Malattia professionale. Lavoratore addetto a mansioni usuranti. Accertamento della responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale del datore di lavoro.
Cassazione. Sentenza 3 marzo 2022, n. 7058Cassazione. Sentenza 3 marzo 2022, n. 7058.
L’art. 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro- di natura contrattuale- va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare, oltre all’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.
Dal testo della sentenza
“[…] Rilevato che
- Il Tribunale di Sulmona, con la pronuncia n. 84 del 2018, accoglieva la domanda proposta da M.A. (che aveva già ottenuto il riconoscimento dell’origine professionale in ambito INAIL della malattia professionale con un danno biologico del 16%) nei confronti dell’E.D. spa, di cui era stato dipendente dall’1.7.1975 al 30.6.2008, volta all’accertamento e alla declaratoria di responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della società nella causazione dei danni biologici, morali, patrimoniali e non, ed esistenziali a lui causati dall’essere stato addetto all’esecuzione di mansioni usuranti, comportanti la movimentazione dei carichi, all’esposizione a vibrazioni, a posture incongrue e ad eventi climatici senza che parte datoriale fornisse idonea tutela per i suddetti rischi, operasse una loro corretta valutazione e impartisse la formazione specifica a prevenirli.
- Il giudice di primo grado condannava l’E.D. spa al pagamento, a titolo di risarcimento del danno differenziale, della somma di euro 40.612,96 oltre accessori.
- Sul gravame della società la Corte di appello di L’Aquila, dopo avere espletato una nuova ctu, con la sentenza n. 785 del 2019, in riforma della pronuncia di primo grado rigettava, invece, la domanda del M.
- A fondamento della decisione i giudici di seconde cure, in sintesi, evidenziavano che: a) il lavoratore non aveva fornito, alla luce della documentazione in atti e degli esiti della prova testimoniale, prova sufficiente, il cui onere era su di lui ricadente, della sussistenza dei specifiche omissioni datoriali nella predisposizione di quelle misure di sicurezza, suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica, necessarie ad evitare il danno; b) sia che la questione fosse inquadrata in termini di responsabilità contrattuale ex art. 2087 cc sia che si facesse riferimento alla responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 cc, era evidente che in atti non vi era prova sufficiente della sussistenza del necessario rapporto di causalità tra l’attività lavorativa espletata e la malattia denunciata; c) trattandosi, infatti, di una malattia ad eziologia multifattoriale (rachipatia artrosica con protrusioni discali multiple a discreto impegno funzionale) necessitava, ai fini del riconoscimento del nesso di causalità, di una probabilità qualificata, assistita da adeguati riscontri di carattere epidemiologico, la cui dimostrazione nella fattispecie non era stata fornita.
- Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione A.M. affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso l’E.D. spa.
- Il PG rassegnava conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso.
- Le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
- I motivi possono essere così sintetizzati.
- Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione agli artt. 40 e 41 c.p.c., artt. 1218, 2043, 2087, 2697, 2729 e 2909 cc; 99, 101, 112, 115, 116, 191 ss, 324, 342 c.p.c.; artt. 4, 16, 47, 48 e 49, all. VI D.lgs. n. 626 del 1994; artt. 4, 24 e 33 DPR 19.3.1956 e voce 48 della tabella allegata, n. 303; art. 37 e 39 CCNL Elettrici del 1973; stessi articoli. Si sostiene che erroneamente la gravata sentenza aveva addossato al lavoratore l’onere di provare l’omissione da parte del datore di predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno a fronte della prova fornita dal lavoratore sulla esistenza delle patologie, sulla nocività dell’ambiente di lavoro e sul loro rapporto causale, ed anche ad abundantiam, delle specifiche norme violate dal datore di lavoro.
- Con il secondo motivo si censura la motivazione apparente della gravata pronuncia, sotto un primo profilo perché non era dato comprendere le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, creando un vero e proprio iato, non essendo stato chiarito su quali prove fosse fondato il convincimento e sulla base di quali argomentazioni si fosse pervenuto alle determinazioni adottate, distanziandosi così dalla regola di giudizio iuxta alligata et probata; sotto un secondo profilo, si obietta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, essendo stata omessa la valutazione dei rischi connessi alla filiera lavorativa in esame, la cui esatta identificazione risultava necessaria per valutare l’adeguatezza delle misure di prevenzione e sicurezza (adottate e non).
- Per motivi di pregiudizialità logico-giuridica deve essere esaminato preliminarmente il secondo motivo.
- Esso è infondato nella parte in cui denunzia apparenza di motivazione; inammissibile nel resto delle censure.
- E’ noto che la motivazione apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico – giuridico alla base del decisum e di percepire, quindi, il fondamento della decisione perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. Un. n. 22232 del 2016), oppure perché il giudice omette di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indica senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica (Cass. n. 9105 del 2017) oppure, ancora, quanto rechi argomentazioni svolte in modo talmente contraddittorio da non consentire la individuazione delle ragioni giustificative del decisum (Cass. n. 20112 del 2009).
- Tali caratteristiche non si rinvengono in relazione alle argomentazioni che sorreggono la sentenza impugnata: argomentazioni che, viceversa, rendono del tutto percepibili le ragioni alla base della decisione, rappresentate, in definitiva, dal fatto che colla luce della documentazione in atti e degli esiti della prova orale>> il lavoratore non aveva fornito sufficiente prova, della quale era onerato, della sussistenza di specifiche omissioni datoriali nella predisposizione di quelle misure di sicurezza, suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica necessarie ad evitare il danno oggetto della pretesa risarcitoria azionata; l’avere disatteso gli esiti della consulenza tecnica di ufficio rinnovata in secondo grado si rivela del tutto coerente con tale assunto.
- Le ulteriori deduzioni che, in via gradata, prospettano violazione di norme di diritto sono inammissibili in quanto non articolate, come prescritto, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012). Esse, in realtà, tendono ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie non consentita in sede di legittimità.
- Il primo motivo di ricorso è, invece, fondato.
- La Corte di appello ha accertato che il ricorrente aveva lavorato alle dipendenze di E.D. s.p.a. nel periodo dall’1.12.1975 al 31.10.2003 svolgendo mansioni di elettricista di Nucleo di Distribuzione ed operatore di mezzi speciali (escavatorista, gruista, trattorista, etc).
- Richiamati i principi in tema di ripartizione degli oneri di allegazione e prova in relazione alla prospettata responsabilità datoriale – sia extracontrattuale che contrattuale – ha ritenuto che fosse onere del lavoratore dimostrare la sussistenza di specifiche omissioni datoriali nella predisposizione delle misure di sicurezza suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica necessaria ad evitare il danno. Solo ove tale prova fosse stata offerta sorgeva per il datore di lavoro l’onere di dimostrare di avere adottato le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del pregiudizio subito; tale onere non era stato in concreto assolto.
- Il richiamato passaggio argomentativo in punto dei criteri di ripartizione della prova è frutto di un errore di diritto del giudice di appello in quanto prescinde dai principi, pur correttamente evocati in sentenza, in tema di distribuzione dell’onere della prova, finendo con il porre a carico del lavoratore la dimostrazione della violazione da parte del datore di lavoro di specifiche misure antinfortunistiche – anche innominate- laddove il lavoratore era tenuto solo a dimostrare il nesso di causalità tra le mansioni espletate e la nocività dell’ambiente di lavoro restando a carico del datore di lavoro la prova di avere adottato tutte le misure (anche quelle cd. innominate) esigibili in concreto.
- Secondo la condivisibile e consolidata giurisprudenza di questa Corte infatti l’art. 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro – di natura contrattuale – va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare, oltre all’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (ex plurimis: Cass. n. 15112 del 2020, Cass. n. 26495 del 2018, Cass. n. 12808 del 2018, Cass. n. 14865/2017, Cass. n. 2038 del 2013, Cass. 12467 del 2003).
- Dalle considerazioni che precedono consegue, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la cassazione in parte qua della sentenza impugnata con rinvio al giudice di seconde cure per il riesame del materiale istruttorio e degli esiti della prova, orale e documentale, alla luce del criterio di ripartizione degli oneri probatori sopra richiamato.
- Al giudice del rinvio è demandato, altresì, il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte dì appello di L’Aquila in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità […]”.
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