(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Cassazione_Sezione Lavoro_ordinanza  26 febbraio 2024, n. 5048.

1.La Corte di Appello, pur accogliendo la domanda di dichiarazione dell’illegittimità del rifiuto di assunzione di un invalido civile opposto da un’Azienda sanitaria provinciale in sede di avviamento obbligatorio, aveva respinto la richiesta di costituzione coattiva, ai sensi dell’art. 2932 c.c., del rapporto di lavoro, ritenendo necessario l’accordo delle parti per la specificazione dei suoi elementi essenziali. In proposito, la Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, osserva che: a) nel caso esaminato, lo specifico profilo professionale di operatore socioeconomico (richiesto dall’Azienda e posseduto dal lavoratore) trova compiuta definizione nella contrattazione collettiva (ivi compreso il relativo trattamento economico), dalla quale il datore di lavoro pubblico non può discostarsi, sicché quelle esigenze di predeterminazione puntuale delle mansioni – erroneamente ritenute ostative alla pronuncia costitutiva dalla Corte territoriale – sono già assicurate dalle regole che governano l’instaurazione e la gestione del rapporto; b) le prescrizioni della CTU svolta in giudizio e relative a determinate cautele operative nelle prestazioni dell’avviato a tutela degli utenti del servizio sanitario, lungi dal costituire un ostacolo insormontabile all’emissione di una sentenza costitutiva, rientrano, piuttosto, in quei “ragionevoli adattamenti” organizzativi cui la parte datoriale pubblica è tenuta per consentire ai disabili di accedere al lavoro.

2. “[…] Cassazione Civile, Sez. Lav., 26 febbraio 2024, n. 5048

(omissis)


Rilevato che:

1. D. A., invalido civile iscritto nelle liste di collocamento obbligatorio ex lege n. 68/1999, si doleva del fatto che con provvedimento dell’8.9.2011 dell’Azienda sanitaria provinciale (ASP) di (OMISSIS) fosse stata dichiarata la sua inidoneità alle mansioni di operatore socio-sanitario Bs, quantunque in precedenza l’Azienda avesse riconosciuto la sua idoneità al lavoro; conseguentemente, chiedeva dichiararsi illegittima la sua esclusione dall’avviamento al lavoro ai sensi della legge n. 68/99 ed affermarsi la sua idoneità alle mansioni indicate, con conseguente diritto all’assunzione e all’immissione in ruolo con contratto a tempo indeterminato in conformità al profilo professionale e alla declaratoria contrattuale del c.c.n.l. del Comparto Sanità;

2. il Tribunale, previo espletamento di c.t.u. medico-legale, accoglieva parzialmente il ricorso e dichiarava illegittimo il rifiuto dell’ASP di stipulare il contratto di lavoro a conclusione dell’iter di avviamento obbligatorio, condannando l’Azienda al risarcimento del danno, liquidato in complessivi €. 44.834,99; la Corte d’appello, adita dallo stesso lavoratore che lamentava la mancata adozione del dictum costitutivo del rapporto di pubblico impiego ex art. 2932 cod. civ., rigettava l’impugnazione;

3. in particolare, rilevava che la costituzione del rapporto di lavoro, pur obbligatoria, non era automatica, richiedendo l’intervento della volontà delle parti ai fini della concreta specificazione del contenuto del contratto in ordine a mansioni, retribuzione, qualifica, e ciò tanto più nella specie, atteso che emergeva dalle risultanze della c.t.u. medica che le «mansioni a diretto contatto con gli ammalati, a maggior ragione se non autosufficienti, e l’uso di strumentazione» erano necessariamente inibite al ricorrente;

4. il ricorso per cassazione del lavoratore è affidato a due motivi cui si è opposta l’ASP con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Considerato che:

1. con il primo motivo si denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della legge n. 68/1999 e dell’art. 2932 cod. civ., della direttiva 2000/78/CE del 27.11.2000, nonché dell’art. 5, del c.c.n.l. Comparto Sanità, allegato 1 (declaratoria categoria B e profilo economico Bs), per avere ritenuto la Corte di merito preclusa la costituzione del rapporto di lavoro ex art. 2932 cod. civ., pur nella riconosciuta idoneità – seppure con rigide prescrizioni a tutela degli utenti – allo svolgimento delle mansioni per come accertata dal c.t.u. e nella corrispondenza tra qualifica richiesta dall’azienda di operatore sociosanitario, cat. Bs, e quella posseduta dal lavoratore;

2. con il secondo mezzo si lamenta, ex art. 360 nn. 3-5 cod. proc. civ., la violazione del principio di non discriminazione, a tutela dei lavoratori con handicap, dell’art. 3 comma 3 bis,D.Lgs.216/2003, degli artt. 32-38 Cost., dell’art. 10,L. n. 68/1999, dell’art. 2087 cod. civ., della Dir. 2000/78, del 27.11.2000, articolo 5;

il diniego dell’ASP di costituire il rapporto di lavoro, benché fossero già definiti tutti gli elementi essenziali del rapporto (mansioni, retribuzione e qualifica), integra una violazione del principio di parità di trattamento dei lavoratori portatori di handicap di cui all’art. 5 della direttiva 2000/78/CE del 27.11.2000 ‒ che fa obbligo a tutti i datori di lavoro di adottare “accomodamenti ragionevoli per garantire ai disabili la piena uguaglianza con gli altri lavoratori” ‒ e all’art. 3 d.lgs. n. 216/2003;

erronea era altresì l’affermazione della Corte distrettuale a tenore della quale competerebbe alla sola parte datoriale ogni valutazione sull’utilità economica di avvalersi di un operatore sociosanitario che non può usare strumentazione e avere contatti con gli ammalati;

3. i due motivi, fra loro strettamente connessi sul piano logico e giuridico, meritano trattazione congiunta;

3.1 essi sono fondati;

3.2 nucleo fondamentale della sentenza impugnata è che l’avviamento del ricorrente non poteva che essere sottoposto, per come precisato dalla c.t.u. medico-legale, a specifiche prescrizioni a tutela della salute dello stesso lavoratore e dell’utenza con cui egli poteva venire in contatto, di qui l’esigenza di specifica determinazione aziendale delle concrete mansioni affidate nonché l’ulteriore necessità di una «preventiva concertazione tra le parti, non sostituibile da quella imposta dal giudice», donde anche l’impossibilità di «far luogo all’attivazione del rimedio ex art. 2932 cod. civ.»;

3.3 in effetti, nella giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla Corte nissena, si è talora esclusa la possibilità di una pronuncia costituiva del rapporto di lavoro, essenzialmente sul rilievo che il sistema delle assunzioni obbligatorie è strutturato in modo tale da dar luogo all’obbligo del datore di lavoro di stipulare il contratto con i soggetti avviati dall’UPLMO, ma non alla costituzione automatica e autoritativa del rapporto, la cui nascita richiede necessariamente l’intervento della volontà delle parti ai fini della concreta specificazione del suo contenuto in ordine ad elementi essenziali quali la retribuzione, le mansioni, la qualifica; nel solco di tale impostazione, si è ritenuto che il lavoratore non può esperire, ove l’obbligo del datore di lavoro sia rimasto inadempiuto, il rimedio dell’esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., ma ha (soltanto) il diritto all’integrale risarcimento dei danni, ossia al ristoro delle utilità perdute per tutto il periodo del protrarsi di detto inadempimento (ex plurimis, Cass. n. 4853 del 1998, Cass. n. 488 del 2009, Cass. n. 8593 del 2019);

3.4 a tali principi sembra essersi conformata la sentenza impugnata, senza avvedersi, tuttavia, che la ragione della esclusione della possibilità di tutela costitutiva è stata fondata, anche in quelle pronunce, sulla necessità della determinazione negoziale ad opera delle parti degli elementi essenziali del contratto, quali la qualifica, la retribuzione, l’eventuale periodo di prova ecc. Tant’è che in caso di insussistenza di tale necessità, come ad esempio nella ipotesi in cui è la legge medesima a prevedere la qualifica, le mansioni e il trattamento economico e normativo del lavoratore avviato, non sono stati ravvisati ostacoli alla possibilità di tutela costitutiva (v., ad esempio, Cass. n. 15913 del 2004, in tema di avviamento al lavoro di centralinisti non vedenti in cui sono prestabilite le mansioni, la qualifica e il trattamento economico; Cass. n. 20192 del 2011; Cass. n. 18277/2010);

3.5 orbene, la Corte d’appello, nel negare la possibilità di costituire il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’ASP, mostra di ignorare tale, pure essenziale, aspetto, e di sottovalutare altresì la specificità del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, nel cui ambito è espressamente previsto (v. art. 63 comma 2 D.Lgs. 165/2001, nel testo ratione temporis vigente, che si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 2932 cod. civ.) che «il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati» e che «le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro».

Aggiungasi che lo specifico profilo professionale di operatore socioeconomico Bs trova, nell’ambito dell’impiego pubblico e in particolare delle unità sanitarie locali, compiuta definizione nella contrattazione collettiva (CCNLI Comparto Sanità stipulato del 20.9.2001, allegato 1), dalla quale il datore di lavoro pubblico non può discostarsi, sicché quelle esigenze di predeterminazione puntuale delle mansioni (erroneamente ritenute ostative alla pronuncia costitutiva dalla Corte territoriale) sono, nel caso in esame, già adeguatamente assicurate dalle regole che necessariamente governano l’instaurazione e la gestione del rapporto.

3.6 Tale determinazione sussiste, all’evidenza, anche con riferimento al periodo di prova, la cui obbligatorietà nell’impiego pubblico trova affermazione nella disciplina normativa e contrattuale (art. 17 d.P.R. n. 487/1994, al quale rimanda l’art. 70 comma 13 d.lgs. n. 165/2001; per il personale non dirigenziale del comparto sanità cfr. per il periodo antecedente alla contrattualizzazione art. 14 del d.P.R. n. 761/1979 e per quello successivo art. 15 del CCNL 1/9/1995), imponendosi l’adozione di un esperimento da svolgere nel profilo professionale di qualifica o categoria al quale si riferisce l’assunzione e rinviandosi alla contrattazione collettiva la fissazione della durata, da stabilire in relazione alla complessità delle prestazioni professionali richieste (Cass., Sez. L, n. 32877/2018); ne discende, anche sotto tale specifico profilo, che dall’eventuale carenza del regolamento contrattuale, quanto alla prova e alle mansioni in relazione alle quali essa dovrà svolgersi, non possono derivare, invero, le conseguenze che nel rapporto privato normalmente si riconnettono alla nullità del patto e che suppongono il carattere facoltativo dello stesso;

3.7 la sentenza impugnata, pur confermando che «la richiesta di avviamento dell’ASP di (OMISSIS) faceva riferimento, per il D. A., all’assunzione di un operatore socio sanitario disabile, la cui qualifica Bs, mansioni e trattamento economico erano previsti e disciplinati dalla legge e dal c.c.n.l. di settore», osserva tuttavia che doveva necessariamente trattarsi, nella specie, di un avviamento sottoposto a specifiche condizioni, a tutela della salute dello stesso lavoratore e dell’utenza, «con un’evidente problema di verifica del fabbisogno di dipendenti da assegnare alle mansioni individuate dal c.t.u. come non pericolose, essendo quindi tutt’altro che determinate o determinabili dal giudice sulla base di parametri certi […] le concrete mansioni alle quali l’appellante poteva essere assegnato» (così a pag. 4 della sentenza).

3.8 Tale ordine di idee non può essere condiviso; questo perché le ragioni ostative alla costituzione del rapporto non potevano automaticamente ravvisarsi negli esiti della c.t.u. medica che, nel confermare l’idoneità al lavoro del D. A., si era solo premurata di raccomandare alcune prescrizioni, a tutela della salute dello stesso lavoratore e dell’utenza, in guisa da suggerire, onde evitare situazioni di potenziale pericolo, di «escludere attività a diretto contatto con gli ammalati, a maggior ragione se non autosufficienti, e l’uso di strumentazione».

3.9 Tali prescrizioni, lungi dal costituire un ostacolo insormontabile all’accoglimento dell’invocata richiesta di emissione di sentenza costitutiva, rientravano, piuttosto, in quei “ragionevoli adattamenti” organizzativi (art. 3 comma 3 bis d.lgs. n. 216/2003) cui la parte datoriale pubblica è tenuta per consentire ai disabili di accedere al lavoro, (beninteso) entro i limiti della ragionevolezza, il cui accertamento di fatto è demandato allo stesso giudice del merito;

è lo stesso art. 5 della direttiva 2000/78/CE, rubricato “soluzioni ragionevoli per disabili”, che impone, infatti, l’adozione di provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato o eccessivo, con l’ulteriore precisazione tuttavia che la soluzione non può dirsi ex se sproporzionata allorché «l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili»; non si è mancato di precisare, inoltre, che l’adozione di tali misure organizzative è prevista in ogni fase del rapporto di lavoro, anche in quella genetica e, quindi, anche per gli assunti come invalidi ai fini del collocamento obbligatorio (Cass., Sez. L, n. 6497 del 9/03/2021).

3.10 Ben s’intende, allora, come si riveli in tale contesto del tutto erronea, nella sua assertività, l’ulteriore affermazione contenuta nella sentenza impugnata (v. pag. 5) secondo cui «compete alla sola parte datoriale ogni valutazione circa l’utilità economica e organizzativa di avvalersi di un operatore socio sanitario che non può fare uso di strumentazione e non può avere contatto con gli ammalati»;

3.11 per contro, spetta innanzitutto al giudice del merito un sindacato diretto sulla misura dell’accomodamento, che postula per sua natura un’interazione fra una persona individuata, con le sue limitazioni funzionali, e lo specifico ambiente di lavoro che la circonda, interazione che, per la sua variabilità, non ammette generalizzazioni, e dove la regola della ragionevolezza funge da criterio guida, in quanto penetra anche i rapporti contrattuali, quale forma di osservanza del “canone di correttezza e buona fede che presidia ogni rapporto obbligatorio ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.” (cfr. Cass. SS.UU. n. 5457 del 2009) e che risulta “immanente all’intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost.” (cfr. Cass. SS.UU. n. 15764 del 2011; v. pure Cass. SS.UU. n. 23726 del 2007; cfr. Cass. SS. UU. n. 18128 del 2005), esplicando “la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra” (Cass. SS.UU. n. 28056 del 2008).

4. Non essendosi conformata ai principi dianzi enunciati, la sentenza impugnata dev’essere (or dunque) cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Caltanisetta, la quale, in diversa composizione, ferma l’idoneità del ricorrente al lavoro per cui è stato avviato ex lege n. 68/1999, dovrà verificare se, in presenza di una predeterminazione di tutti gli elementi essenziali del rapporto (mansioni, retribuzione e qualifica), sia possibile procedere, tenuto conto degli esiti della c.t.u. medica e dello specifico ambiente di lavoro, e con adozione di “ragionevoli accomodamenti” alla cui osservanza è tenuto il datore di lavoro pubblico, all’invocata costituzione del rapporto di pubblico impiego.

In conclusione, il ricorso deve essere, quindi, accolto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:

«in materia di rapporto di pubblico impiego privatizzato, dove la legge e la contrattazione collettiva predeterminano tutti gli elementi essenziali del contratto, come la qualifica, le mansioni, il trattamento economico e normativo e il periodo di prova, non sono ravvisabili ostacoli alla tutela costitutiva ex art. 63 d.lgs. n. 165/2001 invocata dal lavoratore, iscritto nelle liste di avviamento obbligatorio e risultato idoneo al collocamento, dovendosi solo valutare, con accertamento di fatto riservato al giudice del merito, se siano o meno praticabili “ragionevoli accomodamenti”, nel rispetto dei principi stabiliti dalla direttiva 2000/78/CE, per rendere concretamente compatibile l’ambiente lavorativo con le limitazioni funzionali del lavoratore disabile».

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione […]”.