(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sentenza 19 dicembre 2024, nella causa C-531/23 | [Loredas][1].
Organizzazione dell’orario di lavoro: i datori di lavoro domestico devono predisporre un sistema che consenta di misurare la durata dell’orario di lavoro giornaliero di ciascun collaboratore domestico.
1.Una collaboratrice domestica assunta a tempo pieno ha contestato il suo licenziamento dinanzi ai giudici spagnoli. Poiché il suo licenziamento è stato dichiarato illegittimo, i suoi datori di lavoro sono stati condannati a versarle talune somme a titolo di giorni di ferie non goduti e di ore di lavoro straordinario. Per contro, il giudice spagnolo ha ritenuto che la lavoratrice non avesse dimostrato né le ore di lavoro effettuate né la retribuzione da lei richiesta. Infatti, esso ha ritenuto che la lavoratrice non potesse basarsi unicamente sulla mancata produzione, da parte dei suoi datori di lavoro, di registri giornalieri dell’orario di lavoro da lei effettuato, in quanto la normativa spagnola esenta taluni datori di lavoro, tra i quali si annoverano i nuclei familiari, dall’obbligo di registrazione dell’orario di lavoro effettivo svolto dai loro dipendenti.
Il tribunale spagnolo investito dell’appello di tale decisione da parte della lavoratrice nutre dubbi in ordine alla compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione. Esso ha quindi chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi al riguardo.
2.La Corte di Giustizia ricorda che, nella sentenza CCOO[2] , essa ha dichiarato contrarie alla direttiva sull’organizzazione dell’orario di lavoro[3] la normativa spagnola allora in vigore nonché l’interpretazione di quest’ultima da parte degli organi giurisdizionali nazionali, secondo la quale i datori di lavoro non erano obbligati ad istituire un sistema che consenta di misurare la durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore. A seguito di tale sentenza, il legislatore spagnolo ha imposto ai datori di lavoro l’obbligo di istituire un siffatto sistema.
La Corte ricorda altresì che tutte le autorità degli Stati membri, ivi inclusi gli organi giurisdizionali, sono tenute a contribuire al conseguimento del risultato previsto dalle direttive.
L’interpretazione di una disposizione nazionale da parte dei giudici o una prassi amministrativa le quali esonerino i datori di lavoro dall’obbligo di istituire un tale sistema per quanto riguarda i collaboratori domestici manifestamente non rispettano la direttiva[4]. Infatti, tali lavoratori si vedono così privati della possibilità di determinare in modo obiettivo e affidabile il numero di ore di lavoro effettuate e la loro ripartizione nel tempo. Per contro, è possibile prevedere regole particolari in ragione del settore di attività di cui si tratta o delle specificità di taluni datori di lavoro, come le loro dimensioni, purché sia effettivamente garantita la durata massima settimanale del lavoro.
Pertanto, in ragione delle peculiarità del settore del lavoro domestico, possono essere previste talune deroghe per quanto riguarda le ore di lavoro straordinario e il lavoro a tempo parziale, purché esse non svuotino di contenuto la normativa di cui trattasi, circostanza che dovrà essere verificata dal tribunale spagnolo.
Poiché i collaboratori domestici sono un gruppo di lavoratori nel quale è chiaramente prevalente il sesso femminile, non è escluso che, nel caso di specie, sussista una discriminazione indiretta fondata sul sesso, a meno che tale situazione sia oggettivamente giustificata, circostanza che dovrà essere anch’essa verificata dal tribunale spagnolo.
[1] Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.
[2] Sentenza del 14 maggio 2019, nella causa C-55/18, CC.OO,
[3] Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro.
[4] Più in particolare, i diritti dei lavoratori a periodi di riposo giornaliero e settimanale e alla limitazione della durata massima settimanale di lavoro (articoli 3, 5 e 6 della direttiva), riconosciuti anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 31, paragrafo 2).
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