(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di Cassazione, Sezione lavoro, ordinanza 14 ottobre 2024, n. 26634.

Il periodo di comporto per la lavoratrice, in regime di tempo parziale verticale al 50%, dev’essere determinato in un numero massimo di giorni di calendario non superiore alla metà delle giornate lavorative concordate fra le parti in un anno solare.

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Fatto

1. Con sentenza 3 ottobre 2022, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il reclamo di YY, lavoratrice in regime di tempo parziale verticale al 50% (distribuito nelle tre giornate di giovedì, venerdì e sabato) avverso la sentenza di primo grado, di reiezione dell’impugnazione del licenziamento intimatole da XX s.r.l. il 25 novembre 2020 per superamento del periodo di comporto.

2. Preliminarmente ritenuta, contrariamente al Tribunale, l’ammissibilità della domanda, essa ha negato che il licenziamento rientri nella previsione di nullità stabilita dall’art. 46 d.l. 18/2020 (cd. “blocco” dei licenziamenti per emergenza pandemica da Covid-19), per l’obiettiva diversità di natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto da quello per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 legge n. 604/1966, neppure sotto il profilo dello scarso rendimento, né essendo estensibile il divieto della suddetta norma, in quanto speciale, per evidente diversità di ratio, pure deponendo per la licenziabilità, anche nell’arco temporale  interessato    dal   blocco,  in ragione    della   non computabilità, ai fini di tale periodo, di quello trascorso in quarantena domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva (art. 26, primo comma d.l. cit.).

3. In esito ad argomentata interpretazione, nel rispetto dei principi di letteralità e di proporzionalità, dell’art. 87 CCNL (di fissazione del periodo di comporto per il lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, come per quello a tempo pieno, ”in 180 giorni di calendario”, mentre per il lavoro a tempo parziale verticale o misto “per un periodo massimo non superiore alla metà delle giornate lavorative concordate fra le parti in un anno solare”), la Corte territoriale ne ha accertato l’ampio superamento, in quanto di 78,5 giorni in un anno, per la durata della malattia (113 giorni nell’arco temporale tra il 6 agosto e il 25 novembre 2020) della lavoratrice. E ciò per la presunzione di continuità della stessa, inclusi in essa festività e giorni non lavorativi rientranti nel periodo dei certificati medici (sedici, quasi tutti per la medesima patologia di brachialgia e periartrite, ad eccezione di due – del 3 settembre 2020 e del 9 ottobre 2020 – per faringite) emessi in sequenza, senza soluzione di continuità (il primo attestante la malattia fino al giorno precedente il riposo domenicale ed i successivi dal primo giorno lavorativo successivo alla domenica); potendo la continuità essere interrotta soltanto dalla ripresa del lavoro, mai avvenuta nel corso del detto periodo.

4. Con atto notificato il 2 dicembre 2022, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui la società ha resistito con controricorso.

5. Il P.G. ha comunicato le sue conclusioni scritte, nel senso del rigetto del ricorso.

6. Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai dell’art. 378 c.p.c.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli 2110, secondo comma c.c., 1 e 3 legge n. 604/1966, 46 d.l. 18/2020 e succ. norme emergenziali, per non avere la Corte territoriale esteso la nullità del divieto di licenziamento anche al recesso per superamento del periodo di comporto, in quanto riconducibile alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo (anche sotto il profilo dell’impedimento per inidoneità sopravvenuta), per i riflessi delle assenze per malattia della lavoratrice sull’organizzazione aziendale (costituendo la fissazione del periodo di comporto astratta predeterminazione del punto di equilibrio tra l’interesse del lavoratore di godere di un tempo congruo per ristabilirsi dalla malattia e l’esigenza datoriale di non doversi far carico del loro contraccolpo su dette esigenze organizzative: arg. ex Cass. S.U. 12568/18); con la conseguente inosservanza della norma di blocco denunciata, tenuto conto anche della simmetria tra blocco dei licenziamenti e revocabilità di quelli intimati prima di essa per giustificato motivo oggettivo, a condizione della richiesta datoriale di cassa integrazione salariale, in effetti richiesta dalla società datrice anche per la lavoratrice, ammessavi.

2. Esso è infondato.

3. Occorre preliminarmente sottolineare la natura di norma speciale dell’art. 46, primo comma d.l. 18/2020 conv. in legge n. 27/2020, secondo cui: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 24, della legge 23 luglio 1991, 223 è precluso  per 60  giorni  e nel  medesimo  periodo  sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604»”. Essa è ispirata dalla specifica ratio di tutela dei lavoratori dalle conseguenze negative sull’occupazione derivanti dal blocco o dalla riduzione dell’attività produttiva conseguente all’emergenza COVID- 19.

La specialità della norma ne esclude l’applicabilità in via analogica: come ha ritenuto questa Corte con la recente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale per il contrasto con l’art. 3 Cost. dell’esclusione della sua applicazione all’ipotesi di giustificatezza del licenziamento del dirigente (Cass. 29 maggio 2024, n. 15030, in motivazione sub p.ti 5 ss.).

La questione di costituzionalità prospettata non interferisce, tuttavia, con la decisione dell’odierna controversia, siccome interna al perimetro del licenziamento economico: come si evince chiaramente dal percorso argomentativo dell’ordinanza, laddove è, in particolare, evidenziato il riflesso del difetto di simmetria, sul piano della disciplina legale dei licenziamenti individuali e di quelli collettivi, sussistente per i dirigenti (ai quali non si applica la prima, mentre si applica in parte la seconda) sul regime del c.d. blocco dei licenziamenti: ad essi applicabile solo se si tratti di licenziamento collettivo, non pure se si tratti di licenziamento individuale per ragioni oggettive (in motivazione sub p.to 7). E tale asimmetria, nell’insussistenza, ai fini del divieto temporaneo dei licenziamenti, di alcuna diversità fra licenziamento collettivo   e  individuale,  ha fatto  dubitare questa Corte della sua ragionevolezza (in motivazione sub p.to 12).

3.1 A maggior ragione, la nullità del divieto non è estensibile all’ipotesi di recesso per superamento del periodo di comporto, in quanto soggetto alle regole dettate dall’art. 2110 c.c., prevalenti, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali; con la conseguenza: da un lato, che il datore di lavoro non può recedere dal rapporto prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto periodo di comporto), il quale è predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa; dall’altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, non essendo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (Cass. 19 aprile 2024, n. 10640, in motivazione sub p.to 2.2, con richiamo di precedenti).

la possibilità di licenziamento, anche nel periodo temporale interessato dal blocco, per superamento del periodo di comporto si ricava, d’altro canto, in positivo, dalla previsione di non computabilità, ai suoi fini, del periodo trascorso in quarantena domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva (art. 26, primo comma d.l. cit.).

4. Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione  degli artt. 83 e 87 CCNL Terziario applicato al rapporto di lavoro e 7 d.lgs. 81/2015, per erronea individuazione del criterio di computo delle giornate di malattia in regime di part time verticale, in violazione dei principi di proporzionalità e non discriminazione, così determinando la durata del periodo di comporto annuale in sole 78,5 giornate, per effetto di una riduzione della metà del numero delle giornate concordate, ma non anche del loro numero ai fini del computo delle giornate di malattia per il suo superamento, come invece sarebbe corretto, per la possibilità potendo soltanto di offrire e ricevere la prestazione lavorativa, non valendo altrimenti la presunzione di continuità della malattia.

5. Anch’esso è infondato.

6. Questa Corte ha recentemente affermato che l’art. 7 d. lgs. 81/2015 si è posto, nonostante l’espressa abrogazione del d.lgs. 61/2000, nel suo alveo normativo, per l’esplicita enunciazione del principio di non discriminazione, avendo riconosciuto al “lavoratore a tempo parziale i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile” ed assunto la regola del riproporzionamento del “trattamento economico normativo … in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa”, nel rispetto del principio di non discriminazione (art. 7, secondo comma, primo periodo); e ha previsto la possibilità, in sede di contrattazione collettiva, di una modulazione del”la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e di infortunio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro” (art. 7, secondo comma, secondo periodo), così valorizzando la specificità del tempo parziale verticale (Cass. 2 maggio 2024, n. 11865  in motivazione sub p.ti 4, 4.1, 5).  

6.1 In tale prospettiva, devono allora essere letti, in combinazione sistematica, in particolare, l’art. 86 (di applicazione del criterio di proporzionalità del trattamento economico e normativo del lavoratore assunto a tempo parziale sulla base del rapporto fra orario settimanale o mensile ridotto ed il corrispondente orario intero previsto dal CCNL) e 87 CCNL Terziario 30 luglio 2019, di applicazione del criterio di proporzionalità anche al periodo di E più specificamente, le previsioni: a) di applicabilità, nel rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, delle stesse disposizioni degli articoli 186 e 187 del contratto per il lavoro a tempo pieno: sicché, il comporto è fissato, in entrambi i casi, in 180 giorni di calendario, indipendentemente dalla durata giornaliera dell’orario di lavoro; b) di diritto del lavoratore, nel rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, alla conservazione del posto per un periodo massimo non superiore alla metà delle giornate lavorative concordate fra le parti in un anno solare, indipendentemente dalla durata giornaliera dell’orario di lavoro in esse prevista e fermo restando il principio sancito nella dichiarazione a verbale di cui all’art. 188.

Ebbene, secondo i criteri interpretativi di letteralità (art. 1362 c.c.) e sistematico (art. 1363 c.c.), il periodo di comporto per la lavoratrice, in regime di tempo parziale verticale al 50%, deve essere determinato in un numero massimo di giorni di calendario non superiore alla metà delle giornate lavorative concordate fra le parti in un anno solare (tre giorni settimanali da giovedì a sabato): e quindi, come ha correttamente la Corte d’appello, nel numero di 78,5.

Inoltre  nel calcolo del periodo di comporto ai fini del suo superamento, devono essere inclusi, oltre ai giorni festivi, anche quelli di fatto non lavorati, che cadano durante il periodo di malattia indicato dal certificato medico; posto che, in difetto di prova contraria (che è onere del lavoratore fornire), opera una presunzione di continuità in quei giorni dell’episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dell’assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta, con la precisazione che la prova idonea a smentire tale presunzione di continuità può essere costituita solo dalla dimostrazione dell’avvenuta ripresa dell’attività lavorativa (Cass. 13 settembre 2019, n. 22928, in motivazione sub p.to 14; cui adde: Cass. 24 settembre 2014, n. 20106; Cass. 4 ottobre 2023, n. 27980): mai avvenuta “a partire dall’assenza per malattia del 4 agosto 2020 e sino al 25 novembre 2020, data di invio della lettera di licenziamento” (così al terz’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza).

7. Pertanto il ricorso deve essere rigettato, con regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza. Al rigetto del ricorso segue altresì il raddoppio del contributo unificato,    ove   dovuto,    nella   ricorrenza    dei   presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso […]”.