(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Nota di Giovanni Patrizi.

Con ordinanza n. 18904/2024, del 10 Luglio 2024, la Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “Non risulta assolto l’obbligo di repêchage ove all’atto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo risultino esistenti nell’organico aziendale mansioni inferiori, anche a termine, ed il datore non abbia effettuato alcuna offerta di demansionamento al lavoratore né comunque allegato e provato in giudizio che il lavoratore non rivesta le competenze professionali richieste per l’espletamento delle stesse mansioni”.

Secondo la S.C: è illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo se l’imprenditore, dopo aver dichiarato la soppressione del posto di lavoro di natura impiegatizia, non ha offerto al lavoratore la ricollocazione in altre mansioni, anche di natura operaia e ovvero a termine, pur se tale decisione è giunta dopo l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604/1966 avanti alla commissione istituita presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro.

Seguendo l’orientamento già espresso in precedenti pronunzie, la Cassazione ha stabilito che l’impossibilità della ricollocazione dev’essere provata al momento del recesso. La circostanza secondo cui esistevano soltanto mansioni operaie non assolve il datore di lavoro che, prima di procedere al licenziamento, avrebbe dovuto offrire una soluzione alternativa rispetto alla quale, per procedere eventualmente al licenziamento, avrebbe dovuto acquisire il rifiuto dell’interessato o dimostrare che il lavoratore in questione non era in grado di svolgerle.

1.Un lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento irrogatogli per giustificato motivo oggettivo. La Corte d’Appello rigetta la predetta domanda, ritenendo,  tra le altre cose, assolto da parte datoriale l’obbligo di repêchage.

La Corte di Cassazione, nel ribaltare la pronuncia di merito, rileva preliminarmente che l’onere della prova in materia di repêchage è a carico del datore di lavoro. Per la S.C., tale onere si riferisce anche alle mansioni inferiori, con la conseguenza che il datore deve provare che al momento del licenziamento non esista alcuna altra posizione lavorativa in cui il lavoratore possa utilmente essere ricollocato.

Invero, secondo la Cassazione, prima di intimare il licenziamento il datore deve prospettare al lavoratore la possibilità di essere adibito anche ad una mansione, con conseguente possibile demansionamento. Se il lavoratore non accetta questa soluzione alternativa, il datore può recedere dal rapporto.

La Cassazione ha dunque affermato la illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo se l’imprenditore, dopo aver dichiarato la soppressione del posto di lavoro di natura impiegatizia, non ha offerto al lavoratore la ricollocazione in altre mansioni, anche di natura operaia e ovvero a termine, pur se tale decisione è giunta dopo l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604/1966 avanti alla commissione istituita presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro.