(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ordinanza 30 gennaio 2024, n. 2761.
Illegittimo il licenziamento della coordinatrice che abbia eseguito la prestazione lavorativa da remoto, operando per telefono, senza far venire meno la diligenza dovuta.
1.Il licenziamento per giusta causa, motivato dalla violazione sistematica degli orari di servizio, non è legittimo se la lavoratrice, avendo mansioni di coordinamento, non è soggetta a un vincolo di orario fisso. Non si può quindi licenziare la dipendente coordinatrice se questa, in funzione dell’attività svolta, esegue compiti in modalità telefonica o telematica e comunque non in presenza sul luogo di lavoro.
Secondo la S.C., non costituisce giusta causa di licenziamento il fatto che il dipendente svolga la sua prestazione da remoto, soprattutto nell’ipotesi in cui le mansioni affidate non richiedano la presenza fisica.
2.Motivi del licenziamento:
a) sistematica violazione delle disposizioni aziendali in ordine all’orario di lavoro;
b) svolgimento in modo incompleto e discontinuo della prestazione, con tanto di disbrigo di faccende personali durante l’orario di lavoro;
c) abuso della fiducia del datore in assenza di un sistema di rilevazione automatica delle presenze. l’abuso della fiducia del datore, approfittando della circostanza che non vi fosse un sistema di rilevazione automatica delle presenze, considerando che le mansioni assegnate prevedevano anche l’allontanamento dall’ufficio per effettuare i sopralluoghi sui cantieri.
3.La Cassazione, nel confermare le pronunce di merito, rileva preliminarmente che non può costituire giusta causa di licenziamento la circostanza che il dipendente svolga prevalentemente “da remoto” la propria prestazione. Ciò soprattutto laddove le mansioni assegnate prescindano completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo ed il lavoratore disponga dei mezzi aziendali necessari per porre in essere da remoto le attività affidategli. Ne consegue che – in tali circostanze – può essere mosso un addebito solo se il dipendente fa mancare il suo apporto di risultato ovvero se si dimostra che il tempo di lavoro sia stato dedicato ad altre attività, non compatibili con quelle lavorative, in misura tale da escludere la prestazione oraria.
Non rinvenendo quest’ultima circostanza nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società e conferma l’illegittimità dell’impugnata sanzione espulsiva.
4. La Suprema Corte ha ritenuto infondate le doglianze della società, condividendo le conclusioni della Corte d’Appello, che aveva evidenziato che la dipendente, in ragione del particolare ruolo di coordinatrice rivestito, ben potesse lavorare da remoto senza con questo far venire meno la diligenza dovuta. Difatti, dall’elenco di mansioni assegnate alla lavoratrice era dato evincere che alcune di esse prescindessero completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo.
Pertanto, non poteva escludersi che nei giorni o nelle ore che la società datrice indicava come “assenza dal servizio” la coordinatrice avesse, invece, compiuto questo tipo di attività e tenuto i necessari contatti per via telefonica in tutte le ore nelle quali la stessa risultava in luoghi diversi da quelli aziendali.
La S.C. ha inoltre ritenuto provata l’assenza di vincolo di orario lavorativo in capo ai coordinatori, come la lavoratrice in questione, rientrando nei compiti di gestione dei cantieri anche la tenuta in autonomia dei contatti con clienti e personali ed acquisti.
In definitiva, doveva ritenersi corretta l’affermazione della Corte di merito secondo cui l’addebito contestato, nel caso in parola, sarebbe stato fondato solo laddove la lavoratrice avesse fatto mancare il proprio apporto di risultato ovvero laddove fosse stato possibile dimostrare che il suo tempo fosse stato dedicato ad altre attività, non compatibili con quelle lavorative, in misura tale da escludere la prestazione oraria; circostanze, queste escluse in via di fatto.
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