Licenziamento collettivo. Comunicazione. Mancata indicazione dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore. Criteri di scelta. Correttezza. Prova.
Cassazione. Sentenza 25 marzo 2022, n. 9800Corte di cassazione. Sentenza 25 marzo 2022, n. 9800.
Licenziamento collettivo. Comunicazione. Mancata indicazione dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore. Criteri di scelta. Correttezza. Prova.
Il datore di lavoro deve specificare -nella comunicazione ex art. 4, comma 9, della legge n. 223/1991- le modalità applicative dei criteri concordati con le OO.SS., in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui -e non altri dipendenti-sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l’illegittimità della misura espulsiva
Dal testo della sentenza
“[…] Fatti di causa.
1. Con sentenza n. 569 dell’11.6.2019 la Corte d’appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo intimato da A.T. G.T. s.p.a. (già I.B.A. Logistics Italia s.p.a.) con lettere ricevute nell’arco del periodo 28.11-9.12.2914 agli originari ricorrenti, ed ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti e condannato la società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970.
2.La Corte territoriale ha ritenuto che il licenziamento intimato ex lege n. 223 del 1991 risultava affetto da mera violazione di carattere formale consistente nella mancata indicazione – nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991 diretta ai lavoratori – dei concreti punteggi attribuiti a ciascun lavoratore e dei dati fattuali relativi ai carichi di famiglia, considerata l’indicazione dei tre criteri di scelta, dei punteggi astratti previsti in relazione a ciascun criterio, dei dati relativi all’anzianità di servizio di ciascun lavoratore, dei lavoratori da licenziare, e la produzione documentale, in sede giudiziale, del datore di lavoro che comprovava la corretta applicazione dei criteri di scelta.
3.Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso sei degli originari lavoratori sulla base di quattro motivi; la società intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
4.Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
Ragioni della decisione.
1.Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 9, e 5, della legge n. 223 del 1991 nonché 18, commi 4 e 7, della legge n. 300 del 1970, 24 e 111 Cost., per errata valutazione, da parte della Corte territoriale, delle carenze della comunicazione finale effettuata, ex art. 4, comma 9 cit., ai lavoratori, carenze che integravano non una mera irregolarità formale bensì la violazione dei criteri di scelta, mancando la puntuale indicazione delle modalità di applicazione dei criteri idonea a consentire la valutazione comparativa delle posizioni dei dipendenti e, pertanto, la verifica della corretta applicazione dei suddetti criteri.
2.Con il secondo ed il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, legge n. 223 del 1991, 115, 116 cod.proc.civ., 2727 cod.civ., 111 Cost. avendo, la Corte territoriale, omesso qualsiasi pronuncia in ordine alla eccezione, sollevata dai lavoratori sin dal ricorso introduttivo del giudizio della irrazionalità e discrezionalità del criterio dell’anzianità di servizio (che attribuiva un punteggio di 0,25 ogni anno e non per mese o frazione di anno) e di quello delle esigenze tecnico-produttive-organizzative (che attribuiva diversi punteggi in base alle diverse abilitazioni possedute).
3.Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 cod.civ. e 132, secondo comma, n. 4 cod.proc.civ. avendo, la Corte territoriale, valutato, ai fini della determinazione del risarcimento del danno solamente il comportamento dei lavoratori (che hanno rifiutato i contratti di solidarietà, senza considerare che il rifiuto era stato espresso dall’assemblea di tutto il personale).
4.Il primo motivo di ricorso è fondato.
4.1. Questa Corte ha più volte affermato che la disciplina dettata dalla legge n. 223 del 1991 in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale rappresenta una garanzia, di natura essenzialmente procedimentale, destinata ad operare su un duplice piano di tutela – delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali – assolvendo alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere ma altresì di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato al licenziamento, la previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro (Cass. n. 19618 del 2011; Cass. n. 15694 del 2009).
4.2. In particolare, la comunicazione di cui all’art.4, comma 9 della legge n. 223 del 1991, che fa obbligo di indicare “puntualmente” le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, è finalizzata a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell’operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti (Cass. n. 12344 del 2015, Cass. n. 19320 del 2016). Essa cristallizza anche le ragioni del recesso, non consentendo al datore di lavoro di dedurre in giudizio, ex post, l’applicazione di modalità della scelta diverse da quelle risultanti dalla citata comunicazione. A tal fine, quindi, l’esigenza di consentire il controllo (contestuale e successivo) impone che non solo i criteri, ma anche i presupposti fattuali sulla base dei quali i criteri sono stati applicati risultino ricavabili dalla comunicazione. La valutazione dell’adeguatezza della comunicazione costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito (così, con riferimento alla comunicazione, di apertura della procedura, Cass. n. 2113 del 2016).
4.3. La generica indicazione dei criteri dei lavoratori da licenziare, in particolare dei dati relativi ai carichi di famiglia e della concreta traduzione, per ciascun lavoratore, dei punteggi ricollegati – astrattamente – ai criteri selezionati (anzianità di famiglia, esigenze tecnico produttive ed organizzative, carichi di famiglia), ha impedito ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, non offrendo alcun parametro comparativo, rispetto alla posizione di altri lavoratori, idoneo ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli, come, invece, sostenuto dalla società. Invero, in mancanza della esplicitazione di un criterio oggettivo di ponderazione tra criteri eterogenei, l’indicazione astratta del loro contestuale operare non è sufficiente a dar conto di come gli stessi dovessero essere applicati con modalità trasparenti e verificabili.
4.4. In ordine al regime sanzionatorio, da tempo questa Corte (Cass. n. 12095 del 2016; Cass. n. 19320 del 2016; Cass. n. 2587 del 2018; Cass. n. 19010 del 2018; Cass. n. 2390 del 2022) ha interpretato la legge n. 223 del 1991, art. 5, comma 3 (come sostituito dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 46) distinguendo il “caso di violazione delle procedure richiamate all’art. 4, comma 12″, per il quale opera, la, tutela meramente indennitaria, dal “caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1”, per il quale si applica la tutela reintegratoria: mentre la non corrispondenza della comunicazione al modello legale di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, costituisce “violazione delle procedure”, il diverso “caso di violazione dei criteri di scelta” si ha non nell’ipotesi di incompletezza formale della comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, bensì allorquando i criteri di scelta siano, ad esempio, illegittimi, perché in violazione di legge, o illegittimamente applicati, perché attuati in difformità dalle previsioni legali o collettive.
5.La decisione della Corte territoriale non ha fatto applicazione di tali principi ove, confondendo le questioni della legittimità dei criteri concordati con le OO.SS. con la “puntuale indicazione” dei criteri di scelta e delle modalità applicative (da specificare nella comunicazione prevista dall’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991), ha soprasseduto sull’assenza, nella detta comunicazione, di alcune indicazioni (“indicazione dei concreti punteggi a tali specifici lavoratori attribuiti nonché i dati fattuali relativi ai carichi di famiglia e ancora i punteggi assegnati agli altri lavoratori posti a raffronto nell’ambito della griglia valutativa”) necessarie a far comprendere come i criteri concordati fossero stati applicati nella fattispecie, consentendo, alla società, di effettuare una valutazione di carattere prettamente discrezionale in ordine alla scelta dei lavoratori da licenziare e di colmare, successivamente, le lacune nella fase istruttoria del giudizio onde dimostrarne la corretta applicazione.
6.Il datore di lavoro deve, invece, provvedere a specificare, nella comunicazione ex art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, le modalità applicative dei criteri concordati con le OO.SS., in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l’illegittimità della misura espulsiva” (Cass.n. 12196 del 2011 ; conf. Cass.n. 18306 del 2016; Cass.n. 24352 del 2017; da ultimo Cass. n. 28461 del 2018 e Cass. n. 29289 del 2019). Come detto, la finalità della comunicazione in questione va individuata nella necessità non solo del controllo sulla effettività della scelta adottata, ma anche delle modalità di concreta applicazione dei criteri concordati.
7.Secondo l’accertamento della stessa Corte territoriale, la mancata indicazione nella comunicazione ex art. 4, co. 9, della l. n. 223/1991 dei dati concernenti i carichi di famiglia dei lavoratori, della griglia dei lavoratori selezionati in base al concreto punteggio loro attribuito e, dunque, delle modalità con le quali erano stati applicati i criteri di scelta non consentiva, al lavoratore destinatario, di comprendere la legittimità dell’applicazione dei suddetti criteri, impedendo ogni verifica di coerenza tra i detti criteri e la concreta applicazione degli stessi, in assenza di parametri comparativi rispetto alla posizione di altri lavoratori, idonei ad escludere la sussistenza di ingiustificati trattamenti più favorevoli, carenze che non potevano ritenersi sanate attraverso un’indagine in fase giudiziale volta a verificare la sussistenza in concreto dell’interesse ad agire in relazione al pregiudizio vantato.
8.La lacunosità della comunicazione inviata al lavoratore si è, dunque, in concreto tradotta in un’illegittima applicazione dei criteri di scelta concretatasi nella lacunosità della comunicazione che non raggiungeva un livello di adeguatezza idoneo a mettere in grado il lavoratore di comprendere per quale ragione lui, e non altri colleghi, fosse stato licenziato e quindi di poter contestare il recesso datoriale, dovendosi dare continuità all’orientamento di questa Corte secondo cui quando la comunicazione ex art. 4, co. 9, L. n. 223 del 1991 carente sotto il profilo formale delle indicazioni relative alle modalità di applicazione dei criteri di scelta si sia risolta nell’accertata illegittima applicazione di tali criteri vi è, in conformità ai principi affermati da questa Corte (cfr. Cass. n. 2587 del 2018 e Cass. n. 19320 del 2016, citate; Cass. n. 12095 del 2016), annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (ex art. 18, co. 4, testo novellato.
9. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che provvederà altresì alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che provvederà altresì alle spese del presente giudizio di legittimità […]”.
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