Licenziamento collettivo. Illegittimità. Inadempimento degli obblighi ex art. 4, co. 9, legge n. 223/1991.

Cassazione, Ordinanza 5 aprile 2022, n. 11004.

Corte di Cassazione, Ordinanza 5 aprile 2022, n. 11004.

Licenziamento. Illegittimità. Procedura di mobilità. Inadempimento degli obblighi ex art. 4 co. 9 legge n. 223/1991. Contestualità della comunicazione del recesso al lavoratore e alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro .Tutela indennitaria forte.

In tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto dall’art. 4, comma 9, L. n. 223/1991, come modificato dalla L. n. 92/2012, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alla Commissione regionale per l’impiego nonché alle organizzazione sindacali, deve intendersi come cogente e perentorio e comporta, in caso di violazione, l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere ovvero che non sia stato dimostrato il danno derivante dalla mancata comunicazione.

 

Dal testo dell’ordinanza

”[…] Rilevato che

La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 290/2019, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede, previa declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato (7 agosto 2017), all’esito della procedura di mobilità messa in atto dalla K. spa, ha dichiarato risolto, a far data dal recesso, il rapporto di lavoro e ha condannato la società al pagamento, in favore di S.D.F., di una indennità pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Per quello che interessa in questa sede, i giudici di seconde cure hanno rilevato che la K. spa non aveva ritualmente osservato le prescrizioni comportamentali dettate dall’art. 4 co. 9 legge n. 223/1991 in tema di rituale e tempestiva comunicazione all’Ufficio Regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria, dell’elenco dei lavoratori licenziati. In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato che: la comunicazione del 7.8.2017 (rubricata “legge 23 luglio 1991 n. 223. Informativa delle modalità e dei criteri di attuazione dei licenziamenti ex legge n. 223/91 art. 4 comma 9°”), conteneva la graduatoria dei lavoratori coinvolti senza però specificare il numero ed il nominativo dei soggetti licenziati; con successiva nota del 14.9.2017, “per quanto previsto dall’art. 4” era stata trasmessa per la prima volta l’elenco nominativo dei primi 42 dipendenti in mobilità con risoluzione del rapporto di lavoro con effetti dalla data indicata per ciascuno di essi (8.8.2017); la iniziale graduatoria era stata poi rettificata con successive note del 9.10.2017 e del 20.10.2017 senza alcun chiarimento in ordine alle ragioni di tale rettifica; con nota del 4.12.2017 la K. spa aveva trasmesso un ulteriore elenco di 80 dipendenti, in aggiunta a quelli già comunicati, posti in mobilità. La Corte di merito ha ritenuto, pertanto, che la comunicazione del 7.8.2017 non poteva configurare il reale provvedimento della procedura di mobilità collettiva in quanto carente dell’indicazione dei lavoratori licenziati e oggetto di successive rettifiche e ha concesso la tutela indennitaria forte (assunto il 2 marzo 2016), sul punto accogliendo il motivo di appello della società, respingendo l’eccezione dell’aliunde perceptum.

Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione la K. spa affidato ad un solo motivo, cui ha resistito con controricorso S.D.F.

Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Considerato che

1.Con l’unico articolato motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 4 co. 9 della legge n. 223/91, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che la comunicazione finale di cui alla norma citata potesse essere inviata solo dopo l’invio delle lettere di licenziamento e che non fosse sufficiente l’allegazione della graduatoria di tutti i dipendenti della K. spa, con l’indicazione dei punteggi attribuiti a ciascuno di essi, ma si dovessero immediatamente indicare anche i lavoratori in concreto licenziati.

2.il motivo è infondato;

3. come noto, nell’art. 4, nono comma l. 223/1991 denunciato di violazione, la parola “contestualmente” è stata sostituita dall’art. 1, quarto comma I. 92/2012, con le parole “entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi”, mentre l’art. 2, comma 72 della stessa legge ha modificato il primo comma dell’art. 4 della legge n. 223/91 (secondo cui “L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non potere ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare le “procedure di mobilità” ai sensi del presente articolo”), sostituendo le parole “le procedure di mobilità” con le parole “la procedura di licenziamento collettivo”. E il dodicesimo comma dello stesso art. 4 ha disposto poi che “le comunicazioni di cui al nono comma sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo”. Ebbene, secondo il consolidato di questa Corte (ribadito in particolare da: Cass. 22 novembre 2016, n. 23736), in tema di licenziamenti collettivi, il requisito della contestualità della comunicazione del recesso al lavoratore e alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro, richiesto a pena d’inefficacia del licenziamento medesimo, non può che essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido ed analitico, e con termini molto ristretti, nel senso di una necessaria ed ineliminabile contemporaneità delle due comunicazioni la cui mancanza può non determinarne l’inefficacia, solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, da comprovare dal datore di lavoro(Cass. n. 1722/09; Cass. 16776/09; Cass. n. 7490/11). Ed ancora, in tema di licenziamento collettivo(secondo la disciplina antecedente alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), la contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell’elenco dei dipendenti licenziati e dei criteri di scelta, richiesta, a pena di inefficacia del licenziamento, dall’art. 4, nono comma l. 223/1991, si giustifica al fine di consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza nell’applicazione dei menzionati criteri da parte del datore di lavoro, anche al fine di sollecitare, prima dell’impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento eseguito in loro violazione: con la conseguenza che la funzione di tale ultima comunicazione implica che non possa accedersi ad una nozione “elastica” di contestualità, riferita anche alla data in cui il licenziamento abbia effetto, dovendosi ritenere irragionevole che, per non incorrere in una decadenza dal termine stabilito dall’art. 6 I. 604/1966, il lavoratore debba impugnare il licenziamento senza la previa conoscenza dei criteri di scelta (Cass. n. 8680/15; Cass. 22024/15);

3.1. tale insegnamento è stato più recentemente ribadito, con la conferma che, in tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto dall’art. 4, nono comma l. 223/1991, siccome modificato dalla l. 92/2012, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alla Commissione regionale per l’impiego nonché alle organizzazione sindacali, debba intendersi come cogente e perentorio, così come era stato interpretato il requisito della “contestualità” nel regime anteriore alla riforma del 2012, che ha inteso superare le precedenti possibili discrasie nella individuazione concreta di un parametro congruo assegnando un termine certo (Cass. 13 novembre 2018, n. 29183; Cass. 14 ottobre 2019, n. 25807). In particolare, tali ultime sentenze hanno affermato come il carattere cogente e perentorio del termine comporti, in caso di violazione, l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere ovvero che non sia stato dimostrato il danno derivante dalla mancata comunicazione; atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale dell’operazione posta in essere dal datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo spatium deliberandi riservato al lavoratore per l’impugnazione del recesso nel termine di decadenza di cui all’art. 6 l. 604/1966);

4.nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, e congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal quarto capoverso di pg. 11 al primo di pg. 15 della sentenza), che la nota del 7 agosto 2017 di comunicazione all’Ufficio del lavoro, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria dell’elenco dei lavoratori licenziati, non configurasse “reale provvedimento terminale della procedura di mobilità collettiva, in quanto carente dell’indicazione dei nominativi dei lavoratori licenziati ed oggetto di successive rettifiche (in adesione a taciute esigenze sopravvenute) potenzialmente destinate ad alterare l’elenco dei lavoratori coinvolti nella procedura” (così al secondo capoverso di pg. 14 della sentenza). E ciò perché anteriore ai primi licenziamenti intimati (42 in data 8 agosto 2017) e comunicati soltanto con la nota del 14 settembre 2017; e non essendo in essa “inclusi i lavoratori addetti al front office (poi inseriti nei successivi elenchi)” (così ai due ultimi alinea del terzultimo capoverso di pg. 12 della – sentenza). Quanto agli altri 80 lavoratori licenziati, destinatari di analoga missiva tra il 31 agosto e il 26 novembre 2017, essi sono stati oggetto di comunicazione, dopo le note del 9 e 20 ottobre 2017 di integrazione e rettifica della graduatoria (senza però alcun chiarimento), con quella del 4 dicembre 2017;

4.1. posto che la comunicazione in questione (il cui termine di sette giorni decorre dalla comunicazione del primo licenziamento, come risulta dal tenore letterale della disposizione, che fa espresso riferimento alla “comunicazione” dei recessi e non già alla data di loro ricezione), per assolvere alla funzione cui è normativamente preordinata, non può essere parcellizzata in tante comunicazioni (ciascuna limitata ai lavoratori fino a quel momento licenziati ed effettuata entro sette giorni dai singoli licenziamenti) ma deve essere unica, così da esprimere l’assetto definitivo sull’elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta (Cass. 26 settembre 2018, n 23034), la comunicazione del 7 agosto 2017 risulta inidonea, sotto i profili di trasparenza informativa, completezza contenutistica e di rispetto della rigida scansione procedimentale, a consentire un adeguato controllo alle parti sociali e alle amministrazioni interessate ed essendo data comunicazione dei recessi soltanto con le suindicate note successive, ben oltre il termine perentorio di sette giorni;

4.2. un tale argomentato accertamento resiste alla censura della ricorrente ed è anzi confermato dall’allegazione della comunicazione 7 agosto 2017 con la relativa graduatoria senza alcuna confutazione della pure rilevata mancata inclusione in essa dei lavoratori addetti al front office;

5.il ricorso deve pertanto essere rigettato, per infondatezza, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario in base alla sua richiesta, nonché raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15%, con distrazione in favore del difensore antistatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto […]”.