(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 12 marzo 2024 n. 6548.
Il carattere ingiurioso del licenziamento, che, in quanto lesivo della dignità del lavoratore, legittima un autonomo risarcimento del danno, non si identifica con la sua illegittimità, bensì con le particolari forme o modalità offensive del recesso.
Lavoro-Contratto di lavoro dirigenziale-Licenziamento per giusta causa-Natura ingiuriosa del recesso- Comunicazione alla stampa del licenziamento-Mancata prova della riferibilità ad organi societari della comunicazione della notizia alla stampa-Inammissibilità.
“[…] Rilevato che
1. il Tribunale di Savona, nella causa promossa da G.G. contro TPL Linea, società a partecipazione pubblica per l’esercizio del trasporto pubblico nella provincia di Savona, della quale il ricorrente era direttore generale, dichiarava illegittimo il licenziamento per giusta causa intimatogli il 10.2.2015 e condannava la società a corrispondergli la somma di € 40.005, a titolo di risarcimento del danno rappresentato dalla perdita dei compensi retributivi che sarebbero spettati sino alla scadenza naturale del contratto di lavoro dirigenziale stipulato nel maggio 2013 con scadenza al 31.5.2015, oltre all’ulteriore somma di € 40.000 a titolo di danno non patrimoniale per la natura ingiuriosa del licenziamento, rigettando nel resto il ricorso;
2.la Corte d’Appello di Genova, pronunciandosi sulle impugnazioni di entrambe le parti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ferma la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la condanna della società al risarcimento del danno economico corrispondente alle retribuzioni che sarebbero spettate al dirigente sino alla scadenza del contratto, escludeva la natura ingiuriosa del licenziamento, ma condannava comunque la società a corrispondere al dirigente la somma di € 10.000 (in luogo di € 40.000 liquidati dal Tribunale per l’ingiuriosità del recesso, non ravvisata in secondo grado) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all’illegittimità del licenziamento, nonché la somma di € 15.000 per danno patrimoniale conseguente alla mancata corresponsione dei compensi incentivanti previsti dal contratto, e la somma di € 10.000 per danno patrimoniale conseguente alla mancata attivazione della procedura di outplacement prevista dal contratto;
3.il dott. G. propone ricorso per cassazione con unico articolato motivo, cui resiste la società con controricorso e ricorso incidentale con 2 motivi, cui resiste con controricorso al ricorso incidentale il ricorrente principale; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1. parte ricorrente censura la sentenza impugnata nel capo in cui ha rigettato la domanda volta a ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale e del danno patrimoniale conseguente al carattere ingiurioso del licenziamento, deducendo in proposito, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 1218, 1223, 2727, 2729, 2697 c.c.; ribadisce la natura ingiuriosa del licenziamento in riferimento agli articoli di stampa pubblicati ancor prima della ricezione della lettera di licenziamento, e quindi, quantomeno in via presuntiva, da riferirsi alla società; sostiene che dalla corretta valutazione di tali documenti si ricava che agli atti del giudizio vi è la prova – o comunque vi sono elementi aventi carattere di gravità, precisione e concordanza, rilevanti ex art. 2729 c.c. – che portano a concludere che il comportamento illecito in questione è stato posto in essere dalla società TPL Linea, essendo evidente che solo i responsabili della società erano a conoscenza del licenziamento deciso dal CDA della stessa il giorno 6.2.2015 e solo loro potevano quindi aver dato la notizia agli organi di stampa, che l’hanno pubblicata il giorno successivo, il 7.2.2015;
2.il motivo di ricorso principale è inammissibile;
3. è noto che il carattere ingiurioso del licenziamento, che, in quanto lesivo della dignità del lavoratore, legittima un autonomo risarcimento del danno, non si identifica con la sua illegittimità, bensì con le particolari forme o modalità offensive del recesso (Cass. n. 23686/2015); e che qualora sia stata accertata l’illegittimità del licenziamento, oltre al danno patrimoniale, può essere risarcito il danno anche non patrimoniale, ove si ravvisi una lesione di interessi inerenti la persona, non connotati da rilevanza economica, ma meritevoli di tutela anche per il loro rilievo costituzionale;
4.la sentenza gravata ha espresso le proprie argomentazioni sul risarcimento del danno da licenziamento nell’ambito di tale chiaro perimetro, valutando che nella fattispecie non risultava provato che la comunicazione alla stampa del licenziamento stesso, elemento in cui secondo il lavoratore risiederebbe l’ingiuriosità, fosse avvenuta ad opera della società datrice di lavoro;
5. non si configura, pertanto, la denunciata violazione di legge, che ricorre in caso di erronea sussunzione del fatto nella fattispecie normativa, perché la censura risulta diretta contro la valutazione di merito circa la mancata prova del fatto (trasmissione alla stampa della notizia ad opera della società) a base della lamentata ingiuriosità del recesso;
infatti, la Corte di merito non ha affermato che la pubblicazione sulla stampa degli addebiti disciplinari fondanti il licenziamento, poi non confermati, non potesse in astratto essere ingiuriosa, ma che la prova che la comunicazione alla stampa di tale notizia fosse riferibile alla società era in concreto carente;
6.il motivo di ricorso si sostanzia, quindi, unicamente in una critica della suddetta ricostruzione fattuale (e non in un vizio di violazione di legge), inammissibilmente formulata in sede di legittimità;
7. segnatamente, non è integrata la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto deducibile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece, come in questo caso, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107/2013, n. 13395/2018, n. 18092/2020);
8. né è integrata la violazione degli artt. 115, primo comma, e 116, primo comma, c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; la censura in esame esprime una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
9. la deduzione di violazione della normativa in materia di presunzioni non coglie nel segno, atteso che la Corte di merito non ha utilizzato il ragionamento presuntivo (censurabile in sede di legittimità solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso – cfr. Cass. n. 3541/2020, n. 5279/2020; v. anche Cass. n. 22366/2021, n. 9054/2022, n. 23263/2023), ma ha ritenuto non provata la riferibilità ad organi societari della comunicazione della notizia alla stampa;
10. a norma dell’art. 334 c.p.c., all’inammissibilità dell’impugnazione principale consegue la perdita di efficacia del ricorso incidentale (con il quale si deduce, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al capo di sentenza sul mutamento dell’addebito contestato al lavoratore, e, con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione di norme di diritto sul capo della sentenza relativo ai danni non patrimoniali riconosciuti in sede di gravame pur negando la natura ingiuriosa del licenziamento);
11.in ragione della soccombenza, parte ricorrente principale deve essere condannata al rimborso in favore della controparte delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo (cfr. Cass. n. 15220/2018, secondo cui, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale);
12.la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione principale determina il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali, mentre, il controricorrente, il cui ricorso incidentale tardivo sia dichiarato inefficace a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, non può essere condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, ex art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 18348/2017);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale, inefficace il ricorso incidentale […]”.
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