Licenziamento. Integrazione fra le attività della controllante e le attività della controllata. Accertamento dell’uso promiscuo della prestazione.
Cassazione, Ordinanza 24 Marzo 2022, n. 9663Cassazione, Ordinanza 24 Marzo 2022, n. 9663.
Licenziamento. Contitolarità del rapporto di lavoro. Integrazione fra le attività della controllante e le attività della controllata. Accertamento dell’uso promiscuo della prestazione.
Dal testo dell’ordinanza
[…] Rilevato che
- la Corte di appello di Milano decidendo sull’appello proposto da A.I. s.p.a. (già M.F. s.p.a.), da A.I. Fleet Managment Company s.p.a.- AIFCM (già A.I. s.p.a.) e da A. s.p.a. nei confronti di L.F., in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto le domande proposte dalla lavoratrice nei confronti di A. s.p.a., compensando tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Accertata l’unitarietà dell’impresa costituita dalle società A.I. s.p.a. (già M.F. s.p.a.) e AIFMC (già A.I. s.p.a.), ha condannato le stesse a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ed a corrisponderle un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, in misura non superiore a dodici mensilità, oltre accessori di legge, confermando nel resto la sentenza impugnata;
- per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso A.I. s.p.a. e A.I. Fleet Managment Company s.p.a. (AIMFC s.p.a.), affidato a cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ. La lavoratrice ha resistito con controricorso ed ha depositato successiva memoria. A. s.p.a. è rimasta intimata;
- le società ricorrenti hanno notificato via p.e.c. alle controparti, in prossimità della adunanza camerale, atto di rinuncia al giudizio ed hanno chiesto la declaratoria di estinzione del processo; la difesa della lavoratrice, nel dare atto dell’avvenuta notificazione della rinuncia, ha insistito per la condanna alle spese, con attribuzione agli avvocati che se ne sono dichiarati antistatari.
Considerato che
- con il primo motivo di ricorso le società ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ. e degli artt. 24, 4, e 5 l. n. 223/1991, nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto illegittimo il licenziamento sul presupposto che a fondare la contitolarità del rapporto di lavoro bastasse la integrazione fra le attività della controllante e le attività della controllata; ciò a prescindere dall’esame della posizione individuale del singolo lavoratore in rapporto al suo inserimento nella complessiva struttura aziendale e dal concreto accertamento dell’uso promiscuo della sua prestazione;
- con il secondo motivo deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 l. n. 223/1991 nonché dell’art. 115 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata in base al rilievo che, anche a voler considerare unitariamente la struttura delle società M.F. s.p.a. e A.I. s.p.a., l’individuazione dei lavoratori in esubero non poteva che avvenire in relazione alle esigenze tecniche, organizzative e produttive manifestatesi nel perimetro aziendale della prima società; ciò tanto più in considerazione del fatto che la lavoratrice non aveva neppure allegato e provato l’utilizzo promiscuo della sua prestazione da parte delle due società; in ogni caso, anche a voler considerare le esigenze tecniche, organizzative e produttive in questione nell’ambito dell’intero gruppo M.F./A.I., la scelta dei dipendenti da licenziare non poteva che avvenire all’interno del solo personale navigante di M.F.; le due società, infatti, avevano mantenuto strutture autonome, dotate di propri beni, risorse, licenze di esercizio ecc. e la struttura in crisi che aveva generato gli esuberi sin dal 2011 era quella facente capo a M.F.; al fine della configurabilità di un unico centro di imputazione non poteva prescindersi, oltre che dai parametri rappresentati dalla unicità della struttura organizzativa e produttiva, dalla stretta connessione funzionale tra imprese, dal coordinamento tecnico-amministrativo e finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faceva confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune, nonché dall’ulteriore parametro rappresentato dall’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari di distinte imprese; nel caso in esame era mancato l’accertamento, e ancor prima l’allegazione e prova della circostanza che la prestazione della lavoratrice fosse stata svolta in favore di entrambe le aziende;
- con il terzo motivo di ricorso deducono violazione degli artt. 2359, 2947 e segg. cod. civ., degli artt. 776 e 779 cod. nav. nonché del Regolamento europeo n. 859/2008 (capo C) OPS 1.185 punto 5 e Appendice 2 dell’OPS 1.175 punti a) e b), del Regolamento europeo n. 1008/2008, art. 2 (nn. 1, 8 e 25), art. 3 (n. 2), art. 4 punto e), del Regolamento Europeo n. 965 del 2012 – Allegato 3 Capo CC Sezione 1 ORO. CC. 125; il giudice di appello ha trascurato di considerare che nel settore aeronautico, governato da pregnanti e minuziose disposizioni normative contenute, tra l’altro, nei suddetti Regolamenti, era impossibile, sia di fatto che di diritto, che il servizio di trasporto aereo fosse svolto da due società attraverso una struttura aziendale unitaria con uso promiscuo dei naviganti e dei responsabili delle varie attività; neppure poteva essere valorizzato nel senso dell’unitarietà della struttura l’utilizzazione dell’aeromobile mediante contratti di wet lease, circostanza che non implicava alcuna confusione tra le separate strutture organizzative facenti capo alle società;
- con il quarto motivo di ricorso deducono violazione degli artt. 2697 e 1321 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 30 d. lgs. n. 276/2003, censurando la sentenza impugnata sul rilievo che l’utilizzo dell’istituto del distacco e l’utilizzo del job posting – quest’ultimo caratterizzato dalla risoluzione consensuale del contratto di lavoro con (la allora) M.F. e dalla successiva assunzione alle dipendenze di A.I. s.p.a., mai impugnate dai lavoratori – escludevano l’uso promiscuo della forza lavoro; nella sentenza impugnata era mancata una attenta disamina sull’utilizzo comune e promiscuo delle risorse lavorative, elemento imprescindibile per pervenire alla configurazione di un unico centro di imputazione del rapporto;
-era inoltre da escludere che con il distacco si realizzasse, in contrasto con la previsione dell’art. 30 d.lgs n. 276/2003, un’ipotesi di uso comune e promiscuo del dipendente;
- con il quinto motivo di ricorso deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4 , l. n. 300 del 1970, per avere il giudice di appello escluso la detraibilità dell’aliunde perceptum e dell’aliunde percipiendum dall’indennità risarcitoria; tale esclusione era frutto dell’errata interpretazione dell’art. 18, comma 4, l. n. 300/1970, nel testo novellato dalla l. n. 92/2012, con il quale il legislatore aveva inteso, in applicazione del principio civilistico della compensatio lucri cum damno, evitare un ingiusto arricchimento del soggetto leso e sterilizzare gli effetti di una durata anomala del processo; alla luce del mutato contesto normativo l’aliunde perceptum e l’aliunde percipiendum non si configurano come oggetto di eccezione della quale è onerata la parte datrice ma quali fattori indispensabili per la quantificazione della indennità dovuta, elemento imprescindibile per la stessa affermazione della sussistenza di un danno risarcibile; la Corte di merito ha inoltre errato, in contrasto con il dato letterale e la ratio ispiratrice della norma, nel ritenere che compensi percepiti per periodi di ridotta durata non potessero intaccare il limite risarcitorio massimo delle dodici mensilità con la conseguenza di avere, in tal modo, determinato in concreto la trasformazione di tale limite massimo in un limite minimo irriducibile;
- preliminarmente deve rilevarsi che la rinuncia al ricorso è rituale e rispondente ai requisiti di cui all’art. 390 c.p.c., poiché formulata in atto univocamente abdicativo, sottoscritto dalle ricorrenti e dai loro difensori, sicché deve trovare applicazione l’effetto estintivo ex art. 391 c.p.c. (Cass. 27746/2021);
- essa è produttiva di effetti in quanto ritualmente notificata, anche se non espressamente accettata dalla parte controricorrente, poiché nel giudizio di cassazione – diversamente da quanto previsto dall’art. 306 c.p.c. – non è richiesta l’accettazione delle altre parti, trattandosi di atto unilaterale recettizio ma privo del carattere c.d. “accettizio” (che richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttiva di effetti processuali: Cass. 3971/2015, 9857/2011, 21894/2009, 28675/2005), esigendosi solo che sia notificata alle parti costituite o comunicata ai loro avvocati che vi appongono il visto (Cass. Sez. U, 3876/2010; Cass. 266/2019, 2259/2013), con conseguente passaggio in giudicato del provvedimento impugnato e venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione (Cass. Sez. U, 1923/1990; Cass. 23840/2008, 4446/1986);
- gli adempimenti previsti dall’art. 390 c.p.c. sono invero finalizzati solo ad ottenere l’adesione della controparte per evitare la condanna alle spese del rinunziante (Cass. 27359/2021, 2317/2016), poiché il quarto comma dell’art. 391 c.p.c. prevede che la condanna alle spese non è pronunciata se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale (Cass. 27082/2021, 23113/2021), là dove il secondo comma stabilisce che, in assenza di accettazione, la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare alle spese la parte che vi ha dato causa (Cass. 31173/2021);
- nel caso di specie, non essendovi accettazione della rinuncia (la controricorrente, come visto, non si è opposta, senza però aderirvi esplicitamente e senza fare riferimento ad una eventuale accettazione della compensazione delle spese di lite, delle quali ha anzi chiesto la liquidazione), deve farsi luogo al regolamento delle spese processuali del presente giudizio in base al principio di causalità, per cui grava sul rinunciante il rimborso delle spese sostenute dalle altre parti (Cass. 10396/2021);
- del resto, anche applicando il principio della soccombenza virtuale le spese dovrebbero gravare sulle ricorrenti, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 3825/2022, Cass. n. 3824/2022; Cass. n. 35585/2021; Cass. n. 34561/2021) secondo cui è stata ritenuta la configurabilità di un unico soggetto datoriale tra le ricorrenti, con ogni conseguenza in tema di coinvolgimento dei lavoratori da licenziare e dei relativi criteri di scelta, nonché sulla questione della non detraibilità dell’aliunde perceptum o percipiendum dall’indennità risarcitoria riconosciuta nella misura di dodici mensilità per l’accertata illegittimità del licenziamento;
- in conclusione, il processo di cassazione va dichiarato estinto e le spese vanno poste a carico delle rinunzianti, nella misura liquidata in dispositivo, con distrazione, nulla disponendo per l’intimata che non ha svolto attività difensiva;
- La declaratoria di estinzione esonera le parti ricorrenti dal versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115, art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. n. 3688 del 2016; n. 23175 del 2015).
P.Q.M.
Dichiara estinto il processo.
Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi in favore degli avvocati A.B. e M.L. che se ne sono dichiarati antistatari […]”.
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