(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 5588 depositata il 1° marzo 2024.
1.Con ordinanza n. 5588/2024, la Corte di Cassazione ha affermato che “la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario verificata la concretizzazione della giusta causa di licenziamento quale clausola generale, anche in riferimento al requisito di proporzionalità, che esige valutazione non astratta dell’addebito, ma attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento sistematico ed unitario della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assumendosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni e alla tipologia del rapporto medesimo”.
“La natura del giudizio di rinvio evidenzia che quest’ultimo non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, bensì la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione; il giudizio di rinvio si presenta, quindi, come una prosecuzione del processo di Cassazione, nel corso del quale il giudice di merito ha il compito di svolgere quelle attività necessarie a conformarsi al principio di diritto enunciato dalla S.C. ai sensi dell’art. 384 c.p.c.; pertanto il giudice del rinvio, riassunta la causa, dovrà innanzitutto individuare l’oggetto del giudizio attraverso un’attenta ricostruzione delle censure accolte dalla Cassazione, per poi adoperarsi nell’espletamento delle attività conseguenti”.
Lavoro. Licenziamento disciplinare. Difetto di proporzionalità della sanzione disciplinare applicata. Lesione dell’elemento fiduciario. Tipizzazione della giusta causa di licenziamento contenuta nella contrattazione collettiva. Struttura cd. chiusa del giudizio di rinvio. Rigetto
2. “[…] Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Napoli, pronunciandosi con sentenza n. 4651/2019 in sede di rinvio da questa Corte con sentenza n. 21062/2017, decidendo quale giudice del rinvio sull’appello proposto da F.P. s.p.a. e F.G.A. s.p.a. nei confronti di G.M. avverso la sentenza del Tribunale di Larino in funzione di giudice del lavoro n. 23/2013 depositata il 23/1/2014, rigettava l’appello e per l’effetto confermava la sentenza impugnata, che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato al lavoratore il 20/7/2010, ordinando alla società la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condannandola al pagamento di indennità commisurata alla retribuzione mensile globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegra (licenziamento intimato prima delle modifiche all’art. 18 legge n. 300/1970 intervenute con legge n. 92/2012);
2. come spiegato nella sentenza rescindente, con sentenza 4/2/2015 la Corte d’Appello di Campobasso, in accoglimento dell’appello principale di F.P.T. (poi F.I.H.) s.p.a. e di F.G.A. (poi F.I.) s.p.a., aveva rigettato le domande di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato dalla prima società, con le conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria, formulate dal lavoratore; così riformando la sentenza di primo grado, che le aveva invece accolte sul rilievo della sproporzione tra la sanzione disciplinare e il fatto come ricostruito dall’ampia istruttoria svolta;
3. con detta sentenza questa Corte riteneva fondato il quarto motivo del ricorso per cassazione del lavoratore, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 CCNL di categoria per difetto di proporzionalità della sanzione disciplinare applicata, e cassava la sentenza della Corte d’Appello di Campobasso impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Napoli;
4. riassunto il giudizio dal lavoratore, con la seconda sentenza di appello la Corte di Napoli, rammentato il carattere chiuso del giudizio di rinvio e riportata la contestazione disciplinare, valutava la gravità dei fatti addebitati al lavoratore in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali erano stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, da un lato, e, dall’altro, la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta al fine di stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario fosse tale in concreto da giustificare la massima sanzione disciplinare; ribadiva che il giudice non è vincolato dalle tipizzazioni di giusta causa contenute nella contrattazione collettiva, ma, per contro, qualora un determinato comportamento del lavoratore invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponde una sanzione conservativa, ciò non può formare oggetto di autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, salvo che si accerti che le parti non avevano inteso escludere per i casi di maggiore gravità la possibilità della sanzione espulsiva; assimilava la condotta accertata ad abbandono ingiustificato del luogo di lavoro e verificava che risultava applicabile una delle sanzioni conservative previste dall’art. 9 del CCNL applicato al rapporto, risultando sproporzionato il licenziamento rispetto all’entità del fatto come ricostruito (assenza dal luogo in cui il lavoratore avrebbe dovuto trovarsi, in ragione dei motivi dell’assenza, per un periodo di quattro ore); riteneva altresì generiche e prive di prova le eccezioni relative al cd. aliunde perceptum o percipiendum;
5. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli quale giudice del rinvio propone ricorso per cassazione F.I. s.p.a. con 3 motivi; resiste il lavoratore con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1. con il primo motivo, la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 9 e 10 CCNL Metalmeccanici 20/1/2008 e del principio di proporzionalità del licenziamento (art. 360, n. 3, c.p.c.), affermando che l’addebito riguardava un contegno del dipendente “improntato all’infingimento, al sotterfugio ed al raggiro, col tentativo di lucrare la retribuzione giornaliera non spettante utilizzando, allo scopo, una certificazione medica contraddetta dal suo stesso comportamento e dalla conclamata evidenza dei riscontri che lo documentavano”, non adeguatamente comparato dal giudice del rinvio nei termini indicati nella sentenza rescindente;
2. con il secondo motivo, parte ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.), in relazione ai comportamenti a suo avviso palesanti “l’abuso, la speculazione e la mistificazione posta in essere dal lavoratore”;
6. con il terzo motivo di ricorso per cassazione la sentenza gravata viene censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia e nullità consequenziali (art. 360, n. 4, c.p.c.), e violazione e falsa applicazione degli artt. 18 legge n. 300/1970, 1223, 1225 e 1227 c.c. anche in relazione all’art. 2727 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.) con riferimento alle argomentazioni a base delle eccezioni sviluppate nei gradi precedenti in ordine alla domanda di riduzione del danno per effetto di aliunde perceptum o percipiendum;
3. il primo e il secondo motivo, da trattare congiuntamente in quanto entrambi volti a censurare l’applicazione del principio di proporzionalità operata in concreto dal giudice del rinvio, non sono fondati;
4. la sentenza rescindente, esaminate le norme contrattuali collettive pertinenti quale parametro di valutazione comparativa di proporzionalità del licenziamento (per giusta causa) intimato rispetto alla gravità del fatto contestato, nonché la lettera di contestazione di addebito 9 luglio 2010, ha rilevato che su tali fatti, accertati e coerenti con la contestazione alla base del licenziamento disciplinare intimato, doveva essere condotto l’esame del rispetto del principio di proporzionalità; ha richiamato il consolidato insegnamento di legittimità, secondo cui la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, verificata la concretizzazione della giusta causa di licenziamento quale clausola generale, anche in riferimento al requisito di proporzionalità, che esige valutazione non astratta dell’addebito, ma attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo; ha osservato che, in ordine all’esatta applicazione del principio di proporzionalità fra il fatto e la sanzione inflitta, attenta ad ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva del fatto, alle circostanze nelle quali esso è stato commesso e all’intensità del profilo intenzionale, la prima sentenza d’appello aveva omesso ogni considerazione, per ravvisata irrilevanza di elementi oggettivi (una sola giornata di assenza lavorativa) e soggettivi (assenza di premeditazione nella decisione di partecipare alla manifestazione di Pomigliano, assunta solo dopo la rassicurazione del medico delle condizioni non gravi della figlia), che costituivano elementi (non marginali, ma) costitutivi del fatto contestato e accertato, alla base del licenziamento intimato; ha precisato che tale fatto contestato e accertato consisteva, nella sua oggettività fattuale, nell’essersi il lavoratore assentato per una giornata dal lavoro per prestare assistenza alla figlia di due anni malata, così giustificata con certificazione medica ed ottenendo un permesso retribuito ai sensi dell’art. 4 legge n. 53/2000, recandosi poi, una volta ottenuta rassicurazione dal medico recatosi a domicilio per la visita, affidata la figlia al nonno, e ormai in orario non più compatibile con il rispetto del primo turno di lavoro per quel giorno assegnatogli (dalle ore 6,00 alle ore 14,00), presso lo stabilimento FGA di Pomigliano d’Arco in occasione del noto referendum sull’accordo sindacale, indetto tra i lavoratori del sito, per partecipare alla manifestazione svoltasi dinanzi ai cancelli della fabbrica; ha assegnato al giudice del rinvio la comparazione tra questo fatto contestato e accertato, ai fini di una corretta applicazione del principio di proporzionalità, integrante la giusta causa del licenziamento intimato, con le sanzioni conservative (dell’ammonizione scritta, della multa e della sospensione) in riferimento alle ipotesi (di assenza dal lavoro o di abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo ovvero con giustificazione entro il giorno successivo) stabilite dall’art. 9 del CCNL di categoria applicabile ratione temporis;
5. la Corte distrettuale si è conformata alle indicazioni della sentenza rescindente, compiendo analiticamente la comparazione, come devoluta al giudizio rescissorio, tra il fatto accertato e le sanzioni conservative contrattuali collettive, e verificando, in concreto, la violazione del principio di proporzionalità per omessa compiuta considerazione dell’oggettività fattuale del fatto contestato;
6. occorre qui richiamare l’insegnamento di questa Corte sul carattere cd. chiuso del giudizio di rinvio (Cass. S.U. n. 17332/2021; Cass. n. 8039/2023, n. 21612/2023);
7. la ricostruzione ampiamente consolidata della natura del giudizio di rinvio evidenzia che quest’ultimo non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, bensì la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione; il giudizio di rinvio si presenta, quindi, come una prosecuzione del processo di Cassazione, nel corso del quale il giudice di merito ha il compito di svolgere quelle attività necessarie a conformarsi al principio di diritto enunciato dalla S.C. ai sensi dell’art. 384 c.p.c.; pertanto il giudice del rinvio, riassunta la causa, dovrà innanzitutto individuare l’oggetto del giudizio attraverso un’attenta ricostruzione delle censure accolte dalla Cassazione, per poi adoperarsi nell’espletamento delle attività conseguenti;
8. il ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio può, dunque, essere fondato soltanto sulla deduzione dell’infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronuncia di annullamento, ed il sindacato della S.C. in questa sede si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti; infatti, non costituendo il giudizio di rinvio la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, ma la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione, in quella fase non possono formare oggetto di discussione tutte le questioni che costituiscono presupposti, esplicitamente o implicitamente, decisi nella pronuncia della Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U. n. 28544/2008);
9. in ragione della struttura cd. chiusa propria del giudizio di rinvio, il giudice di rinvio è di norma vincolato dalla sentenza di cassazione che dispone il rinvio stesso, anche nel caso in cui essa non si limiti ad accertare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto o il vizio di motivazione che inficiano la sentenza cassata e ad adottare le pronunce consequenziali, ma anche quando essa contenga statuizioni ulteriori (v., per tutte, Cass. n. 21006/2005);
10. tutto ciò premesso, i profili che le parti possono dedurre nell’impugnazione della sentenza rescissoria debbono necessariamente riguardare l’aderenza di quest’ultima al principio espresso dalla sentenza rescindente;
11. nel caso di specie, la Corte territoriale correttamente ha inquadrato e perimetrato l’oggetto del giudizio di rinvio e ha giustificato il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in coerenza, oltre che con la sentenza rescindente, con il principio più volte affermato da questa Corte che, sebbene in tema di licenziamento per giusta causa non sia vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, tuttavia la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (cfr. Cass. n. 16784/2020; conf. Cass. n. 17231/2020; v. anche Cass. n. 1665/2022, n. 13865/2019, n. 2518/2023), essendo precluso al datore di lavoro di irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal CCNL applicato al rapporto in relazione ad una determinata infrazione (Cass. n. 6165/2016, n. 9223/2015; cfr. anche Cass. n. 2830/2016); sono, infatti, stati esclusi in fatto i raggiri e abusi denunciati da parte datoriale;
12. neppure è fondato il terzo motivo;
13. il datore di lavoro che invochi l’aliunde perceptum da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini dell’assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative (Cass. n. 2499/2017, n. 10694/2023): parimenti, in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che affermi la detraibilità, a titolo di aliunde percipiendum, di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione, ha l’onere di allegare le circostanze specifiche riguardanti la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del danneggiato, da cui desumere, anche con ragionamento presuntivo, l’utilizzabilità di tale professionalità per il conseguimento di nuovi guadagni e la riduzione del danno (Cass. n. 17683/2018);
14. la Corte di merito ha valutato le deduzioni di parte ricorrente sul punto mancanti di specificità, e si deve pertanto ribadire che, in tema di azione per risarcimento danni, grava in capo al convenuto l’onere della prova (positiva) di diverse opportunità di guadagno e non in capo al danneggiato la prova (negativa) della mancanza di esse (Cass. n. 30330/2019, n. 1636/2020);
15. la sentenza gravata resiste pertanto alle censure contenute in ricorso, che deve complessivamente essere respinto;
16. le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza,
17. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 7.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge […]”..
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