Nota di Luigi Verde
1.Nella causa C-218/22, l’Avvocato Generale avanti la Corte di Giustizia dell’Unione europea – nella controversia rimessa dal Tribunale di Lecce (contenzioso relativo a dipendenti comunali) per stabilire in che misura la direttiva concernente l’orario di lavoro vieti la monetizzazione delle ferie annuali retribuite, vale a dire la conversione in una somma di denaro di diritti non goduti alle ferie annuali retribuite – ha rassegnato le proprie conclusioni con atto dell’8 giugno 2023, affermando che:
“-L’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, non osta a una normativa nazionale che prevede il divieto di monetizzazione delle ferie annuali retribuite non godute al termine del rapporto di lavoro, quando:
– il divieto di richiedere l’indennità finanziaria non riguarda il diritto alle ferie annuali maturate nell’anno di riferimento in cui si ha la cessazione del rapporto di lavoro;
– il lavoratore ha avuto la possibilità di fruire delle ferie annuali retribuite nei precedenti anni di riferimento, anche nel corso del periodo minimo di riporto;
– il datore di lavoro ha incoraggiato il lavoratore a fruire delle ferie annuali retribuite;
– il datore di lavoro ha informato il lavoratore che le ferie annuali retribuite non godute non possono essere cumulate per essere sostituite da un’indennità finanziaria al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
-L’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 impone che il datore di lavoro dimostri che ha posto il lavoratore in condizione di fruire delle ferie, che lo ha incoraggiato in tal senso, che lo ha informato dell’impossibilità di una monetizzazione al momento della cessazione del rapporto di lavoro e che, ciò nonostante, il lavoratore ha scelto di non fruire delle ferie annuali.
Qualora il datore di lavoro non lo abbia fatto, il lavoratore dovrebbe essere risarcito”.
2. Conclusioni dell’avvocato generale nella causa C-218/22, Comune di Copertino.
“Gli Stati membri possono limitare la monetizzazione delle ferie annuali retribuite non godute al termine del rapporto di lavoro.
Essi possono imporre condizioni per incoraggiare la fruizione delle ferie annuali al fine di tutelare la salute dei lavoratori purché siano soddisfatte determinate condizioni.
2.1.Un dipendente pubblico ha prestato servizio con il profilo professionale di «Istruttore Direttivo Tecnico» dal febbraio 1992 all’ottobre 2016, presso il Comune di Copertino, Italia.
Con lettera del 24 marzo 2016 inviata al Comune, tale dipendente pubblico ha presentato le proprie dimissioni volontarie per beneficiare del collocamento in pensione anticipata dal 1° ottobre 2016. Egli ha chiesto il riconoscimento del diritto a un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite, che ammontavano a 79 giorni, di cui non aveva goduto nel corso del rapporto di lavoro. Il Comune ha risposto che egli era al corrente dell’obbligo di fruire dei giorni di ferie residui e dell’impossibilità di monetizzarli. A tal fine, il Comune invoca la norma prevista nel diritto italiano[1], in base alla quale le ferie annuali dei lavoratori del settore pubblico non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi delle ferie annuali non godute alla cessazione del rapporto di lavoro. L’interpretazione data dai giudici italiani alla disposizione italiana consente la monetizzazione delle ferie annuali solo nel caso in cui tali ferie non siano state effettivamente godute per motivi indipendenti dalla volontà del lavoratore (ad esempio, per malattia).
2.2.Il Tribunale di Lecce, investito della causa, nutre dubbi in merito alla compatibilità della normativa italiana con la direttiva concernente l’orario di lavoro e chiede quindi alla Corte di giustizia se la direttiva osti a tale normativa nazionale e, in caso di risposta negativa, se spetti al lavoratore o al datore di lavoro dimostrare che il lavoratore ha avuto l’effettiva possibilità di fruire delle ferie annuali retribuite.
2.3.Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Tamara Ćapeta osserva che l’indennità finanziaria non è un diritto autonomo riconosciuto ai lavoratori dalla direttiva concernente l’orario di lavoro. La direttiva permette di sostituire il diritto alle ferie annuali retribuite con una compensazione finanziaria solo nel caso in cui sia cessato il rapporto di lavoro. Tuttavia, gli Stati membri possono imporre condizioni di esercizio del diritto alle ferie annuali al fine di incoraggiare l’effettiva fruizione delle ferie annuali.
La preferenza per l’effettiva fruizione delle ferie annuali retribuite rispetto alla loro monetizzazione è giustificata dalla finalità delle ferie annuali retribuite, che è quella di tutelare la salute dei lavoratori creando una possibilità di riposo dal lavoro. Infatti, basandosi sulla giurisprudenza della Corte e sulla dottrina disponibile in materia di scienze sociali, l’avvocato generale Ćapeta evidenzia che il godimento effettivo delle ferie annuali retribuite è un modo importante per i lavoratori per reintegrare le proprie energie mentali e fisiche e, più in generale, per contribuire alla propria salute sul lavoro e fuori dal lavoro.
In linea di massima, quando termina il rapporto di lavoro, la direttiva concernente l’orario di lavoro non esclude sempre la perdita delle ferie annuali retribuite non godute. Se il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne potrebbero derivare, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime, la direttiva concernente l’orario di lavoro non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un’indennità finanziaria.
Gli Stati membri possono pertanto incoraggiare l’effettiva fruizione delle ferie annuali retribuite anziché la loro monetizzazione.
Infine, l’avvocato generale Ćapeta ritiene che la direttiva concernente l’orario di lavoro non osti a una normativa nazionale che proibisce la monetizzazione delle ferie annuali retribuite non godute al termine del rapporto di lavoro purché siano soddisfatte le seguenti condizioni.
Anzitutto, il divieto di richiedere un’indennità sostitutiva non può riguardare il diritto alle ferie annuali maturate nell’anno di riferimento in cui si ha la cessazione del rapporto di lavoro.
In secondo luogo, il lavoratore deve aver avuto l’effettiva possibilità di fruire delle ferie annuali negli anni di riferimento precedenti, anche nel corso del periodo minimo di riporto.
In terzo luogo, il datore di lavoro ha incoraggiato il lavoratore a prendere le ferie annuali.
In quarto luogo, il datore di lavoro ha informato il lavoratore del fatto che le ferie annuali retribuite non godute non possono essere cumulate per essere sostituite da un’indennità finanziaria al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
2.4. Secondo l’avvocato generale Ćapeta, spetta al giudice nazionale valutare se la normativa italiana possa essere interpretata in tal senso e se le condizioni elencate siano soddisfatte nel caso di specie.
Per quanto riguarda l’onere della prova, l’avvocato generale Ćapeta ritiene che non incomba al lavoratore, ma al datore di lavoro. A suo avviso, la direttiva concernente l’orario di lavoro impone che il datore di lavoro dimostri che ha posto il lavoratore in condizione di fruire delle ferie, che lo ha incoraggiato in tal senso, che lo ha informato dell’impossibilità di una monetizzazione al momento della cessazione del rapporto di lavoro e che, ciò nonostante, il lavoratore ha scelto di non fruire delle ferie annuali.
3. Nota di Luigi Verde
3.1. Come noto, allo scopo di tutelare il diritto al riposo e incoraggiare la fruizione delle relative giornate, l’art. 10, c. 2, D.Lgs. 66/2003, prevede un generale divieto di monetizzazione delle ferie, operazione che vanificherebbe il godimento effettivo del beneficio qualora se ne consentisse la sostituzione con un’indennità.
Nell’ambito del lavoro privato tuttavia, pur in presenza di detto divieto, secondo una giurisprudenza consolidata, dal mancato godimento delle ferie deriva comunque il diritto del lavoratore ad una indennità sostitutiva. Questo principio non vale in maniera indiscriminata per l’impiego pubblico, dove trova applicazione quanto disposto dall’art. 5 DL 95/2012, che ha introdotto un divieto di trattamenti economici sostitutivi salvo nel caso in cui l’impedimento al godimento delle ferie sia dovuto a causa non imputabile al lavoratore.
È quest’ultima norma che viene esaminata dall’ Avv. Generale Ćapeta, alla luce della Direttiva 2003/88/CE.
Ora, l’art. 7, par. 2 della direttiva 2003/88, è stato recepito in Italia con il cit. art. 10, comma 2 del d.lgs. n. 66/2003, giusta il quale, nel settore privato “il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro”. Tale criterio, è opportuno ricordarlo, il nostro ordinamento già contemplava, anche se come corollario del principio di irrinunziabilità di cui all’art. 36 della Costituzione, criterio che il legislatore del 2003 ha inteso positivizzare.
Nel settore pubblico, invece, l’art. 5, comma 8, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (conv. con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, l’art. 1, comma 1), stabilisce che “le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa, sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto (…)”. L’effetto naturale conseguente alla positivizzazione di tale principio sarebbe costituito, a parere di alcuni, dalla invalidazione di quelle clausole contrattuali che prevedono, decorso un certo periodo di tempo dal superamento dell’anno di maturazione, la “conversione” del diritto nella corrispondente indennità economica.
3.2. Il carattere imperativo e incondizionato del diritto alle ferie annuali retribuite chiama in causa la responsabilità del datore di lavoro. A tal proposito si deve ricordare che secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, il rispetto dell’obbligo che al datore pone l’art. 7 della direttiva 2003/88, non può estendersi fino a costringerlo ad imporre ai suoi dipendenti l’esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali. In ogni caso, il datore deve assicurarsi che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il diritto alle ferie. A tal fine, il datore di lavoro deve “assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia posto effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo -in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire- del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest’ultima si verifica nel corso di un simile periodo”.
In linea con questa interpretazione del cit. art. 7, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 29113/2022, ha affermato che l’art. 5, co. 8, d.l. 95/2012 (conv., con mod. in L. 135/2012), non osta al diritto alla monetizzazione alle ferie, qualora il datore di lavoro non adempia ai propri oneri probatori (ricorso proposto da un dirigente medico, con incarico di direttrice di una ASL di Barletta Andria Trani)
3.3.Di seguito alcuni passi della sentenza della Corte di Cassazione, n. 29113/2022.
“[…] 7. sono dunque infondate le difese della ASL sviluppate sul richiamo dell’art. 5, co. 8, d.l. 95/2012, conv., con mod. in L. 135/2012 la cui interpretazione, nel quadro di cui sopra, non osta al diritto alla monetizzazione alle ferie, qualora il datore di lavoro non adempia ai propri oneri probatori;
8. nel medesimo senso, questa S.C. ha già ritenuto che «il diritto alle ferie annuali retribuite dei dirigenti pubblici, in quanto finalizzato all’effettivo godimento di un periodo di riposo e di svago dall’attività lavorativa (nel quadro dei principi di cui agli artt. 36 Cost. e 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE), è irrinunciabile; ne consegue che il dirigente il quale, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non ne abbia fruito, ha diritto a un’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un’adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo» (Cassazione, 13613/2020) ed ha ora ulteriormente precisato che anche «il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all’indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento» (Cassazione, 18140/2022);
9. neppure possono rinvenirsi profili ostativi alla monetizzazione nel disposto dell’art. 10, co. 1, d. lgs. 66/2003, richiamato nelle difese della ASL, secondo cui il periodo feriale minimo di quattro settimane «va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione»;
[…]
10. la norma va intesa infatti, in ragione del quadro interpretativo di cui sopra, come regola di disciplina delle modalità ordinarie di fruizione minima delle ferie maturate in un certo anno, senza interferenze con il diritto alla monetizzazione, alla fine del rapporto, delle ferie non godute, qualora il datore di lavoro non adempia agli oneri probatori a suo carico quali sopra delineati;
11. la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può dunque verificarsi «soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato» (Cassazione n. 21780/2022);
[1] Articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito con modificazioni dall’articolo 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135”.
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