(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di cassazione. Ordinanza 3 maggio 2024, n. 12030.
Lavoro – Licenziamento disciplinare. Contratto part time a tempo indeterminato. Accordo transattivo. Mancata contestazione degli addebiti. Rigetto.
“La Corte territoriale ha accertato che, in assenza di una disposizione contrattuale che prevedesse la risoluzione del contratto al verificarsi di determinate condizioni, il rapporto avrebbe potuto e dovuto risolversi solo per effetto di un licenziamento legittimamente intimato e tale non era quello oggetto di impugnazione. Infatti, la Corte ha verificato che l’atto di risoluzione del rapporto, da qualificare come licenziamento avente natura disciplinare, era viziato in quanto non era stato preceduto dalla contestazione degli addebiti. Non viene perciò in discussione la legittimità o meno di un recesso intimato per essere rimasti inadempiuti gli obblighi convenuti nella transazione intercorsa tra le parti dalla quale era scaturito il contratto di lavoro ma piuttosto la correttezza del procedimento disciplinare che deve necessariamente precedere l’irrogazione della sanzione”.
“[…] La Corte di cassazione.
(omissis)
Rilevato che
1. La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Livorno che, in accoglimento del ricorso proposto da D.R. nei confronti di S.A.T. s.p.a., aveva dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato dalla società datrice il 27 settembre 2016 ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato e condannando la società al pagamento delle retribuzioni maturate dall’interruzione del rapporto, il 28.9.2016, alla effettiva reintegrazione oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dedotto l’aliunde perceptum.
1.1. Il giudice di appello, per quanto interessa, ha accertato che il lavoratore – che era stato assunto in data 30 marzo 2016 con contratto part time a tempo indeterminato per lo svolgimento delle mansioni di esattore presso la sede di Rosignano Barriera in esecuzione di un accordo transattivo sottoscritto dal lavoratore lo stesso 30 marzo 2016 con impegno del lavoratore a rinunciare alla controversia pendente avente ad oggetto l’accertamento della legittimità del termine apposto ad un precedente contratto intercorso tra le parti nel 2013 – aveva poi impugnato la transazione nel termine di legge. Ha quindi accertato che per effetto dell’impugnazione la transazione era divenuta invalida ed erano venute meno le obbligazioni da essa scaturenti e dunque ben poteva il datore di lavoro recedere dal rapporto instaurato in esecuzione della stessa. Esclusa, tuttavia, l’esistenza di una clausola di risoluzione automatica del contratto di lavoro, non prevista né nell’accordo transattivo né nel contratto di lavoro, la Corte di merito ha ritenuto che il recesso fosse qualificabile come licenziamento ontologicamente disciplinare – per essere stato addebitato al lavoratore di aver impugnato la transazione – e lo ha ritenuto illegittimo. Da un canto ha osservato che il Tribunale aveva ritenuto disciplinarmente irrilevante la condotta sul rilievo che l’assunzione non era connessa alla transazione ed ha sottolineato che la società “nulla argomenta sulle conseguenze della qualificazione in termini di licenziamento disciplinare anche con riguardo alla tutela ritenuta applicabile dal primo giudice”. Inoltre, ha evidenziato che comunque quel licenziamento disciplinare non era stato preceduto dalla dovuta contestazione di addebiti. Pertanto, ha respinto l’appello ritenendo assorbite le diverse questioni e le domande anche subordinate riproposte dal lavoratore.
2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la S.A.T. s.p.a. affidato a due motivi.
D.R. ha resistito con controricorso ed ha proposto contestuale ricorso incidentale articolando due censure al quale la società ha resistito con controricorso. Ha inoltre depositato memoria.
Ritenuto che
3. Il ricorso principale
3.1. Con il primo motivo di ricorso la S.A.T. s.p.a. (SAT s.p.a.) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. e sostiene che la sentenza della Corte di appello, da un canto aderisce alla ricostruzione della società e afferma che l’assunzione era collegata alla transazione di cui costituiva adempimento; dall’altro ne viola il disposto poiché non considera che, proprio per effetto dell’annullamento dell’accordo transattivo impugnato dal lavoratore, era venuto meno l’obbligo per la società di rispettare le obbligazioni riportate in quell’atto. La società deduce che per liberarsi dall’obbligazione, già adempiuta, fondata su un titolo venuto meno si era proceduto ad estromettere il lavoratore. Sostiene che si tratta di fattispecie regolata dall’art. 2126 c.c.. Allega che nell’atto sottoscritto dal R. il 30.3.2016 oltre all’obbligo della società di assumerlo a tempo indeterminato in regime di part time vi era altresì l’obbligo delle parti di sottoscrivere la conciliazione in sede protetta al quale il lavoratore si era invece sottratto impugnandola. Deduce che l’impugnazione ex art. 2113 c.c. avrebbe determinato la caducazione degli effetti giuridici e l’annullabilità degli atti contenenti le rinunce del lavoratore.
Sostiene che la situazione in concreto verificatasi per effetto dell’impugnazione della rinuncia sarebbe sovrapponibile a quella si realizza quando si dà esecuzione ad una sentenza che successivamente venga riformata. Venuto meno il titolo viene meno il diritto all’assunzione ed il lavoratore può essere estromesso senza che l’atto possa essere qualificato come licenziamento, tanto meno ontologicamente disciplinare posto che l’impugnazione della transazione non è in alcun modo riconducibile ad un inadempimento di obbligo lavorativo.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 113 c.p.c. e del d.lgs. n. 23 del 2015 e si sostiene che comunque, anche ammessa l’esistenza di un licenziamento disciplinare illegittimo, la Corte, in disparte le richieste formulate e in applicazione delle norme vigenti, non avrebbe potuto disporre la reintegrazione ma solo condannare la società al risarcimento del danno ex art. 4 d.lgs. 23 del 2015. Sottolinea che quello della reintegrazione non è un capo autonomo della sentenza su cui può formarsi il giudicato.
4. Ricorso incidentale
4.1. Con il primo motivo del ricorso è denunciato un error in procedendo ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. per avere la Corte, in violazione dell’art. 276 c.p.c., omesso di esaminare l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del secondo e del terzo motivo di appello della società con i quali erano state reiterate le difese avanzate in primo grado senza tuttavia censurare specificatamente la motivazione della sentenza impugnata.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e si sostiene che la lettera di assunzione avrebbe dovuto essere interpretata tenendo conto del comportamento delle parti sia antecedente che successivo e del fatto che il lavoratore aveva comunque un’anzianità tale da giustificare la sua assunzione sulla base del verbale di accordo sindacale del 24.3.2016, poi ribadito il 20.4.2016.
5. Il ricorso della A.T. s.p.a. è infondato e deve essere rigettato.
5.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha accertato che, in assenza di una disposizione contrattuale che prevedesse la risoluzione del contratto al verificarsi di determinate condizioni, il rapporto avrebbe potuto e dovuto risolversi solo per effetto di un licenziamento legittimamente intimato e tale non era quello oggetto di impugnazione. Infatti, la Corte ha verificato che l’atto di risoluzione del rapporto, da qualificare come licenziamento avente natura disciplinare, era viziato in quanto non era stato preceduto dalla contestazione degli addebiti.
Non viene perciò in discussione la legittimità o meno di un recesso intimato per essere rimasti inadempiuti gli obblighi convenuti nella transazione intercorsa tra le parti dalla quale era scaturito il contratto di lavoro ma piuttosto la correttezza del procedimento disciplinare che deve necessariamente precedere l’irrogazione della sanzione.
5.2. Anche il secondo motivo di ricorso, che investe le conseguenze dell’accertata illegittimità del licenziamento, non può essere accolto atteso che il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento, e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria, di cui al comma 4 dell’art. 18 della l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, richiamata dal comma 6 del predetto articolo per il caso di difetto assoluto di giustificazione del provvedimento espulsivo, tale dovendosi ritenere un licenziamento disciplinare adottato senza alcuna contestazione di addebito (cfr. Cass.24/02/2020 n. 4879 e già 14/12/2016 n. 25745).
6. Il ricorso incidentale proposto dal R. è inammissibile.
6.1. Il primo motivo in quanto, diversamente da quanto sostenuto, la Corte territoriale ha mostrato di aver implicitamente disatteso le censure formulate nel ritenere che il R. era stato assunto proprio in esecuzione della scrittura sottoscritta dalle parti il 30 marzo 2016 e non sulla base degli accordi intercorsi in sede sindacale.
6.2. Il secondo motivo in quanto con esso viene opposta una diversa interpretazione della transazione opposta rispetto a quella della Corte di merito che ha valorizzato anche il contenuto letterale dell’accordo oltre ad altri elementi nel rispetto delle regole legali di ermeneutica ed individuando una plausibile soluzione interpretativa. Nel censurare il significato attribuito dal giudice di merito è necessario non solo dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. ma anche, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione che non può risolversi, come avviene nella fattispecie, nel proporre una diversa ricostruzione dei fatti.
7. In conclusione per le ragioni esposte il ricorso principale deve essere rigettato mentre il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
L’esito del giudizio giustifica la compensazione tra le parti delle spese. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte di entrambi i ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio […]”.
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