Mancata rotazione in CIGS e diritto al risarcimento.
Corte di Cassazione, sentenza n. 10378/2021.
La violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in CIGS fissati dal CCNL non comporta la riammissione in servizio, ma determina solo il risarcimento del danno.
Corte di Cassazione, sentenza n. 10378/2021.
di Luigi Verde
1.La violazione dei criteri stabiliti in sede di contrattazione collettiva per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni straordinaria comporta, per il lavoratore ingiustificatamente sospeso, non il diritto alla riammissione in servizio, bensì il solo diritto al risarcimento del danno, in misura corrispondente alla differenza tra le retribuzioni spettanti nel periodo di ingiustificata sospensione del rapporto ed il trattamento di cassa integrazione corrisposto nello stesso periodo, con l’assoggettamento del diritto alla prescrizione ordinaria decennale e non alla prescrizione breve quinquennale. Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con sentenza 20 aprile 2021, n. 10378, confermando Corte d’Appello di Cagliari (sez. distaccata di Sassari, n. 211/2017), che aveva accolto il ricorso di un lavoratore avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità della sua collocazione in CIGS con sospensione a zero ore, illegittima in quanto mancante della comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di individuazione del personale da sospendere e non rispondendo al vero che la sospensione aveva coinvolto tutto il personale dipendente con la medesima professionalità dell’istante.
In riforma della decisione resa dal Tribunale di prime cure, la Corte di appello aveva accolto la domanda proposta da un lavoratore nei confronti della Società datrice di lavoro, avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del suo collocamento in Cigs, con sospensione a zero ore, e la condanna della Società al pagamento della differenza tra la normale retribuzione di fatto ed il trattamento percepito a titolo di integrazione salariale, oltre al danno non patrimoniale nella componente biologica, esistenziale, morale e professionale.
Ad avviso della Corte d’Appello, non era fondata l’eccezione proposta dalla Società circa l’assoggettamento a prescrizione breve, anziché ordinaria decennale, della pretesa azionata dal lavoratore. Inoltre, non rispondeva al vero che la sospensione avesse coinvolto tutto il personale dipendente con la medesima professionalità del lavoratore istante, conseguendone la lesione degli interessi del medesimo. La Corte d’Appello aveva quindi condannato la Società “al pagamento della differenza tra la normale retribuzione di fatto ed il trattamento percepito a titolo di CIGS oltre al danno non patrimoniale nella componente biologica, esistenziale, morale e professionale, riconoscendo il danno patrimoniale con riferimento a tutti i periodi di sospensione nell’importo determinato in sede di CTU ed il danno non patrimoniale nella sola componente professionale”.
2.Avverso tale decisione la Società ricorreva in Cassazione lamentando principalmente la non conformità a diritto della decisione della Corte d’Appello in ordine al regime di prescrizione applicabile e asserendo che la disapplicazione del provvedimento di concessione della CIGS aveva determinato la reviviscenza dell’originaria obbligazione retributiva con applicazione del regime comune della prescrizione breve.
La Cassazione ha rilevato che, in linea con il suo orientamento giurisprudenziale, la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in CIG, stabiliti in sede di contrattazione collettiva, non comporta, per il lavoratore ingiustificatamente sospeso, il diritto alla riammissione in servizio, trattandosi di un “facere infungibile” fuori della sfera dell’art. 18 della L. n. 300/1970, ma solo il diritto al risarcimento del danno nella misura corrispondente alla differenza tra le retribuzioni spettanti nel periodo di ingiustificata sospensione del rapporto ed il trattamento di cassa integrazione corrisposto nello stesso periodo (cfr. ex multis, Corte di Cassazione 4 dicembre 2015, n. 24738): ne consegue l’assoggettamento del diritto alla prescrizione ordinaria decennale e non alla prescrizione breve quinquennale (si v. da ultimo, Corte di Cassazione, sentenza 15 aprile 2019, n. 10483).
Nel caso sottoposto al giudizio della Cassazione, le comunicazioni riportavano soltanto il numero massimo dei lavoratori da porre in CIGS, non consentendo “di ritenere che interessati alla sospensione a zero ore fossero tutti i dipendenti dell’unità produttiva e neppure tutti coloro che svolgevano le medesime mansioni” del ricorrente.
L’indicazione generica del numero dei lavoratori interessati dalla CIGS impedisce infatti la preventiva conoscibilità dei fattori che in concreto determinano la scelta di un lavoratore invece che di un altro, mentre, secondo la giurisprudenza della S.C. (si v. ex multis Cass. n. 22540/2013 e Cass. n. 25100/2013), “la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri…. un criterio di scelta generico non è effettivamente tale ma esprime soltanto un generico indirizzo nella scelta”.
Testo della sentenza
“[…] Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 20 aprile 2021, n. 10378
[…] La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro […]
ha pronunciato la seguente:
Sentenza sul ricorso 28031/2017 proposto da: (Omissis) S.p.A. […] – ricorrente –
contro (Omissis), […]- controricorrente –
avverso la sentenza n. 211/2017 della Corte d’appello di Cagliari sezione distaccata di Sassari, depositata il 28/08/2017 […]
Fatti di causa
Con sentenza del 28 agosto 2017, la Corte d’Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Sassari, accoglieva in parte la domanda proposta da (Omissis) nei confronti della (Omissis) S.p.A., avente ad oggetto, previa declaratoria dell’illegittimità della collocazione in CIGS dell’istante con sospensione a zero ore, la condanna della Società, al pagamento della differenza tra la normale retribuzione di fatto ed il trattamento percepito a titolo di CIGS oltre al danno non patrimoniale nella componente biologica, esistenziale morale e professionale, riconoscendo il danno patrimoniale con riferimento a tutti i periodi di sospensione nell’importo determinato in sede di CTU ed il danno non patrimoniale nella sola componente professionale.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione proposta dalla Società’ con appello incidentale circa l’essere la pretesa azionata assoggettata a prescrizione breve anziché ordinaria decennale, escluso il determinarsi per il mero decorso del tempo del mutuo consenso delle parti in ordine alla sospensione del rapporto, fondata la pretesa risarcitoria stante l’illegittima collocazione in CIGS dell’ (Omissis) con sospensione a zero ore, non essendo rispondente al vero che la sospensione abbia coinvolto tutto il personale dipendente con la medesima professionalità dell’istante e conseguendone dalla mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di individuazione del personale da sospendere la lesione degli interessi del medesimo, quantificabile il danno patrimoniale sulla base dell’espletata CTU, spettante, secondo quanto sancito dal primo giudice, il danno non patrimoniale soltanto nella sua componente professionale in ragione dell’incidenza sul livello di qualificazione professionale dell’istante la disposta sospensione a zero ore, confermato nella sua quantificazione.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’ (Omissis).
Ragioni della decisione.
Con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli articoli 2948 e 2946 c.c., lamenta la non conformità a diritto del pronunciamento della Corte territoriale in ordine al regime di prescrizione applicabile, asserendo che la disapplicazione del provvedimento di concessione della CIGS determina la riviviscenza dell’originaria obbligazione retributiva non piu’ sospesa con applicazione secondo il regime comune della prescrizione breve.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, articolo 1, commi 7 e 8, in relazione agli accordi sindacali diretti all’attivazione della CIGS successivi al 2005 nonche’ degli articoli 1362, 1363, 1371 c.c., lamenta l’incongruità logica e giuridica del convincimento, fondato sull’erronea interpretazione dei predetti accordi, in base al quale la Corte territoriale avrebbe ritenuto con riferimento agli accordi medesimi la genericità dei criteri di scelta e la conseguente illegittimità della procedura.
Con il terzo motivo, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed alla violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., la Società ricorrente imputa alla Corte territoriale di aver fondato la decisione su un elemento di fatto smentito dall’espletata istruttoria ovvero sulla non veridicità della circostanza per cui la sospensione aveva interessato tutto il personale dipendente con la medesima professionalità dell’ (Omissis).
Venendo all’esame dei formulati motivi è a dirsi come il primo risulti infondato alla luce del consolidato orientamento accolto da questa Corte secondo cui la violazione dei criteri, stabiliti in sede di contrattazione collettiva, per la scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione comporta, per il lavoratore ingiustificatamente sospeso non il diritto alla riammissione in servizio, versandosi in tema di facere infungibile fuori della sfera di operatività della L. n. 300 del 1970, articolo 18, ma solo il diritto al risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla differenza tra le retribuzioni spettanti nel periodo di ingiustificata sospensione del rapporto ed il trattamento di cassa integrazione corrisposto nello stesso periodo (cfr., da ultimo, Cass. 4.12.2015, n. 24738), derivandone l’assoggettamento del diritto alla prescrizione ordinaria decennale e non alla prescrizione breve quinquennale, secondo quanto sancito dalla Corte territoriale (cfr. altresì Cass. 15.4.2019, n. 10483 e Cass. 13.12.2010, n. 25139).
Parimenti infondati si rivelano il secondo ed il terzo motivo, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, emergendo dalla stessa formulazione del terzo motivo che l’elemento in fatto dato dalla Corte territoriale per accertato in sede istruttoria circa la veridicità del capitolo diretto a provare che i dipendenti, i quali svolgevano mansioni identiche a quelle dell’ (Omissis), sono stati tutti ammessi alla rotazione e comunque non sono stati affatto sospesi, lungi dal riflettere l’omessa considerazione di una circostanza asseverata in sede istruttoria favorevole alla Società ricorrente e’, viceversa, palesemente idoneo a sostenere il rilievo della Corte territoriale per cui “…contrariamente a quanto affermato dal primo giudice e’ risultato non essere vero che la sospensione ha interessato, dal marzo 2001 in poi, tutto il personale dipendente della (Omissis) S.p.A. con la medesima professionalità dell’ (Omissis) da cui la Corte territoriale prende le mosse per la verifica della correttezza delle comunicazioni trasmesse dalla Società alle organizzazioni sindacali circa i criteri di scelta del personale da collocare in CIG con riguardo a tutti i periodi di sospensione e risultando che la conclusione cui la Corte medesima approda in ordine alla rilevanza lesiva degli interessi dell’ (Omissis) delle predette comunicazioni in quanto prive della specificazione della ragione per la quale sin da marzo 2001 l’ (Omissis), diversamente dagli altri dipendenti, era stato collocato in CIGS a zero ore e prima ancora inidonee a dar conto dei criteri di individuazione dei soggetti da sospendere in CIGS a rotazione si sottrae alle censure di cui al secondo motivo, per essere la valutazione di genericità, motivata in sentenza, valendosi del richiamo ad alcuni degli accordi intervenuti a titolo meramente esemplificativo del tenore complessivo delle comunicazioni effettuate nel tempo, sulla base del rilievo per cui le comunicazioni riportavano soltanto il numero massimo dei lavoratori da porre in CIGS, che non consentiva di ritenere che interessati alla sospensione a zero ore fossero tutti i dipendenti dell’unità produttiva e neppure tutti coloro che svolgevano le medesime mansioni dell’ (Omissis), conforme all’orientamento invalso nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 22540/2013 e Cass. n. 25100/2013 e già Cass. n. 7720/2004) secondo cui “la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri. Infatti un criterio di scelta generico non è effettivamente tale me esprime soltanto un generico indirizzo nella scelta”, essendo palese che in una situazione in cui è genericamente indicato il numero di coloro che avrebbero subito la sospensione è impedita la preventiva conoscibilità dei fattori che in concreto determineranno la scelta di un lavoratore piuttosto che di un altro.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.2500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto […]”..
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