Coltiva marijuana sul balcone: nessun reato
Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 20 gennaio 2022, n. 2388Non è reato coltivare due piantine di cannabis a scopo terapeutico.
Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 20 gennaio 2022, n. 2388.
Nota di Giovanni Patrizi
1. In tema di reati riguardanti gli stupefacenti, non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 20 gennaio 2022, n. 2388).
Non è reato coltivare due piantine di cannabis a scopo terapeutico in quanto trattasi di una mera attività domestica che porta ad ottenere un modesto quantitativo di sostanza. È quanto si legge nella sentenza 20 gennaio 2022, n. 2388 della Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione (testo della sentenza in calce)
Un uomo veniva assolto dal reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente di tipo marijuana, di cui all’art. 73, co. 5, Dpr n. 309/1990, nonché dal reato di coltivazione, perché il fatto non è punibile per particolare tenuità ex art. 131-bis, c.p.
L’uomo ricorreva in cassazione deducendo violazione di legge e vizi della motivazione in ordine alla configurabilità del reato di coltivazione, che la sentenza impugnata riteneva integrato, sia pure nella forma attenuata di cui all’art. 73, co. 5, senza tenere conto dei principi già stabiliti dalla Corte di Cassazione, trattandosi non già di una coltivazione tecnico-agraria ma domestica, rivolta ad un uso personale e quindi priva del requisito della tipicità. L’uomo censurava anche l’erronea esclusione della scriminante dello stato di necessità che avrebbe dovuto essere riconosciuta per l’uso terapeutico che l’imputato faceva della cannabis, ovvero per curare una patologia agli occhi.
3.Ha pesato la consulenza tecnica di parte: la marijuana fa bene contro l’uveite cronica, l’infiammazione alla retina, di cui soffre l’ex imputato. È quindi annullata senza rinvio la pronuncia del Giudice dell’udienza preliminare che dichiarava l’imputato non punibile per particolare tenuità del fatto, mentre il sostituto procuratore generale concludeva per il rigetto. L’uomo ben poteva impugnare la pronuncia con la quale i giudici del merito avevano ritenuto sussistere la particolare tenuità, anche se dal provvedimento non derivava alcun danno sul piano civile o amministrativo, ma al solo scopo di ottenere la cancellazione dell’iscrizione nel casellario giudiziale.
Le due piante incriminate sono alte 170 e 130 centimetri con un diametro, rispettivamente, di 85 e 66. La coltivazione è realizzata con tecniche rudimentali e produce un modesto quantitativo di principio attivo. I due vasi, peraltro, sono collocati sul balcone dell’appartamento, che sta di fronte alla stazione dei carabinieri del paese siciliano, e risultano ben visibili dai militari. Non c’è dunque una serra illuminata o qualche altro accorgimento per incrementare la resa. Insomma: l’imputato non risulta legato alla criminalità. E il consulente tecnico di parte conferma che la cannabis ha positivi effetti neuroprotettivi e antinfiammatori sulla retina: un buon rimedio contro l’uveite cronica che affligge l’uomo.
Secondo i giudici della Suprema Corte sbaglia dunque il Giudice dell’udienza preliminare a ritenere integrato il reato, pur dichiarandolo non punibile per la particolare tenuità ex articolo 131 bis C.p.. E ciò perché dà troppa importanza al peso, nel senso del dato ponderale della sostanza, perché dalle piante si possono ricavare duecentoventi dosi medie singole: non sussiste infatti alcun elemento in grado di collegare l’imputato al mercato illegale.
4.Secondo la giurisprudenza di legittimità, non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Cass. pen, SS.UU. n. 12348/2019; Cass. pen., Sez. VI, n. 6599/2020).
Nella fattispecie, trattandosi di attività non abituale di coltivazione, intrapresa dall’imputato in forme del tutto rudimentali e per fini personali su due vasi collocati in un balcone della propria abitazione, con un numero davvero esiguo di piante ed un modesto quantitativo di principio attivo da esse complessivamente ricavabile, si ritiene che il caso in esame, anche in ragione della ragionevole destinazione del raccolto ad un uso personale terapeutico e della totale assenza di elementi sintomatici sia dell’inserimento dell’imputato in un mercato illegale, che della predisposizione di particolari cautele per aumentarne la produzione, la condotta deve essere correttamente inquadrata nell’ambito di una attività svolta in forma meramente domestica e, come tale, penalmente irrilevante. Le due piantine sul balcone costituiscono invero una mera attività domestica, fruttano un modesto quantitativo di sostanza e non risulta utilizzato alcun espediente per accrescere il prodotto.
5.Dal testo della sentenza
“[…] CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Sentenza 20 gennaio 2022, n. 2388 […]
SENTENZA
sul ricorso proposto da: M.L. (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/04/2021 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo;
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
[…]
Svolgimento del processo
1.Con sentenza del 20 aprile 2021, emessa all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo ha assolto M.L. dal reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo marijuana perché il fatto non sussiste ed ha riqualificato nell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il reato di coltivazione della medesima sostanza – parimenti ascrittogli all’interno di un unico capo d’imputazione – assolvendo il predetto imputato dal reato di coltivazione perché il fatto non è punibile per particolare tenuità ex art. 131-bis c.p.,
con la conseguente trasmissione degli atti all’Autorità amministrativa per le determinazioni di competenza ai sensi dell’art. 75 D.P.R. cit..
2.Nell’interesse del predetto imputato ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo con il primo motivo violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine alla configurabilità del reato di coltivazione, che la sentenza impugnata ha ritenuto integrato – sia pure nella forma attenuata di cui all’art. 73, comma 5, cit. – sulla mera base dell’elevato valore ponderale dello stupefacente, senza tenere conto dei principi al riguardo stabiliti dalla Suprema Corte (con la sentenza delle Sezioni Unite n 12348 del 2020) e del fatto che, nel caso in esame, si trattava non di una coltivazione tecnico-agraria, ma domestica, rivolta come tale esclusivamente ad un uso personale e del tutto priva, dunque, del requisito della tipicità.
Si prospettano, inoltre, una serie di censure inerenti alla mancanza di motivazione sulle contrarie deduzioni dalla difesa svolte in sede di gravame, e in particolare sulle risultanze offerte dalla consulenza tecnica di parte riguardo al carattere asseritamente elevato del quantitativo di principio attivo ricavabile dalle due piante in sequestro, sui tempi dell’intervento effettuato dai militari operanti (in quanto avvenuto nel luglio del 2020, a distanza di più di un mese dal primo avvisamento delle piante) e sul luogo ove queste ultime erano state tenute prima dello sfrondamento.
2.1. Con un secondo motivo si censurano vizi di inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine alla erronea esclusione della scriminante dello stato di necessità, che avrebbe dovuto essere riconosciuta per l’uso anche terapeutico che l’imputato faceva della cannabis, come poteva desumersi dalle risultanze della documentazione prodotta e della consulenza tecnica di parte.
2.2. Con un terzo motivo, infine, si deducono analoghi vizi in relazione all’erronea esclusione della sussistenza dell’errore di fatto ai sensi dell’art. 47 c.p., comma 1, avendo l’imputato deciso di coltivare due piantine nel balcone di casa nella piena convinzione della liceità della propria condotta, in quanto destinata esclusivamente al soddisfacimento di un uso personale, anche di tipo terapeutico. 3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 17 novembre 2021 il Procuratore generale ha illustrato le sue conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1.Il primo motivo di ricorso è fondato e ne determina l’accoglimento, logicamente assorbiti dovendosi ritenere gli ulteriori profili di doglianza ivi prospettati.
2.Deve preliminarmente rilevarsi l’ammissibilità dell’impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, anche laddove non siano dedotti possibili profili di efficacia della pronuncia nel giudizio civile o amministrativo di danno, sussistendo l’interesse dell’imputato a rimuovere il pregiudizio derivante dall’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale (Sez. 3 n. 36687 del 29/05/2019).
3.Pacifica deve ritenersi la ricostruzione della vicenda storico-fattuale oggetto del tema d’accusa secondo quanto accertato dai Giudici di merito, che hanno ritenuto integrata, ma non punibile per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., la contestata condotta di coltivazione di due piante di canapa indiana (alte 170 e 130 cm., con un diametro, rispettivamente, di 85 e 66 cm.) rinvenute nel balcone dell’abitazione dell’imputato, dalle quali era possibile ricavare un numero complessivo di circa duecentoventi dosi medie singole, escludendo al contempo qualsivoglia finalità di utilizzo non personale della relativa sostanza. Emerge altresì dalla motivazione della decisione impugnata che l’uso terapeutico di tale sostanza stupefacente, cui l’imputato aveva fatto riferimento nelle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio, era avallato dalla relazione di un consulente tecnico di parte, che dava atto dei positivi effetti neuroprotettivi ed antiinfiammatori dei cannabinoidi sulla retina, in ragione dell’uveite cronica da cui il M. era affetto.
4.Ciò posto, deve rilevarsi come questa Suprema Corte abbia affermato il principio secondo cui non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020 […]; Sez. 6, n. 6599 del 05/11/2020, dep. 2021 […]). Nel caso in esame, tenendo ferme tali coordinate ermeneutiche e avuto riguardo alla descrizione delle note modali del fatto sì come emergente dalla stessa motivazione della decisione impugnata (che ha fatto riferimento ad un’attività non abituale di coltivazione, intrapresa dall’imputato in forme del tutto rudimentali e per fini personali su due vasi collocati in un balcone della propria abitazione peraltro ben visibile dalla locale Stazione dei Carabinieri -, con un numero davvero esiguo di piante ed un modesto quantitativo di principio attivo da esse complessivamente ricavabile), deve ritenersi che la fattispecie in esame, anche in considerazione della ragionevole destinazione del raccolto ad un uso personale terapeutico e della totale assenza di elementi sintomatici sia dell’inserimento dell’imputato in un mercato illegale, che della predisposizione di particolari cautele per aumentare la produzione, debba correttamente inquadrarsi nell’ambito di un’attività svolta in forma meramente domestica e, come tale, penalmente irrilevante.
5.Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, conclusivamente, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata secondo la formula in dispositivo indicata, non utilmente integrabili dovendosi ritenere i rilevati ed insuperabili limiti strutturali dell’erronea affermazione di penale responsabilità.
P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non sussiste. Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022 […]”
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