(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 1512, depositata il 15 gennaio 2024.

“In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale non assume rilievo, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo”, non contemplandosi, tra i parametri dell’art. 5, l. n. 223 del 1991, “la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro”.

“Corte di Cassazione,

[…]

Rilevato che

1. la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato l’illegittimità del licenziamento intimato il 14 marzo 2018 a C.S. (assunto in data successiva al 15 marzo 2015) dalla società L.V. Spa, all’esito di una procedura di licenziamento collettivo, e dichiarato estinto il rapporto di lavoro alla data del recesso, con condanna della datrice di lavoro al pagamento di un’indennità di importo pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre accessori e spese;

2. la Corte fiorentina, facendo proprie le argomentazioni spese nella motivazione di una sentenza resa dalla stessa Corte sulla medesima procedura, ha così motivato: “il datore di lavoro ha in effetti indicato, nella comunicazione di avvio della procedura, in modo invero non chiarissimo, le ragioni per cui ha ritenuto di limitare la scelta dei lavoratori da licenziare a quelli addetti alla R.B., laddove ha fatto riferimento alla <agevole e comoda raggiungibilità delle diverse unità produttive da parte del personale in ciascuna impiegato>, con ciò presupponendo che i dipendenti della R.B. non fossero in grado di soddisfare tale esigenza aziendale in quanto residenti o domiciliati in località (Strada in Chianti o vicinanze) troppo distante dal <nuovo> possibile luogo di lavoro, sia avendo riguardo alle varie RSA sparse sul territorio nazionale, sia alla più vicina RSA Masaccio di Firenze, pur distante solo 30 km. Il criterio di selezione utilizzato è stato quindi quello della vicinanza della abitazione del lavoratore al luogo di lavoro, e non un criterio legato alla professionalità, che è invece pacificamente fungibile tra lavoratori delle diverse RSA per tutti i profili interessati (operatori sociosanitari, assistenti di base, infermieri, fisioterapisti, animatori)”; ne discende – secondo la Corte – che “l’esigenza aziendale come prospettata dalla società alla base della scelta del personale da licenziare non ha in effetti carattere di oggettività, posto che si tratta di una esigenza (<l’agevole e comoda raggiungibilità […]> del luogo di lavoro da parte del dipendente) non obiettivamente valutabile, non necessariamente ancorata al dato della residenza attuale del dipendente come presuppone la parte datoriale, ma dipendente dalle libere determinazioni del lavoratore, che potrà ben scegliere in autonomia di spostare la propria residenza o sobbarcarsi i viaggi e le spese per raggiungere il luogo di lavoro e rispondere alle richieste di pronta reperibilità del datore […]”; in definitiva, per la Corte di Appello, “è stata indicata nella comunicazione di avvio della procedura una esigenza aziendale definita in termini ampiamente valutativi (che peraltro i lavoratori della R.B. avrebbero ben potuto soddisfare quanto alla struttura di Firenze trasferendo l’abitazione o anche viaggiando in auto o moto dal luogo di residenza) e poi in concreto è stato utilizzato il criterio della mera residenza nei pressi della R.B., di per sé solo non apprezzabile quale unico criterio idoneo ad assicurare <l’agevole e comoda raggiungibilità> […]”, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità la quale richiede che la limitazione della platea dei soggetti licenziabili sia giustificata da una esigenza aziendale oggettiva, individuando “le ragioni oggettive che giustificano la limitazione sempre in relazione alla professionalità dei lavoratori” ed escludendo che “possa essere rilevante la distanza tra le unità produttive, la necessità per il datore di lavoro di procedere ad un assetto organizzativo, l’incertezza sulle determinazioni dei lavoratori circa il trasferimento in un diverso luogo di lavoro”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con due motivi; ha resistito con controricorso l’intimato, che ha anche comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

1. i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;

-con il primo di denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la “violazione o falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, legge 223/1991, in punto di omessa comparazione tra lavoratori”; a sostegno si deduce che: la Corte territoriale confonderebbe “il criterio selettivo con il suo fondamento giustificativo”; ometterebbe, poi, “di considerare la puntuale esposizione, nell’ambito della comunicazione di avvio della procedura, delle motivazioni giustificanti la delimitazione spaziale dell’esubero di personale”; contraddittoriamente non darebbe conto della piena valorizzazione del “minor impatto sociale” della procedura nonché della “preferenza” del lavoratore per la “diversa dislocazione” rispetto alla “perdita del posto di lavoro”; ancora contraddittoriamente negherebbe “che possa avere valore di criterio l’elemento della residenza in funzione della distanza tra unità produttive”; infine, argomenterebbe “falsamente in ordine alla applicazione del criterio della residenza e/o domicilio quanto alla posizione dei lavoratori F.M., S.S., G.R. e R.S.”;

  • con il secondo motivo si denuncia: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ.: omesso esame dell’offerta agli esodandi di trasferimento volontario presso le diverse RSA presenti su tutto il territorio regionale e nazionale”;

2. il ricorso, in entrambi i motivi in cui è articolato, non può trovare accoglimento;

2.1. la sentenza impugnata è conforme a consolidata giurisprudenza di questa Corte in punto di delimitazione della platea dei lavoratori entro la quale effettuare la scelta dei destinatari di un licenziamento collettivo (tra le più recenti v. Cass. n. 20671 e n. 22040 del 2023);

-la regola generale scritta nel primo comma dell’art. 5, l. n. 223 del 1991, è che “l’individuazione dei lavoratori da licenziare” deve avvenire avuto riguardo al “complesso aziendale” (cfr. Cass. n. 5373 del 2019);

-la giurisprudenza di questa Corte ha consentito che la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale possa essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale, ma “purché il datore indichi nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti”, con la conseguenza che “qualora nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell’obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali” (Cass. n. 4678 del 2015; Cass. n. 22178 del 2018; v., ancora di recente, Cass. n. 12040 del 2021); la delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento è, peraltro, condizionata (cfr. Cass. n. 981 del 2020; Cass. n. 14800 del 2019) agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto, non potendo rappresentare l’effetto dell’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma dovendo essere giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale adeguatamente esposte nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, onde consentire alle OO.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere (ex plurimis: Cass. n. 32387 del 2019; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 880 del 2013; Cass. n. 22825 del 2009); ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, infatti, è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991, ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (sin da Cass. n. 8474 del 2005 e, più di recente, Cass. n. 15953 del 2021; Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015; Cass. nn. 2429 e 22655 del 2012; Cass. n. 9711 del 2011), ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi (cfr., tra le altre, Cass. n. 13783 del 2006; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 15953 del 2021);

infatti, si è precisato che la comparazione dei lavoratori – al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità – non deve necessariamente interessare l’intero complesso aziendale, ma può avvenire (secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico – produttive) nell’ambito della singola unità produttiva, purché la predeterminazione del limitato campo di selezione sia giustificata dalle suddette esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale; tuttavia si è esclusa (da ultimo Cass. n. 20671 del 2023) la sussistenza di dette esigenze ove i lavoratori da licenziare siano idonei – per acquisite esperienze e per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti o sedi (tra le recenti v. Cass. nn. 21306, 18416 e 2221 del 2020; in precedenza Cass. n. 13783 del 2006; Cass. n. 21015 del 2015); in altri termini, l’individuazione della platea dei lavoratori interessati non può coincidere automaticamente con quelli addetti all’unità produttiva da sopprimere, senza una ulteriore specificazione relativa alle mansioni effettivamente svolte e alla loro comparabilità con quelle dei lavoratori degli altri settori o unità dell’impresa (cfr. Cass. n. 13953 del 2015; Cass. n. 21015 del 2015; Cass. n. 22672 del 2018; Cass. n. 21886 del 2020); “ne consegue l’illegittimità della scelta in ragione dell’impiego dei lavoratori da porre in mobilità in un reparto soppresso o ridotto, senza tener conto del possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altri settori aziendali” (Cass. n. 33889 del 2022), professionalità equivalente dei lavoratori non coinvolti dalla procedura che ci occupa che appare incontestata nella fattispecie all’attenzione del Collegio; in particolare, poi, è stato ribadito il principio secondo cui, di per sé, “in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, non assume rilievo, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo”, non contemplandosi, tra i parametri dell’art. 5, l. n. 223 del 1991, “la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro” (v. Cass. n. 17177 del 2013; Cass. n. 32387 del 2019; Cass. n. 22040 del 2023);

2.2. la sentenza impugnata è coerente con gli esposti orientamenti e la Corte fiorentina applica specificamente e consapevolmente il principio da ultimo richiamato, sicché le censure di parte ricorrente non evidenziano realmente errori di diritto che sarebbero stati commessi dalla decisione impugnata, quanto piuttosto ci si duole dell’interpretazione offerta dai giudici d’appello alla comunicazione di apertura della procedura ed alla contestata natura oggettiva del criterio utilizzato per limitare la platea dei licenziandi, ma ciò involge apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di questa Corte;

2.3. parimenti inammissibile la doglianza formulata ai sensi del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., atteso che “il fatto che nel corso della procedura la società abbia proposto ai lavoratori il trasferimento volontario in alcuni posti disponibili nelle varie RSA sparse sul territorio nazionale” è stato specificamente preso in considerazione alla pag. n. 14 della sentenza impugnata, sicché non può sostenersi che ne sia stato omesso l’esame, come necessariamente postula il vizio denunciato, mentre non può assumere rilievo la diversa valutazione, rispetto a quella del giudice cui compete il merito, effettuata dalla parte risultata soccombente;

3. pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con le spese regolate secondo soccombenza come da dispositivo;

-ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13  (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate […]”.