(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di cassazione, Sezione lavoro, ordinanza n. 3270 depositata il 5 febbraio 2024.
La dipendenza dell’azienda, ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente in ordine alle controversie di lavoro ai sensi dell’art. 413 c.p.c., può essere ravvisata anche in un cantiere stradale della società datrice di lavoro, in cui siano addetti lavoratori e nel quale esistano beni destinati a rendere possibile l’espletamento dell’attività appaltata e quindi il conseguimento dei fini imprenditoriali
Licenziamento, Crediti relativi a rapporti di durata, Frazionamento del credito, Eccezione di incompetenza per territorio, Luogo della prestazione lavorativa, Rigetto
“Corte di cassazione ,
[…]
Rilevato che:
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Torino, confermando la sentenza del Tribunale di Cuneo, ha accolto le domande proposte da (omissis) nei confronti della società (omissis) e relative all’annullamento di tre sanzioni disciplinari conservative (tre multe) nonché del licenziamento intimato (omissis), condannando la società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità pari a 12 mensilità (con rigetto dell’ulteriore domanda di risarcimento del danno ex artt. 1175 e 2087 c.c.);
2. la Corte distrettuale ha preliminarmente rilevato che la proposizione di due distinti ricorsi (che in realtà erano poi stati riuniti in primo grado, senza dunque arrecare alcun aggravio processuale per la società), uno per la domanda di illegittimità delle sanzioni conservative e l’altro per il licenziamento, non costituiva abusivo frazionamento del credito, essendo insufficiente il mero fatto che le pretese azionate si riferissero ad un medesimo rapporto di durata e trattandosi di domande fondate su diversi fatti costitutivi; ha, poi, ritenuto irrilevante l’eventuale erronea statuizione di un Tribunale privo della competenza territoriale posto che la rimessione della causa al giudice di primo grado, ex artt. 353 e 354 c.p.c., sono tassative (e non includono la competenza) e che la società non aveva contestato (in primo grado) la deduzione attorea che il lavoratore (addetto ai servizi di ritiro di corrispondenza e pacchi presso uffici postali e consegna all’ufficio postale di zona) ritirasse il furgone presso il deposito della società in S.; la Corte territoriale ha, di seguito, accertato che le assenze rilevate in alcuni turni di lavoro, assenze che avevano determinato dapprima le sanzioni conservative e poi il provvedimento espulsivo, erano giustificate ed integravano una reazione adottata in buona fede a fronte di un grave ed illegittimo comportamento datoriale, anche lesivo della dignità del lavoratore (consistito nell’assegnazione, al lavoratore, di una zona di consegna denominata “giro di Bra”, mai precisata dalla società, nemmeno a seguito di solleciti) e costituivano, quindi, un rifiuto proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’art. 1460 c.c.
3. per la cassazione della sentenza ricorre la società sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste il lavoratore con controricorso illustrato da memoria.
4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denunzia, ex art.360 comma primo n.3 cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli art. 100 cod.proc.civ., 2, 3, 111 Cost., avendo, il giudice di appello, trascurato che il frazionamento del credito ricorre ogni qualvolta, a fronte di un unico rapporto obbligatorio, il creditore faccia valere il credito dallo stesso discendente non già attraverso un’unica domanda in sede giurisdizionale bensì mediante l’esperimento di una pluralità di iniziative – contestuali o susseguenti – volte alla soddisfazione della pretesa di cui è titolare; l’avvenuta riunione dei due ricorsi presentati dal V. dimostra che i crediti vantati erano inscrivibili nell’ambito oggettivo di un medesimo ipotetico giudicato. Le domande giudiziali dovevano pertanto dichiararsi improcedibili in quanto finalizzate all’esclusivo aggravio della posizione processuale della società.
2. Con il secondo motivo si denunzia, ex art.360 comma primo n.3 cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli art. 112, 353 e 354 cod.proc.civ., nonché, ex art.360, primo comma, n.2 cod.proc.civ., violazione ed erronea applicazione delle norme sulla competenza per territorio avendo, la Corte territoriale, omesso di pronunciarsi sulla eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Cuneo sollevata in primo grado e reiterata in appello (secondo motivo di appello): la Corte territoriale nulla ha statuito in ordine all’espresso motivo (di incompetenza territoriale) formulato con l’atto di appello con cui (senza domandare la rimessione della causa al giudice di primo grado) si faceva rilevare l’erroneità della decisione del giudice di prima istanza che – senza valutare approfonditamente la documentazione prodotta dalla società – aveva respinto la detta eccezione sulla scorta del fatto che emergeva, dalle allegazioni del lavoratore, che lo stesso “provvedesse ordinariamente a ritirare il furgone, per effettuare ritiri e consegna finale presso il deposito del mezzo in S.”; affermazione effettuata senza approfondita indagine sulla riconducibilità a “dipendenza aziendale“ del sito ove il lavoratore ritirava il furgone. Invero, il rapporto di lavoro era sorto a Napoli, ove era altresì la sede legale, con conseguente competenza del Tribunale di Napoli; in considerazione della sede a cui era addetto il lavoratore, sita in Bra, poteva, inoltre, ritenersi competente il Tribunale di Asti (ma solo ove non fosse possibile individuare un luogo di incontro delle volontà negoziali).
3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione, ex art.360 comma primo n.3 cod.proc.civ., degli artt. 112, 115 c.p.c. e 1460 c.c. avendo, la Corte territoriale, ritenuto provato la inesistenza del “giro di Bra” (consegne sul territorio assegnate al lavoratore) sorvolando del tutto sui riscontri e sulle contestazioni formulate dalla società, tenendo conto solamente della documentazione prodotta dal lavoratore. La Corte territoriale, inoltre, al pari del giudice di primo grado ha sollevato d’ufficio l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (ritenendo giustificato il comportamento del lavoratore di sospendere la prestazione) in assenza di deduzione della parte.
4. Con il quarto motivo di ricorso si denunzia omesso ed insufficiente esame su elementi istruttori concernenti punti decisivi della controversia, nonché contraddittorietà e superficialità della motivazione, avendo trascurato di motivare sulle istanze istruttorie formulate dalla società sin dal primo grado.
5. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.
5.1. La Corte territoriale ha correttamente rilevato che i diritti vantati con due separati ricorsi introduttivi del giudizio (annullamento di sanzioni disciplinari conservative, da una parte, e annullamento del licenziamento, dall’altro) hanno fatti costitutivi differenti (seppur i fatti storici relativi alle sanzioni conservative avevano carattere prodromico rispetto a quelli rilevanti in sede di recesso) e tale statuizione non è stata adeguatamente censurata da parte ricorrente, che si limita a richiamare gli orientamenti consolidati affermati in materia di abusivo frazionamento del credito. Questa Corte ha affermato che, con riferimento a crediti relativi a rapporti di durata, per negare la possibilità di agire in separati giudizi occorrono: 1) un requisito positivo, quale la iscrivibilità delle pretese in uno stesso ambito oggettivo d’un possibile giudicato o che le stesse siano fondate su stesso fatto costitutivo (con duplicazione di attività istruttoria in caso di accertamento separato di una delle pretese); 2) un requisito negativo: assenza di interesse oggettivo al frazionamento (così, da ultimo, Cass., S. U., n. 4090 del 2017). In assenza di dimostrata ricorrenza di entrambi i requisiti, la Corte territoriale si è correttamente conformata ai principi consolidati, rilevando, inoltre, la carenza di alcun pregiudizio a carico della società, a fronte della riunione dei giudizi sin dal primo grado.
6. Il secondo motivo è inammissibile.
6.1. Parte ricorrente invoca, quale giudice territorialmente competente, il Tribunale di Napoli (ove si è perfezionato il contratto di lavoro) o, in subordine, il Tribunale di Asti (“luogo della sede aziendale Bra”, rientrante nel circondario di detto Tribunale); rileva di aver sottolineato l’assenza di indagine, da parte del giudice di primo grado, in merito alle caratteristiche di “dipendenza aziendale” della sede di S. e di non aver mai chiesto la rimessione del giudizio al primo grado, in ossequio alla previsione tassativa del codice di rito (art. 354 c.p.c.), che non comprende l’ipotesi della incompetenza territoriale.
6.2. Nella sentenza impugnata viene rilevato, da una parte, che il giudice di primo grado (Tribunale di Cuneo) aveva respinto l’eccezione di incompetenza territoriale “non essendo contestata dalla convenuta … la deduzione attorea circa il fatto che il ricorrente ritirasse il furgone presso il deposito del mezzo in S. per effettuare i ritiri e le consegne, ciò che, secondo la giurisprudenza di legittimità, consente di ravvisare una dipendenza aziendale ai sensi dell’art. 413, comma 2, c.p.c.” (pag. 4 della sentenza impugnata); dall’altra, la Corte di appello ha sottolineato che l’eventuale accertamento della incompetenza territoriale (del Tribunale di Cuneo, che ha deciso la controversia) non avrebbe determinato la rimessione del giudice al primo grado (pag. 7 della sentenza impugnata).
6.3. Alla luce di tali elementi – pur dovendosi rilevare che ove il giudice dell’appello ravvisi l’incompetenza del giudice di primo grado, deve dichiarare l’incompetenza di quest’ultimo indicando il giudice competente in primo grado, davanti al quale il processo continuerà, se riassunto ai sensi dell’art. 50 cod. proc. civ., e non già trattenere la causa e deciderla nel merito (non rilevando, al riguardo, il divieto di remissione al primo giudice previsto dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ.; cfr. Cass. n. 10566 del 203 e Cass. n. 22810 del 2018) – il motivo si appalesa inammissibile in quanto prospettato con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione; parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale nonché il motivo proposto in grado di appello e gli elementi forniti per confutare la prospettazione attorea, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ.;
6.4. per contro, la sentenza impugnata ha evidenziato che il Tribunale di Cuneo aveva individuato la propria competenza a fronte dell’assenza di ogni contestazione, da parte della società, delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (cfr. Cass., n. 2003 del 2016 ed ivi ampi richiami, secondo cui la competenza territoriale deve essere delibata sulla base della prospettazione della domanda; cfr. da ultimo Cass. n. 26081 del 2023) e, dunque, ha deciso in base anche al principio di non contestazione (che rende pacifici i fatti non contestati), gravando sul convenuto che eccepisca l’incompetenza del giudice adito (trattandosi di eccezione in senso proprio) l’onere di contestare specificamente l’applicabilità di ciascuno dei suddetti criteri (e di fornire la prova delle circostanze di fatto dedotte a sostegno di tale contestazione); va, inoltre, tenuto conto del principio dettato dall’art. 413 cod.proc.civ. secondo cui, in tema di competenza territoriale, sussistono tre fori speciali esclusivi (quello ove è sorto il rapporto, quello ove si trova l’azienda e quello della dipendenza ove il lavoratore è addetto), alternativamente concorrenti tra loro (cfr., da ultimo, Cass. n. 17311 del 2018; Cass. n. 21989 del 2021).
6.5. Giova ricordare che, ai fini della competenza territoriale nelle controversie di lavoro, la nozione di “dipendenza alla quale è addetto il lavoratore”, di cui all’art. 413 c.p.c. (che, come detto, rappresenta un criterio alternativo e concorrente con gli altri per l’individuazione del giudice), nella più recente giurisprudenza di questa Corte, non coincide con quella di unità produttiva contenuta in altre norme di legge, ma deve intendersi in senso lato, in armonia con la mens legis mirante a favorire il radicamento del foro speciale del lavoro (avente carattere strumentale) nel luogo della prestazione lavorativa, alla condizione che l’imprenditore disponga ivi almeno di un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa (Cass. n. 23110 del 2010, n. 17347 del 2013); questa Corte ha affermato che la dipendenza dell’azienda, ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente in ordine alle controversie di lavoro ai sensi dell’art. 413 c.p.c., può essere ravvisata anche in un cantiere stradale della società datrice di lavoro, in cui siano addetti lavoratori e nel quale esistano beni destinati a rendere possibile l’espletamento dell’attività appaltata e quindi il conseguimento dei fini imprenditoriali (Cass. n. 11320 del 2014), così come presso la sede di proprietà dell’impresa committente ove il dipendente dell’impresa appaltata abbia, in via esclusiva, svolto la prestazione di lavoro, trattandosi di luogo destinato a rendere possibile l’espletamento dell’attività e quindi il conseguimento dei fini imprenditoriali perseguiti dal datore di lavoro-appaltatore (Cass. n. 26081 del 2023).
7. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono in parte infondati e, nella parte residuale, inammissibili.
7.1. In ordine alla censura relativa all’art. 1460 c.c. rileva il Collegio che l’exceptio inadimpleti contractus non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla sia desumibile, in modo non equivoco, dall’insieme delle sue difese, secondo un’interpretazione del giudice di merito che, se ancorata a correnti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 11728 del 2002, Cass., n. 20870 del 2009, Cass. n. 17424 del 2010, Cass. n. 1214 del 2017, Cass. n. 22785 del 2018).
7.2. Nella specie, nella sentenza impugnata è evidenziato che il lavoratore aveva lamentato di essere stato, ad un certo punto del rapporto di lavoro, assegnato (per la consegna/ritiro di corrispondenza e pacchi) al “giro di Bra” e che la documentazione dallo stesso prodotta ha dimostrato che detto giro non era stato mai precisato dalla società e, dunque, praticamente non esisteva, posto che il V. si era più volte recato (nell’orario di inizio dell’attività lavorativa) al piazzale della sede aziendale di Bra senza trovare un mezzo a lui assegnato e senza ottenere (nonostante solleciti via e-mail) istruzioni sul da farsi. Non può, quindi, ragionevolmente dubitarsi in ordine al fatto che una tale deduzione del lavoratore e la corrispondente produzione di documentazione a supporto di tali elementi intendessero sottoporre all’attenzione del Tribunale una condotta, ritenuta inadempiente, da ascriversi al datore di lavoro, dovendosi così, ravvisare, in essa, proprio la proposizione della suddetta eccezione, sulla quale, pertanto, – in quanto già oggetto del giudizio perchè ivi ritualmente introdotta – il menzionato Tribunale ha correttamente ritenuto di pronunciarsi.
7.3. Infine, questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., Cass. S.U. n. 20867 del 2020; nello stesso senso, fra le più recenti, Cass. n. 6774 del 2022, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile nè nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. nè in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).
8. Il ricorso va, pertanto, rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato – se dovuto – previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso […]”.
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