Corte di cassazione. Sentenza 3 aprile 2024, n. 8752.
(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Impugnativa del licenziamento intimato a seguito di indagini penali. Allontanamento dal servizio. Timbratura della scheda magnetica e periodi di assenza. Procedimento disciplinare con il rito cd. accelerato. Inammissibilità
“[…] La Corte di cassazione
(omissis)
Fatti di causa
1. – La Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto il gravame proposto da R.L., dipendente della Regione Sicilia, avverso la sentenza che, in primo grado, aveva disatteso l’impugnativa del licenziamento intimato a seguito di indagini penali, nel cui ambito era emerso l’allontanamento dal servizio in diverse occasioni, senza far risultare, mediante timbratura della scheda magnetica, i relativi periodi di assenza.
2. – La Corte territoriale, condividendo le motivazioni già espresse dal giudice di primo grado, ha rigettato i motivi di appello, reputando raggiunta la prova dei fatti in base alle risultanze penali allegate all’ordinanza di applicazione delle misure cautelari personali, sufficientemente specifica la contestazione, l’assenza di lesione del diritto di difesa in ragione dell’instaurazione del procedimento accelerato, la proporzionalità della misura espulsiva adottata in relazione alla gravità dei fatti, in assenza di qualsivoglia elemento giustificativo addotto dal lavoratore.
3. – Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il L. con cinque motivi, cui oppone difese l’Assessorato Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione pubblica della Regione Siciliana con controricorso.
4. – Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
5. – La causa giunge in decisione all’esito della trattazione in pubblica udienza, nella quale sono intervenuti i difensori delle parti e il rappresentante del Pubblico Ministero, che, nel richiamare le conclusioni già rassegnate nella memoria depositata, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e travisamento della prova, con la prospettazione di un errore di percezione del giudice d’appello sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova del fatto contestato, essendo stata posta a fondamento della decisione una prova inesistente, vale a dire l’ordinanza cautelare emessa in sede penale e caducata dal tribunale del riesame.
2. – Con il secondo motivo è denunciata ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001 e degli artt. 73 e 74 del CCRL del comparto non dirigenziale della Regione Siciliana del 9.05.2019, anche con riferimento all’art. 24 Cost., nonché la violazione del diritto di difesa, per avere i giudici d’appello ritenuto erroneamente applicabile il procedimento disciplinare con il rito cd. accelerato di cui all’art. 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, del d.lgs. n. 165/2001, in assenza di accertamento in flagranza della falsa attestazione in servizio.
3. – Con il terzo motivo è denunciata, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 55-quater del d.lgs. 165 del 2001 e degli artt. 2119, 2104, 2105 2106 cod. civ., nonché degli artt. 73 e 74 del CCRL del comparto non dirigenziale della Regione Siciliana del 9.05.2019, e l’omessa, insufficiente, errata valutazione, da parte dei giudici d’appello, della giusta causa di recesso e comunque della gravità del comportamento del ricorrente in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, sia di natura oggettiva che soggettiva.
4. – Con il quarto motivo è denunciata, ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., e dell’art. 2106 cod. civ, per motivazione apparente in ordine al giudizio di gravità e proporzionalità della sanzione del licenziamento.
5. – Con il quinto motivo è denunciata, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art 55-quater e agli artt. 2106 e 2119 cod. civ., nonché all’art. 5 della legge n. 604 del 1966, per erronea applicazione da parte dei giudici d’appello della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, con particolare riferimento alla valutazione di gravità e proporzionalità della sanzione disciplinare del licenziamento.
5. – Il primo ed il quarto motivo, che possono essere valutati unitariamente, in quanto intesi a denunciare la nullità della sentenza impugnata, ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., quale vizio espressamente invocato in rubrica, da un lato per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (primo motivo), dall’altro per violazione degli artt. 132, n. 4, cod. proc. civ. e 2106 cod. civ. (quarto motivo), sono inammissibili, in quanto, dietro la prospettazione di errores in procedendo – come errore di percezione ovvero come motivazione apparente – mirano piuttosto a censurare la ricostruzione fattuale ed il governo delle prove operati dal giudice di merito (in tal senso, fra molte, Cass. Sez. 5, 22/11/2023, n. 32505, che ha ribadito il principio per cui «il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione»), proponendo un’inammissibile lettura alternativa degli atti e delle prove poste a fondamento della decisione impugnata, peraltro ampiamente argomentata – sicuramente attingendo la soglia del minimo costituzionale (fra tutte, Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053) – in base non già all’ordinanza applicativa della misura cautelare bensì alle indagini di P.G. ad essa allegate e prodotte.
In questo senso, quanto all’integrazione del vizio denunciato in rubrica, occorre evidenziare che «Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto che va censurato nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.» (v. Cass. Sez. 6 – 2, 12/10/2021, n. 27847), censura nella specie preclusa in ragione della cd. “doppia conforme” (sul punto, fra molte, Cass. Sez. 6 – 2, 09/03/2022, n. 7724, che si è espressa nel senso che «Ricorre l’ipotesi di “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice», condizione ravvisabile nel caso in esame).
6. – Non si sottraggono ad analoga declaratoria di inammissibilità gli ulteriori motivi, che possono essere unitariamente valutati in quanto intesi a denunciare il vizio di violazione di legge in ordine alla prospettata violazione del diritto di difesa per l’applicazione del procedimento disciplinare con il rito cd. accelerato (secondo motivo), alla ritenuta integrazione della giusta causa di recesso e giudizio di proporzionalità della misura espulsiva adottata (terzo motivo) nonché alla regola sull’onere probatorio della fondatezza dell’addebito e della sua gravità (quinto motivo), in quanto, in disparte il rilievo circa l’inammissibilità della censura sviluppata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. in riferimento ad una contrattazione collettiva di livello non nazionale (in tal senso, Cass. Sez. L, 14/01/2021, n. 551, che ha espresso il principio secondo cui «la denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., come modificato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, della violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammissibile limitatamente ai contratti nazionali, con esclusione dunque dei contratti provinciali, anche delle province autonome, senza che tale limitazione possa dar luogo a un dubbio di costituzionalità, atteso che il rilievo nazionale della disciplina, che giustifica l’intervento nomofilattico e la parificazione di disposizioni negoziali a norme di diritto, rappresenta altresì l’elemento differenziale tra le fattispecie sufficiente a giustificare l’esercizio della discrezionalità del legislatore statale nel disciplinare i rimedi giurisdizionali»), le doglianze, pur deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge, mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (fra tutte, Cass. 6-3, 14/04/2017, n. 8758).
6.1. – Nella specie, i predetti motivi tendono in maniera inammissibile a prospettare una lettura degli atti e delle risultanze probatorie divergente da quella resa dal giudice di merito, che ha motivatamente escluso qualsivoglia lesione del diritto di difesa in relazione al procedimento disciplinare adottato, ritenuto positivamente integrata la giusta causa di recesso e valutato la gravità della condotta senza ricorrere ad automatismi, in assenza di idonee giustificazioni da parte del lavoratore, così risultando anche erroneamente prospettata la denunciata violazione della regola sull’onere probatorio ex art. 2697 cod. civ. (in tal senso, v. fra molte Cass. Sez. 3, 29/05/2018, n. 13395: «La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c.»).
7. – Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.
8. – Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito (Cass. Sez. 1, 22/04/2002, n. 5859; in senso conforme, Cass. Sez. 2, 11/09/2018, n. 22014).
9. – Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese […]”.
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