Non è reato non comunicare all'INPS la morte di un congiunto.
Cassazione penale, sez. VI, n. 31210/2021.Non è reato non comunicare all’INPS la morte di un congiunto. Corte di Cassazione penale, sez. VI, 9 agosto 2021, n. 31210.
Nota di Giovanni Patrizi
Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Pensionato. Decesso. Omessa comunicazione all’I.N.P.S. Non sussiste. Percezione di taluni ratei pensionistici. Irrilevanza. Fattispecie
1.L’omessa comunicazione all’I.N.P.S. da parte dei familiari del pensionato deceduto non si configura come reato ex art. 316-ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) in quanto l’unico obbligo a loro carico è quello di effettuare la comunicazione dell’avvenuto decesso all’amministrazione comunale competente a nulla rilevando la percezione di taluni ratei pensionistici. Infatti, il d. p. r. 3 novembre 2000, n. 396, all’art. 72, prevede l’obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto, a carico dei “congiunti” o della “persona convivente con il defunto” (o di un loro delegato) o, in mancanza della persona “informata” del decesso ovvero, in caso di morte in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato. Nella fattispecie, le figlie del pensionato deceduto omettevano di comunicare l’avvento decesso all’I.N.P.S. percependo alcuni ratei di pensione accreditati su un conto corrente cointestato.
2.Per la Cassazione non è reato non comunicare i dati della congiunta defunta all’INPS perché la legge non prevede questo obbligo. I famigliari che perdono un congiunto non sono obbligati a comunicarne il decesso all’INPS, bensì, unicamente, al suo Comune di appartenenza. L’omessa comunicazione della morte della congiunta all’INPS e il contestato utilizzo delle somme presenti sul conto corrente della defunta a titolo di pensione, non realizzano il reato di cui all’art. 316 ter c.p, non solo perché le stesse non sono obbligate per legge a effettuare questa comunicazione, ma anche perché il conto era cointestato a una delle due imputate e sullo stesso confluivano anche le entrate della sua azienda agricola. La sentenza della Corte di Appello quindi va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Questa la decisione della Cassazione contenuta nella sentenza n. 31210/2021 (che riportiamo incalce alla presente nota).
3.Due donne vengono ritenute responsabili, anche in sede di appello, della commissione del reato di cui all’art. 316 ter c.p. per aver omesso di comunicare il decesso di una loro congiunta ed aver continuato a percepirne la pensione accreditata mensilmente sul conto intestato a una delle due imputate e alla defunta sul quale anche l’altra imputata poteva operare. Condizione che ha permesso alle due donne di utilizzare, tramite carta di credito, l’importo di 18.000 euro presenti sul conto.
Nel ricorso in Cassazione vengono sollevate le seguenti doglianze: a) nel caso di specie c’è stata un’errata applicazione della legge penale e vizio di motivazione sulla responsabilità per quanto riguarda l’utilizzo delle somme anche perché la carta di credito era smagnetizzata e non funzionante e comunque la stessa è stata rivenuta nella disponibilità di una sola delle due donne; b) si lamenta violazione di legge per il mancato proscioglimento dal reato stante l’intervenuta prescrizione, alla luce della errata e contraddittoria motivazione della Corte di Appello che ha qualificato il reato commesso come a “consumazione prolungata.”
La Corte di Cassazione adita dichiara l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Secondo la S.C., la formulazione dell’art. 316 ter c.p fa intendere che il suddetto reato per essere integrato richiede certe modalità di azione finalizzate al conseguimento indebito di erogazioni pubbliche. In particolare “le informazioni, la cui omissione può integrare la fattispecie di cui all’art. 316-ter c.p. devono essere “dovute”, devono, cioè, trovare fondamento in una richiesta espressa dell’ente erogatore o, comunque, risultare imposte dal principio di buona fede precontrattuale ex art. 1337 c.c., ipotesi, quest’ultima, concretamente invocabile in relazione ad una istruttoria finalizzata alla concessione di erogazioni pubbliche.”.
Nel caso di specie la violazione dell’omessa comunicazione all’ente che eroga la pensione viene fatta risalire a quanto disposto dall’art. 72 del DPR n. 396/2000, che sancisce l’obbligo da parte dei congiunti o di persona convivente o informata di comunicare la morte di un soggetto entro le 24 ore dal decesso all’ufficiale dello stato civile del luogo dell’evento o del luogo in cui il cadavere è stato deposto. Obbligo che, se la morte avviene in ospedale, in una casa di cura o luoghi similari grava sul direttore o un suo delegato.
Altre due disposizioni di legge poi pongono a carico dell’ufficio Anagrafe del Comune di comunicare all’ente di previdenza la morte del soggetto assicurato. Obbligo che, se non adempiuto, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria. Obbligo di comunicazione che la legge pone infine a carico dei medici necroscopi tramite l’invio di un certificato online.
Dal descritto quadro normativo la Cassazione rileva che in realtà nessun obbligo di comunicazione del decesso all’INPS è posto a carico delle due imputate, congiunte della defunta. Precisa la Corte che “siffatto obbligo non è imposto ai congiunti in relazione al trattamento pensionistico erogato, spettando ad essi unicamente la comunicazione del decesso della (….) al Comune di appartenenza, debitamente assolta e in forza della quale si sono attivate le indagini della Guardia di Finanza che hanno comparato le certificazioni di decesso alle risultanze della banca dati dell’istituto erogatore constatando che il pagamento della pensione era ancora in corso.”
Alle due imputate quindi non poteva chiedersi di provvedere alla comunicazione del decesso della congiunta all’INPS, perché sulle stesse non grava tale obbligo per legge, ma solo quello, debitamente assolto, di comunicare il decesso entro ventiquattro ore all’Ufficio Anagrafe del Comune.
Il reato contestato alle imputate non è pertanto configurabile perché manca l’omissione di informazioni dovute, così come l’appropriazione della pensione su un conto di cui una delle coimputate era cointestataria e sul quale confluivano anche le entrate della sua impresa agricola. Punto sul quale la Corte di Appello si è espressa in modo molto confuso
Dal testo della sentenza.
“[…]. Cass. pen., sez. VI, ud. 12 maggio 2021 (dep. 9 agosto 2021), n. 31210. Presidente Costanzo. Relatore Giordano.
Ritenuto in fatto.
1.La Corte di appello di Catania, con sentenza del 13 febbraio 2020, ha confermato la condanna di M.G. e C.R. alla pena di un anno di reclusione ciascuna. Le imputate sono state ritenute responsabili del reato di cui all’art. 316 ter c.p., perché omettevano di comunicare all’istituto di previdenza il decesso di S.T. , avvenuto il 13 dicembre 2009, e indebitamente percepivano i ratei di pensione accreditati sul conto corrente, cointestato tra la S. e la C. e sul quale la M. era delegata ad operare, così utilizzando, attraverso una carta di credito, la somma di Euro diciottomila fino al 14 febbraio 2012.
2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., il difensore delle imputate denuncia:
2.1. erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in punto di responsabilità fatta discendere dalla mera utilizzazione, peraltro supposta, delle somme pervenute sul conto corrente trascurando che la carta di credito impiegata era smagnetizzata e non funzionante e, quanto alla M. , che, in realtà la carta era stata rinvenuta nella disponibilità della madre, C.R. ;
2.2. violazione di legge per mancata pronuncia di sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato. È palesemente contraddittoria, anche tenuto conto della data di consumazione del reato indicata al 14 febbraio 2012, la motivazione della Corte che richiama, senza trarne le debite conseguenze, la nozione di reato a consumazione prolungata.
Considerato in diritto.
1.La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Il reato di cui all’art. 316 ter c.p., posto a tutela degli interessi finanziari della pubblica amministrazione e, dunque, della corretta allocazione delle risorse pubbliche, si realizza con il conseguimento indebito di erogazioni pubbliche ottenute con particolari modalità dell’azione, indicata dalla norma come “utilizzo o presentazione ch dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere” o “omissioni di informazioni dovute”. Le informazioni, la cui omissione può integrare la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., devono essere “dovute”, devono, cioè, trovare fondamento in una richiesta espressa dell’ente erogatore o, comunque, risultare imposte dal principio di buona fede precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c., ipotesi, quest’ultima, concretamente invocabile in relazione ad una istruttoria finalizzata alla concessione di erogazioni pubbliche.
2.Affatto peculiare la situazione che si verifica in relazione alla erogazione di trattamenti pensionistici, come nell’attuale fattispecie in cui la violazione della comunicazione del decesso del beneficiario del trattamento viene fatta discendere dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 72, che prevede l’obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto, a carico dei “congiunti” o della “persona convivente con il defunto” (o di un loro delegato) o – in mancanza della persona “informata” del decesso ovvero, in caso di morte in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato.
La L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 34, e la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 31, comma 19, fanno obbligo, poi, al responsabile dell’Ufficio Anagrafe del Comune di comunicare all’ente di previdenza la morte dell’assicurato, obbligo punito con una sanzione amministrativa pecuniaria dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 46, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326. La stessa L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 31, comma 19, stabilisce altresì che a seguito delle comunicazioni dei Comuni relative ai decessi di cui alla L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 34, l’INPS, sulla scorta dei dati del Casellario delle pensioni, comunica le informazioni ricevute dai Comuni agli enti erogatori di trattamenti pensionistici per gli adempimenti di competenza. Il Casellario delle pensioni mette a disposizione dei Comuni le proprie banche dati”. Infine, l’art. 1 della L. 23 dicembre 2014, n. 190 (si tratta della legge di Stabilità per il 2015), ha sancito l’obbligo per i medici necroscopi di invio on line del certificato di accertamento del decesso entro 48 ore dall’evento, utilizzando le stesse modalità già in uso per la trasmissione delle certificazioni di malattia. In presenza di siffatto quadro normativo sugli obblighi di comunicazione in caso di decesso non può ritenersi incombente sui congiunti della S. un obbligo di comunicazione di decesso all’INPS, tenuto conto che siffatto obbligo non è imposto ai congiunti in relazione al trattamento pensionistico erogato e spettando ad essi unicamente la comunicazione del decesso della S. al Comune di appartenenza, debitamente assolta (cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado) e in forza della quale si sono attivate le indagini della Guardia di Finanza che hanno comparato le certificazioni di decesso alle risultanze della banca dati dell’istituto erogatore constatando che il pagamento della pensione era ancora in corso. È di chiara evidenza che, in tal caso, l’omissione della comunicazione all’istituto erogatore non è imputabile alle odierne imputate ed incombeva all’Ufficiale di Stato civile che aveva redatto la scheda di morte la relativa comunicazione.
La sentenza impugnata erra dunque nel ritenere sussistente in capo alla C. un obbligo ulteriore di comunicazione del decesso della madre all’INPS, ente erogatore dei ratei di pensione oggetto di imputazione, poiché l’unico incombente informativo posto a carico dei congiunti (o della persona convivente) del defunto consiste nella comunicazione dell’evento, entro ventiquattro ore, all’Ufficio Anagrafe del Comune, come previsto dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 72, dovendo a ciò conseguire da parte degli enti a ciò preposti (Comune e, sulla base del Casellario delle pensioni, INPS) l’eventuale ulteriore comunicazione agli altri enti che risultassero erogatori di trattamenti pensionistici in favore del defunto.
Nel caso in esame manca, dunque, uno degli elementi costitutivi della fattispecie astratta contestata, rappresentato dall’omissione di informazioni dovute che non sono neppure in astratto configurabili nel rapporto tra l’Istituto ed i congiunti della persona che usufruisce del trattamento pensionistico a questo estranei. Si tratta, come anticipato, di oneri informativi che gravavano sul Comune di residenza oltre che sugli istituti di credito contro i quali l’INPS stesso può rivalersi in caso di mancata comunicazione di vicende relative alla titolarità ed utilizzo del conto corrente.
Sono, infine, del tutto estranei alla fattispecie incriminatrice in esame eventuali condotte appropriative da parte delle ricorrenti dei ratei della pensione erogata dall’INPS in favore della madre (e nonna) defunta mediante versamento nel conto corrente bancario di cui la C. era cointestataria, appropriazioni che la sentenza impugnata ricostruisce in termini confusi, anche nella ricostruzione in fatto, dal momento che inferisce la responsabilità dai “prelievi” effettuati, in particolare con la carta bancomat in uso alla M. , ma senza esaminare in alcun modo i flussi di alimentazione del conto corrente che era intestato ed utilizzato anche dall’azienda agricola della C. : da qui la impossibilità di verificare se vi sia stata una condotta di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) in astratto ravvisabile in capo a chi “sine titulo”, si appropri di somme non dovute.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.[…]”
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