(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 14 marzo 2024, n. 6373.
L’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento grava sul lavoratore, ben potendo, tuttavia, il giudice di merito valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso.
“[..] Fatti di causa
1. Con la sentenza (omissis), la Corte d’appello di Firenze accoglieva parzialmente l’appello proposto da F.C. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 769/2019, la quale aveva respinto il ricorso della lavoratrice, con il quale la stessa, dipendente della C. s.r.l. dal 23.4.2015 al 17.5.2017, con mansioni di cuoca di IV livello del CCNL applicato, aveva impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole dalla datrice di lavoro, sostenendone la natura ritorsiva e/o discriminatoria (con richiesta di tutela ex art. 2 d.lgs. n. 23/2015); in subordine, deducendo la sua illegittimità per assenza del giustificato motivo oggettivo e per violazione dell’obbligo di repechage e dell’art. 5 d.lgs. n. 61/2000 (con richiesta di pagamento dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015); in ogni caso, con accertamento della responsabilità della convenuta ex art. 2087 c.c. per non aver prevenuto condotte dannose e discriminatorie sul luogo di lavoro (atti di molestie sessuali da parte di un collega nominativamente indicato), con condanna della società resistente al risarcimento del danno, ai sensi della Direttiva europea n. 54/2006, per un importo compreso tra le 2,5 e le 12 mensilità. La Corte, pertanto, dichiarava estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannava la datrice di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a tre mensilità, oltre rivalutazione ed interessi.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, andando in contrario avviso rispetto al primo giudice, concludeva per l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo indicato nella causale del licenziamento, ritenendolo pertanto illegittimo. Circa, invece, il motivo ritorsivo di tale recesso, consistente nel fatto che la C. sarebbe stata invisa all’amministratore delegato dell’appellata in quanto, quale referente della Universo Vegano, aveva comunicato a tale P. l’utilizzo di ingredienti non conformi allo standard dei prodotti vegani, ne riteneva l’infondatezza.
3. Avverso tale decisione, F.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
4. L’intimata ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, parimenti affidato ad unico motivo.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo del suo ricorso F.C. denuncia: “violazione di legge ex art. 360 n. 3), in specie nella parte in cui la sentenza impugnata non pronuncia la nullità del licenziamento privo di giustificazione e come tale sorretto da causa e/o motivo illecito ex art. 1343 c.c. e ss., e perciò ritorsivo”. Secondo la ricorrente principale, ben ha ritenuto la Corte d’appello la non sussistenza del g.m.o. di licenziamento, così accogliendo parzialmente il ricorso;
mentre erra in punto di diritto quando non fa discendere la natura ritorsiva del licenziamento dalla inconsistenza del g.m.o. posto alla base del licenziamento, nell’assenza di altre giustificazioni indicate dal datore di lavoro.
2. Con l’unico motivo del ricorso incidentale C. s.r.l. deduce “violazione dell’art. 360 c.p.c. n. 5 in specie nella parte in cui la sentenza ha ritenuto non conforme alla realtà dei fatti, la circostanza della “soppressione del posto di lavoro” della C. (che era stata assunta quale cuoca), quale causale del recesso e, dunque, non riconosce la sussistenza del giustificato motivo oggettivo del licenziamento”. Richiamati taluni passi della motivazione dell’impugnata sentenza, la ricorrente incidentale assume che il giudice d’appello giungeva alle riportate conclusioni circa l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo “non avendo esaminato integralmente i documenti di causa ed, in particolare, avendo omesso la disamina del documento 41 ed dei LUL, indicati dalla lettera a) alla m), allegati al fascicolo di primo grado da questa parte (Doc. 41; Doc. da a) ad m) fascicolo primo grado della resistente)”. Passa, quindi, ad illustrare ciò che, a suo dire, si dovrebbe desumere da tali documenti, sostenendo che essi “offrono la prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, quella parte della sentenza nella quale, escludendo la sussistenza del giustificato motivo oggettivo indicato nella causale del licenziamento, lo si dichiara illegittimo”, sicché “la disamina dei documenti trascurati avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa”.
3. L’unico motivo del ricorso principale è inammissibile.
3.1. Anzitutto, in tale censura, che fa riferimento esclusivo all’ipotesi di violazione di norme di diritto di cui all’art. 360, comma primo, n.3), c.p.c., non sono individuate le norme di diritto che sarebbero state violate o falsamente applicate.
3.2. In ogni caso, la ricorrente deduce che risulterebbe “simulata, dietro una falsa motivazione (causa in concreto), la sussistenza della natura ritorsiva del licenziamento, il motivo illecito, contrario alle norme di tutela del lavoratore, vale a dire la volontà di sbarazzarsi del lavoratore sol perché una serie di circostanze o di atteggiamenti della medesima o che si siano creati intorno alla stessa, leciti, abbiano contrariato il datore per una serie di motivi, che non possono però ricadere sul lavoratore, né ad esso essere addebitati”. In base a tali argomenti la ricorrente asserisce che: “Ne deriva una presunzione assoluta di ritorsività ed il Giudice dovrà dichiararla”.
3.3. Da quanto richiamato discende l’inammissibilità del motivo perché, a fronte della valutazione degli elementi istruttori compiuta dalla Corte, propone una diversa lettura degli stessi. Inoltre non è chiarito come dalla pretesa simulazione del motivo dichiarato di licenziamento dovrebbe derivare la “presunzione assoluta di ritorsività” del licenziamento stesso, ed in base a quale norma di legge.
4. In una seconda parte dello stesso motivo, la ricorrente fa riferimento all’orientamento di questa Corte, in se stesso non discutibile, secondo il quale l’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento grava sul lavoratore, ben potendo, tuttavia, il giudice di merito valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (così, tra le altre, Cass., sez. lav., 17.6.2020, n. 11705).
4.1. Ora, in disparte la considerazione che la ricorrente neppure deduce esplicitamene la violazione delle disposizioni in tema di presunzioni semplici, di recente questa Corte ha confermato che, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (così Cass., sez. lav., 27.6.2022, n. 20530).
4.2. La sentenza impugnata, dopo aver escluso la sussistenza del giustificato motivo oggettivo indicato nella causale del licenziamento, in base ad un esteso esame delle risultanze processuali (cfr. quarta, quinta e sesta facciata della sua sentenza), ha però motivatamente ritenuto non provato l’allegato motivo ritorsivo dello stesso recesso.
4.3. Ebbene, il ragionamento presuntivo invocato dalla ricorrente si fonda in realtà, oltre che sull’asserita apparenza del motivo del licenziamento (di cui s’è già detto), sull’assunto che la Corte d’appello avrebbe errato quando ha espunto dal quadro probatorio il doc. 2 prodotto in primo grado perché non leggibile, e sull’altro che questa Corte dovrebbe “censurare la violazione di norme processuali relative alla assunzione e valutazione di prove nel processo civile”, senza peraltro specificare quali norme processuali non sarebbero state osservate.
4.4. Del resto, l’ulteriore sviluppo di tale censura rende evidente che la ricorrente, da un lato, critica l’apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte territoriale e, dall’altro, propone una propria valutazione delle emergenze istruttorie (cfr. facciate 9, 10 e 11 del suo ricorso); il che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
5. Parimenti inammissibile è l’unico motivo del ricorso incidentale che fa esclusivo riferimento al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.
6. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, l’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Costituisce un “fatto” agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante; non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive; gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o “il vario insieme dei materiali di causa” (così Cass., sez. lav., 22.5.2020, n. 9483). Inoltre, come specificato anche dalle Sezioni unite di questa Corte, è onere del ricorrente, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., indicare il fatto storico, il dato da cui esso risulti esistente, il come ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (cfr. Cass., Sez. un., 30.7.2021, n. 21973). Infine, neppure costituiscono “fatti” gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (in tal senso Cass., sez. I, 21.7.2020, n. 15568).
6.1. Ebbene, anzitutto la ricorrente incidentale lamenta la mancata considerazione di un complesso di documenti che assume di aver prodotto, i quali costituiscono elementi istruttori e non fatti, in realtà proponendo una differente valutazione di risultanze processuali, compresa la “documentazione in atti”, che la Corte territoriale ha comunque apprezzato. In particolare, la Corte aveva, tra l’altro, considerato che: “All’indomani del licenziamento del 17.5.2017, venne assunto come cuoco, seppur apprendista, tale Scotto Rosato, che già era entrato in azienda con contratto a chiamata, il 23 maggio 2017”. La ricorrente, invece, in base ai documenti cui si riferisce, sostiene che lo Scotto “sia stato assunto in data 23/05/2017 con contratto a chiamata come banconiere e non, come asserisce – errando – la Corte d’Appello, come cuoco”, e che “Solo a far data dal 31/07/2017, ossia dopo quasi tre mesi dal licenziamento della Sig.ra C., il dipendente Scotto venne assunto come apprendista cuoco”. Si è in presenza, perciò, di una critica dell’apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte di merito, non consentito in questa sede.
7. Stante la reciproca soccombenza le spese di questo giudizio di cassazione possono essere integralmente compensate tra le parti. Entrambe, però, a motivo dell’inammissibilità delle rispettive impugnazioni, sono tenute al pagamento del c.d. raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale […]”.
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