(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Cassazione. Ordinanza 23 maggio 2024, n. 14482.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Risoluzione rapporto di lavoro. Pagamento indennità risarcitoria onnicomprensiva. Violazione obbligo repêchage. Accoglimento parziale
1.“[…] In particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 2021 ha dichiarato l’illegittimità della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 7, secondo periodo, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 42, lett. b), nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, “può altresì applicare” invece che “applica altresì” – la disciplina di cui al medesimo art. 18, comma 4. La sentenza costituzionale n. 125/2022, con prospettiva ancor più radicale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, secondo periodo, della L. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 42, lett. b), limitatamente alla parola “manifesta”. […] Dunque …. il testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, quale risultante all’esito degli interventi della Corte costituzionale comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo il giudice deve applicare la tutela di cui all’art. 18 cit. comma 4, quale risultante dalla novella della L. n. 92 del 2012, implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di un’indennità risarcitoria nei limiti definiti dal comma medesimo”.
“[…] Per orientamento consolidato di questa Corte .. fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia dall’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore …. e tale ricostruzione è stata avallata dalla Corte costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022 cit., dopo avere ricordato che è onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento, alla luce della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5 che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi, con riferimento al licenziamento intimato per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (L. n. 604 del 1966, art. 3) ha precisato che “Il fatto che è all’origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per l’impossibilità di collocare altrove il lavoratore”.
2.“[…]. La Corte di Cassazione,
(omissis)
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma rigettava sia il reclamo principale proposto da A.S.M. che il reclamo incidentale proposto da S.I. s.r.l., contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 2883/2020, la quale aveva respinto le opposizioni di entrambe le parti all’ordinanza dello stesso Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, in parziale accoglimento del ricorso proposto dalla suddetta lavoratrice, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra la A. e la convenuta datrice di lavoro con decorrenza dal 22.6.2018 ed aveva condannato quest’ultima al pagamento, in favore della lavoratrice, dell’indennità risarcitoria, omnicomprensiva commisurata a n. 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, di complessivi € 99.834,46, avendo ritenuto il giudice della prima fase che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato alla lavoratrice in data 16.7.2018 fosse illegittimo per violazione dell’obbligo di c.d. repêchage.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, ritenuti infondati i primi tre motivi del reclamo principale della lavoratrice ed il reclamo incidentale della società, giudicava privo di fondamento il reclamo principale anche laddove contestava al giudice di primo grado di avere erroneamente escluso la reintegrazione a seguito dell’accertata violazione dell’obbligo di repêchage.
2.1. In particolare, la Corte osservava che le sentenze di legittimità citate dal primo giudice e quelle invocate dalla lavoratrice reclamante principale precisavano che la “manifesta insussistenza” cui può conseguire la tutela reintegratoria andava riferita ad una “evidente e facilmente verificabile sul piano probatorio assenza dei presupposti di legittimità del licenziamento”, il che non ricorreva nel caso di specie.
3. Avverso tale decisione A.S.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
4. Ha resistito l’intimata con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, a mezzo di unico motivo.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. “violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5, l. 604/66 nonché dell’art. 18, commi 4, 5 e 7, l. 300/70”. La ricorrente principale deduce che l’impossibilità di ricollocamento del lavoratore costituisce una delle condizioni di fatto che legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: anche tale impossibilità costituisce un elemento del “fatto” che deve sussistere per evitare l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata. E, secondo la stessa, una volta accertata l’insussistenza del fatto a riguardo, il giudice deve comunque disporre la reintegrazione.
2. Con l’unico motivo del suo ricorso incidentale S.I. s.r.l. denuncia: “violazione e falsa applicazione (art. 360, n. 3 c.p.c.) della legge n. 604/1966 (art. 3), della legge n. 300/1970 (art. 18, commi 5 e 7 come modificati dalla legge n. 92/2012), nonché degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c.”. Per la ricorrente incidentale la sentenza impugnata merita censura nella parte in cui ha dichiarato illegittimo il licenziamento per violazione dell’obbligo di repêchage da parte di S. e, conseguentemente, ha applicato la tutela indennitaria contenuta nei commi 5 e 7 dell’art. 18 della legge n. 300/1970.
3. Occorre muovere prioritariamente dall’esame del ricorso incidentale, giacché vi si sostiene la legittimità del licenziamento impugnato dalla lavoratrice.
4. Tale motivo è inammissibile.
5. Richiamata la parte di motivazione in cui la Corte di merito ha ritenuto non sufficientemente raggiunta la prova della non ricollocabilità della giornalista presso la sede romana della società, la ricorrente incidentale sostiene che, secondo i precedenti di legittimità citati, sebbene l’onere della prova, circa l’assolvimento dell’obbligo di repêchage, ricada sul datore di lavoro, nel caso in cui il lavoratore indichi delle posizioni in cui ritiene di poter essere ricollocato e queste si rivelino poi insussistenti, tale obbligo potrà essere assolto da parte della società, anche mediante il ricorso a presunzioni.
5.1. E, per la stessa, risultava evidente l’errore in cui era in corso il giudice di appello, laddove aveva ritenuto che, dalle testimonianze raccolte nel corso del giudizio di primo grado, S. non avesse provato sufficientemente l’incollocabilità della dott.ssa A. in tutte le altre funzioni rimaste presso la Capitale.
6. Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, espresso anche a Sezioni unite, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (così, tra le altre, Cass., sez. un., 27.12.2019, n. 34475).
7. Ebbene, nell’unico motivo in esame, in chiave di apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di diverse norme di diritto, la ricorrente incidentale, in realtà, da un lato, critica l’apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte di merito e, dall’altro, ne propone uno alternativo, in particolare riguardo alle testimonianze assunte (cfr. in particolare pagg. 30-32 del controricorso).
8. Occorre, inoltre, ricordare che la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, e che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, pertanto, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, ma, piuttosto, un errore di fatto, che deve essere censurato nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal d.l. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, attraverso il paradigma normativo del difetto di motivazione (così Cass., sez. VI, 3.3.2023, n. 6374; sez. I, 28.6.2022, n. 20751; sez. I, 3.11.2021, n. 31510). E tale ultimo e diverso vizio non è stato fatto valere dalla ricorrente incidentale.
9. E’ invece fondato l’unico motivo del ricorso principale.
10. Tale censura dev’essere esaminata in conformità all’attuale assetto normativo dell’art. 18 l. n. 300/1970, come definito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022.
10.1. In proposito, infatti, occorre ricordare che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale l’efficacia delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge, quali quelle che qui vengono in considerazione, non si estende ai soli rapporti già esauriti per formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l’ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto medesimo, mentre tale efficacia si dispiega pienamente in tutte le altre ipotesi (così, nella motivazione, Cass., sez. lav., 2.12.2022, n. 35496 ed ivi il richiamo ai precedenti in senso conforme).
10.2. Orbene, le richiamate sentenze costituzionali sono intervenute sul precedente quadro normativo relativo alla tutela applicabile in presenza di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo del quale sia dichiarata la illegittimità “per insussistenza del fatto” alla base dello stesso. In particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 2021 ha dichiarato l’illegittimità della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 7, secondo periodo, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 42, lett. b), nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, “può altresì applicare” invece che “applica altresì” – la disciplina di cui al medesimo art. 18, comma 4. La sentenza costituzionale n. 125/2022, con prospettiva ancor più radicale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, secondo periodo, della L. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 42, lett. b), limitatamente alla parola “manifesta”.
10.3. Dunque, come già considerato in diverse decisioni di questa Sezione (v. Cass. n. 35496/2022 cit., ma anche in termini id., 11. 11.2022, n. 33341; 20.10.2022, n. 30970), il testo della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 7, quale risultante all’esito degli interventi della Corte costituzionale comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo il giudice deve applicare la tutela di cui all’art. 18 cit. comma 4, quale risultante dalla novella della L. n. 92 del 2012, implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di un’indennità risarcitoria nei limiti definiti dal comma medesimo.
11. E, per orientamento consolidato di questa Corte, riaffermato anche nel vigore della modifica del testo dell’art. 18 l. n. 300 del 1970, introdotta dalla L. n. 92 del 2012, fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia dall’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (v. i precedenti richiamati nella motivazione della già cit. Cass. n. 35496/2022, ma anche in termini n. 30950/2022 e n. 33341/2022 pure cit.), e tale ricostruzione è stata avallata dalla Corte costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022 cit., dopo avere ricordato che è onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento, alla luce della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5 che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi, con riferimento al licenziamento intimato per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (L. n. 604 del 1966, art. 3) ha precisato che “Il fatto che è all’origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per l’impossibilità di collocare altrove il lavoratore”.
12. Pertanto, in base alle considerazioni che precedono, e come in casi analoghi a quello in esame, s’impone la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di merito, che, in differente composizione, oltre a regolare le spese di questo giudizio di cassazione, dovrà riesaminare la concreta fattispecie alla luce del mutato quadro normativo (sopravvenuto al deposito della decisione qui impugnata).
13. Stante l’inammissibilità del suo ricorso, la ricorrente incidentale a tenuta al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la sua impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale e accoglie il ricorso principale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda il regolamento delle spese anche del giudizio di legittimità […]”.
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