Natura previdenziale dei versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare
Corte di cassazione. Sentenza 17 marzo 2022, n. 8780.Corte di cassazione. Sentenza 17 marzo 2022, n. 8780.
Natura previdenziale dei versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare, affermandone il carattere previdenziale, fin dalla istituzione dei relativi fondi.
Lavoro. Comparto degli enti di ricerca. Polizza INA. Natura di prestazione retributiva
Dal testo della sentenza.
“[…].Fatti di causa:
- G. S., dipendente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare dall’1 ottobre 2000, ha agito in giudizio per ottenere, con la stessa decorrenza, l’estensione a proprio favore della polizza INA stipulata dall’Istituto nel 1963 per la costituzione di un trattamento di previdenza integrativa a favore del proprio personale, polizza che l’Istituto, dal dicembre 1993, aveva cessato di riconoscere ai dipendenti assunti in data successiva all’1 maggio 1975, ritenendo applicabile l’art. 64, comma 2, della I. n. 144/1999 che aveva disposto a decorrere dall’1 ottobre 1999 la soppressione dei fondi per la previdenza integrativa dell’assicurazione obbligatoria per i dipendenti degli enti di cui alla I. n. 70/1975.
- Il Tribunale di Bari ha accolto la domanda, attribuendo alla polizza INA la natura di prestazione retributiva e affermando il diritto dell’attore a beneficiarne fin dall’assunzione in servizio.
- La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 968/2015, pubblicata il 9 aprile 2015, ha confermato la decisione di primo grado, richiamando Cass. n. 10960/2013 e Cass. n. 3188/2012, già citate dal Tribunale, pronunce che avevano escluso, per la polizza INA oggetto di giudizio, la natura di trattamento di previdenza integrativa, sul rilievo che le relative prestazioni non erano correlate esclusivamente al pensionamento ed essendo l’accensione della polizza configurabile come beneficio accessorio del rapporto di lavoro; il giudice di appello ha osservato, inoltre, che all’accensione della polizza il datore di lavoro era tenuto per il solo fatto dell’assunzione in servizio del dipendente, secondo quanto risultante dall’esame della convenzione e dalla delibera della Giunta esecutiva dell’Istituto n. 102 in data 21 gennaio 1963, senza necessità, pertanto, di una previa domanda del lavoratore.
- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare con quattro motivi, cui ha resistito il S. con controricorso.
- Il controricorrente ha depositato altresì memoria difensiva.
- Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
- Con il primo motivo il ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione di varie norme di legge (art. 14, c. 2, I. n. 70/1975; artt. 7, 9-ter, 18, c. 9, d.lgs. n. 124/1993; art. 39, c. 2, I. n. 379/1955; art. 64 I. n. 144/1999; art. 48-bis d.p.r. n. 917/1986) e dell’art. 53 C.C.N.L. per il personale tecnico-amministrativo IV/X livello delle istituzioni e degli enti di ricerca e sperimentazione, censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello fondato la propria decisione – come già il primo giudice – su di un orientamento superato dagli sviluppi successivi della giurisprudenza di legittimità, poi confermati dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 4684/2015.
- Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione di norme collettive e di legge (in particolare, degli artt. 2, c. 3, 3-bis e 45 del d.lgs. n. 165/2001, secondo i quali il trattamento economico di un dipendente pubblico è previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva), non avendo la Corte di appello considerato che nessuna norma di legge o di contratto, individuale o collettivo, applicabile al rapporto di lavoro con l’Istituto, prevede il riconoscimento di parte della retribuzione in forma assicurativa o di ulteriori voci retributive rispetto a quelle indicate per il trattamento fondamentale ed accessorio (art. 38 C.C.N.L.).
- Con il terzo, mediante la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 14, c. 2, I. n. 70/1975, dell’art. 18, comma 9, d.lgs. n. 124/1993 e degli artt. 1411 e 1420 cod. civ., la sentenza impugnata è oggetto di censura per avere escluso, ricostruendo la fattispecie nei termini di cui all’art. 1411, c. 2, cod. civ., che l’obbligo di stipulare la polizza INA a carico del datore di lavoro fosse condizionato da una domanda di iscrizione al trattamento previamente presentata dal dipendente.
- Con il quarto l’Istituto, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 cod. civ., si duole che la Corte abbia ritenuto applicabile nella specie la prescrizione ordinaria decennale, anziché quella quinquennale.
- E’ fondato, e deve essere accolto, il primo motivo di ricorso.
- La sentenza impugnata, nella parte in cui ha attribuito natura retributiva alla polizza oggetto di domanda, non è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che – con le ordinanze n. 32716/2019 e n. 986/2020 – ha già affermato la natura previdenziale del trattamento, facendo applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4684/2015.
- Tale arresto ha risolto il contrasto esistente in giurisprudenza circa la natura dei versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare, affermandone il carattere previdenziale, fin dalla istituzione dei relativi fondi (e così escludendone la computabilità nel TFR e nella indennità di anzianità); si è ivi evidenziata, tra l’altro, la mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra versamenti e prestazione lavorativa e la sostanziale autonomia esistente tra rapporto di lavoro e previdenza complementare.
- La natura previdenziale è stata ribadita dalle Sezioni Unite (con le sentenze n. 6928/2018 e n. 16084/2021) anche in relazione ai crediti maturati dal lavoratore verso i fondi (le questioni esaminate nelle pronunce citate concernevano la natura privilegiata o chirografaria del credito del lavoratore ed il regime degli interessi e della rivalutazione).
- Questa Sezione, nelle ordinanze n. 32716/2019 e n. 986/2020, ha poi qualificato come trattamento previdenziale la polizza costituita dall’Istituto presso l’INA sull’evidente presupposto che l’unica differenza sostanziale – rappresentata dal fatto che esso viene attuato con polizze emesse da un istituto assicuratore che funge da soggetto terzo invece che a mezzo di un fondo gestito dallo stesso datore di lavoro – resta indifferente ai fini della disciplina giuridica.
- A tale principio, che si condivide, deve in questa sede essere data continuità.
- Del resto, soltanto in epoca successiva all’entrata in vigore della l. 8 agosto 1995 n. 335, articolo 15, comma 5 (che ha introdotto il comma 8-quinquies dell’articolo 18 d.lgs. n. 124/1993), l’accesso alle prestazioni integrative del trattamento pensionistico è stato subordinato alla liquidazione della pensione mentre in epoca precedente era possibile ottenere prestazioni assicurative a prescindere dalla maturazione del diritto a pensione.
- Dall’affermata natura previdenziale della polizza INA discende che la sua attribuzione non si giustifica in epoca successiva all’1ottobre 1999, data a partire dalla quale il c. 2 dell’art. 64 I. n. 144/1999 ha disposto la soppressione dei fondi di previdenza integrativa preesistenti.
- In ogni caso, la stipula della polizza INA in oggetto, ove pure si volesse ipotizzarne la natura retributiva, sarebbe rimasta ingiustificata già a seguito dell’entrata in vigore della I. n. 70/1975, il cui art. 26, c. 3, precludeva il riconoscimento di trattamenti economici accessori e di trattamenti integrativi relativi (non alla generalità dei dipendenti degli enti del parastato, come previsto dal precedente c. 1, ma) a singoli enti o categorie di enti (con la limitata eccezione delle quote di aggiunta di famiglia e della indennità integrativa speciale).
- In seguito, nel regime del pubblico impiego privatizzato, l’art. 45 d.lgs. n. 165/2001 ha riservato alla contrattazione collettiva l’attribuzione dei trattamenti economici.
- I contratti della prima tornata del comparto degli enti di ricerca e della relativa area dirigenziale (rispettivamente con gli artt. 38 per il personale non dirigente, 23 e 54 per i dirigenti) hanno determinato la struttura della retribuzione senza includervi il trattamento assicurativo in questione.
- In conclusione, accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, l’impugnata sentenza n. 968/2015 della Corte di appello di Bari deve essere cassata.
- La causa può, tuttavia, essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (art. 384 cod. proc. civ.).
- Quanto alle spese, se ne deve disporre l’integrale compensazione per entrambi i gradi di merito, stante l’esistenza di un orientamento all’epoca favorevole alla tesi proposta dal lavoratore; sono invece a carico del medesimo le spese del presente grado di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
-accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, respinge la domanda;
-compensa per intero le spese di entrambi i giudizi di merito; condanna il controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito […]”.
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