(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di cassazione. Ordinanza 6 agosto 2024, n. 22202.

Licenziamento lavoratrice madre. Astensione obbligatoria “post partum”. Richiesta di ferie. Mancata autorizzazione. Assenza ingiustificata. Violazione del diritto di difesa e del principio di proporzionalità. Doppia conforme. Inammissibilità.

“[…] La Corte di Cassazione ,

(omissis)

Rilevato che

1.- (…) era dipendente della Cooperativa (…). In data 09/11/2017 le era stata contestata l’assenza ingiustificata fin dal 02/10/2017 e in data 22/11/2017 era stata licenziata.

Deduceva di essere caduta in errore, poiché fino al 02/10/2017 aveva goduto del periodo di astensione obbligatoria post partum e poi era stata indotta in errore circa la data del rientro dal Patronato (…) al quale si era rivolta per la gestione amministrativa della sua pratica.

Aggiungeva che appena si era accorta dell’errore in data 23/10/2017 aveva presentato richiesta di ferie di ventisei giorni alla direttrice della cooperativa, la quale glieli aveva accordati, e che poi in data 20/11/2017 aveva presentato domanda di congedo parentale.

Assumeva che il licenziamento era illegittimo per difetto del requisito della colpa grave, richiesto dall’art. 54, co. 3, d.lgs. n. 151/2011 (ndr art. 54, co. 3, d.lgs. n. 151/2001). Lamentava che il suo errore era stato causato anche dal comportamento del datore di lavoro, che le aveva contestato l’assenza ingiustificata soltanto in data 09/11/2017, con nota pervenuta in data 12/11/2017, sicché ella era stata indotta a ritenere corretto il proprio convincimento circa la legittimità dell’assenza dal lavoro. Eccepiva anche la tardività dell’esercizio del potere disciplinare, nonché la violazione del diritto di difesa e del principio di proporzionalità.

2.- Costituitosi il contraddittorio, la Cooperativa eccepiva che le ferie richieste in data 23/10/2017 non erano state autorizzate.

3.- Espletata l’istruttoria, il Tribunale, richiamata la giurisprudenza di legittimità sul divieto di licenziamento della lavoratrice madre, salva la colpa grave di quest’ultima, riteneva nullo il licenziamento perché intimato in violazione del divieto legale e per essere stato il comportamento datoriale in violazione dei principi di correttezza e di buona fede in relazione alla mancata esplicitazione del rifiuto di concessione delle ferie e per non aver la datrice di lavoro provato la conoscenza di tale rifiuto in capo alla lavoratrice, sicché era da escludersi la colpa grave di quest’ultima.

3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla Cooperativa (…) ONLUS.

Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

a) è rimasta incerta la data di presentazione della domanda di ferie tramite il marito della (…) nel ricorso tale istanza viene collocata in un momento successivo alla contestazione disciplinare del 09/11/2017 (pervenuta il 13/11/2017), nella nota a firma del responsabile del Patronato (…) del 17/11/2017 si fa riferimento invece al 23/10/2017, data riportata anche nel capo a) della prova testimoniale della lavoratrice;

b) la (…) ricevuta la contestazione disciplinare, investiva della questione il Patronato (…) che inviava una nota alla Cooperativa chiedendo un incontro per risolvere il problema (circostanza confermata dal teste della cooperativa (…) e chiedeva 26 giorni di ferie in modo da poter continuare ad assentarsi dal lavoro per assistere il neonato;

c) così ricostruita in fatto la vicenda, ai fini della colpa grave che rende inoperante il divieto di licenziamento non è sufficiente il mero accertamento di una situazione prevista dal contratto collettivo come giusta causa di licenziamento, ma occorre una indagine tesa alla ricostruzione fattuale del caso concreto, considerate le possibili ripercussioni sui diversi piani personale, psicologico, familiare ed organizzativo della nascita del figlio, considerato che il divieto attua la tutela costituzionale della maternità e dell’infanzia (Cass. n. 2004/2017);

d) “è escluso … che la mera ingiustificata assenza della (…) possa, pur costituendo una giusta causa di licenziamento in base al CCNL di riferimento., giustificare il recesso datoriale” e va condivisa la valutazione del Tribunale;

e) infatti la lavoratrice, effettivamente assente ingiustificata dal 02/10/2017, non è rimasta inerte a fronte della contestazione disciplinare, ma ha cercato di instaurare un dialogo con la datrice di lavoro attraverso il Patronato ed ha presentato una richiesta di ferie per prolungare legittimamente l’assenza;

f) è poi indiscusso che ella si trovasse in una situazione di disagio “per la sola nascita del figlio” (così la sentenza) da giustificare l’errore in cui era incorsa circa la data in cui doveva rientrare al lavoro;

g) dal suo canto il comportamento della datrice di lavoro, che ha scelto di non comunicare formalmente il diniego delle ferie alla lavoratrice in maternità e non rientrata al lavoro dopo il previsto periodo di astensione è da ritenersi non rispettoso dei canoni di correttezza e di buona fede, sembrando piuttosto finalizzata a far sorgere una situazione d’incertezza che potesse ritorcersi a danno della lavoratrice;

h) questo comportamento datoriale è certamente più grave di quello della lavoratrice, qualificabile in termini di eccesiva leggerezza per aver ritenute autorizzate le ferie in difetto di un diniego esplicito.

4.- Avverso tale sentenza Coop. Sociale (…) ONLUS ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

5.- (…) ha resistito con controricorso.

6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.

7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.

Considerato che

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 54 e 16 d.lgs. n. 151/2011 (ndr artt. 54 e 16 d.lgs. n. 151/2001), 2109 c.c. per avere la Corte territoriale:

a) ritenuto insussistente la colpa grave della lavoratrice madre pur assente ingiustificata dal lavoro per oltre cinquanta giorni, dal 02/10/2017 al 22/11/2017;

b) ritenuto sussistente un errore in capo alla lavoratrice determinato dalla nascita del figlio un mese prima della data presunta del parto;

e) violato il principio in tema di ferie, secondo cui è onere del lavoratore attendere l’autorizzazione alla fruizione delle ferie, non potendo altrimenti autoassegnarsele.

Con riguardo alla censura sub b) deduce che la lavoratrice aveva indicato la data presunta del parto nell’01/07/2017, sicché ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 151/2011 (ndr art. 16 d.lgs. n. 151/2001) i cinque mesi di astensione obbligatoria iniziavano l’01/05/2017 e terminavano in ogni caso l’01/10/2017. Precisa che la data anticipata di effettiva nascita del bambino – che avrebbe potuto determinare un nuovo computo dei tre mesi di astensione obbligatoria dopo il parto ai sensi dell’art. 16 cit., scadenti l’01/09/2017 – non aveva comunque avuto alcuna incidenza sulla scadenza dei cinque mesi rispetto alla data presunta del parto, che in ogni caso sarebbero scaduti l’01/10/2017, sicché nessun errore poteva essere invocato dalla lavoratrice, che semmai sarebbe dovuta tornare prima al lavoro.

Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha già affermato che il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, ai sensi dell’art. 3 lettera a) del d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, quando ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario – in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1991 – verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l’indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina  pattizia  per generici casi d’inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. Al riguardo, l’accertamento e la valutazione in concreto della prospettata colpa grave si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione logicamente congrua e giuridicamente immune da vizi (cass. n. 19912/2011; cass. n. 9405/2003), come nella specie. D’altronde, la verifica in ordine alla sussistenza della colpa grave che rende inoperante il divieto ex art. 54, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 151/2001, in presenza di una fattispecie autonoma e peculiare, non integrata da un giustificato motivo soggettivo ovvero da una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale generica giusta causa, deve necessariamente estendersi ad un’ampia ricostruzione fattuale del caso concreto ed alla considerazione della vicenda espulsiva nella pluralità dei suoi diversi componenti, quali le possibili ripercussioni sui diversi piani personale, psicologico, familiare ed organizzativo della fase dell’esistenza in cui la donna si trova. Dunque si tratta di un potere proprio del giudice di merito, che richiede un rigore valutativo adeguato, ponendosi tale colpa come causa di esclusione di un divieto che attua la tutela costituzionale della maternità e dell’infanzia (cass. n. 2004/2017). Nel caso in esame tale rigore valutativo risulta argomentato con motivazione non censurabile (v. infra).

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che la richiesta di ferie era stata presentata dal marito della (…) in data 23/10/2017 per sua stessa ammissione in sede di deposizione testimoniale e per come era stato redatto il relativo capitolo di prova da parte della stessa difesa della lavoratrice.

Il motivo è inammissibile sia perché trattasi di un fatto non decisivo e comunque esaminato dalla Corte territoriale, sia perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso […]”

.