(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

CORTE di CASSAZIONE. Ordinanza n. 597 depositata l’ 8 gennaio 2024.

Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli art. 2948 c.c., n. 4, e art. 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro.

CORTE di CASSAZIONE

[…]

Rilevato che

1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Milano rigettava il gravame di R.F.I. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la nullità degli artt. 18.11 del CCNL Attività ferroviarie del 16.4.2003 e 7 dell’accordo sindacale 1.3.2006, nella parte di esclusione del computo dell’intero periodo di apprendistato ai fini degli aumenti periodici di anzianità ed aveva accertato il diritto dei lavoratori indicati in epigrafe (V.L., R.L.M., F.R., G.M.) all’integrale riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata durante tale arco temporale e condannato la società al pagamento dei consequenziali importi maturati.

2. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione R.F.I. s.p.a. sulla base di cinque motivi cui hanno resistito con controricorso i lavoratori in epigrafe indicati.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Con la memoria depositata la società ricorrente ha dichiarato di rinunziare ai primi quattro motivi di ricorso.

4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 25 del 1955, art. 19 del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 47,49 e 57, e più in generale violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 47/52 in relazione alla L. n. 25 del 1955;

2. con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 49, comma 4, lett. c) ed e) nonché della L. n. 25 del 1955, art. 19;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce, in subordine, violazione e falsa applicazione della L. n. 25 del 1955, art. 19 e dell’art. 12 preleggi, anche in relazione all’art. 7 dell’Accordo Sindacale Nazionale 1 marzo 2006;

4. con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della Direttiva comunitaria 2000/78 in punto di discriminazione indiretta collegata all’età;

5. con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., n. 4, in combinato disposto con la L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 1 e 2 come modificato dalla L. n. 92 del 2012. avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere il lavoratore sprovvisto, dopo la novella del 2012, delle garanzie della “tutela forte” (in realtà preservata per diverse ipotesi di recesso), esposto a metus nei confronti del datore di lavoro con conseguente sospensione del decorso della prescrizione durante il rapporto di lavoro;

6. rispetto ai primi quattro motivi di ricorso deve essere dichiarata l’inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse ex art. 100 c.p.c. (cfr., di recente, Cass. n. 17893 del 2020) e non l’estinzione ex art. 391 c.p.c., in quanto la rinuncia ad uno o più motivi di ricorso rende superflua una decisione in ordine alla fondatezza o meno di tali censure ed è assoggettata ad un regime diverso, tale da essere efficace anche in mancanza della sottoscrizione della parte o del rilascio di uno specifico mandato al difensore, in quanto, implicando una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione e non comportando la disposizione del diritto in contesa, è rimessa alla discrezionalità del difensore stesso, e resta, quindi, sottratta alla disciplina di cui all’art. 390 c.p.c. per la rinuncia al ricorso (da ultimo v. Cass. n. 414 del 2021, con la giurisprudenza ivi citata; con riguardo a fattispecie concernenti le medesime questioni proposte nel presente ricorso, cfr. Cass. nn. 36066 e 36108 del 2022);

7. il quinto motivo di ricorso è infondato ritenendo il Collegio di dovere dar seguito al principio affermato da recente giurisprudenza di questa Corte, che si richiama anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., secondo la quale “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli art. 2948 c.c., n. 4, e art. 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro” (Cass. n. 26246 del 2022; conf. Cass. n. 29831 del 2022; Cass. n. 30957 del 2022; Cass. n. 30958 del 2022; Cass. n. 9742, 9749, 8403 del 2023).

8. Il Collegio non ravvisa, infatti ragioni per discostarsi da tali precedenti, atteso che, una volta che l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice, essa “ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (art. 374 c.p.c.) e 2009 (art. 360 bis c.p.c., n. 1)” (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011); invero, la ricorrente affermazione nel senso della non vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di garantire l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso il ruolo svolto dalla Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014), atteso che, in un sistema che valorizza l’affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, il quale influisce positivamente anche sulla riduzione del contenzioso, vi è l’esigenza, avvertita anche dalla dottrina, “dell’osservanza dei precedenti e nell’ammettere mutamenti giurisprudenziali di orientamenti consolidati solo se giustificati da gravi ragioni” (in termini: Cass. SS.UU. n. 11747 del 2019).

9. In conclusione, i primi quattro motivi di ricorso sono inammissibili ed il quinto infondato: il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza.

10. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i primi quattro motivi di ricorso e rigetta il quinto. Condanna parte ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio […]”.