenuta più debole, qualche fastidio più leggero, se si siano rinsaldate in noi determinazione e volontà, se sentiamo in cuore un rinnovato entusiasmo per la virtù e per il bene”.

Plutarco passa anche in rassegna la galleria dei tipi umani che frequentano le sale delle conferenze: l’esibizionista (che approfitta del minimo pretesto per portare il discorso sui temi da lui preferiti), il malizioso (che cerca di porre in difficoltà l’oratore con quesiti sofisticati e fuori luogo), l’arrogante (che segue accigliato e serioso, palesando un sovrano distacco), l’invidioso e malevolo (pronto a criticare tutto, sempre e comunque), l’ignorante (che non capisce nulla, ma non lo vuol dare a vedere e si nasconde dietro grandi sorrisi e ampi cenni d’assenso), l’adulatore, l’ipocrita.