(Strudio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 2803 depositata il 30 gennaio 2024.
1.“La notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario da parte dell’agente postale e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 cod. proc. civ. è il solo documento idoneo a provare sia l’intervenuta consegna, sia la data di essa, sia l’identità della persona a mani della quale è stata eseguita; ne consegue che, ove tale mezzo sia stato adottato per la notifica del controricorso e del ricorso incidentale in esso contenuto, la mancata produzione dell’avviso di ricevimento comporta non la mera nullità, bensì l’inesistenza della notificazione (della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.) e l’inammissibilità del controricorso e del ricorso incidentale” (in termini: Cass. n. 4559 del 2001; cfr., anche, Cass. n. 70 del 2002; Cass. n. 13639 del 2010; Cass. n. 25552 del 2017)”.
Illegittimità licenziamento per giustificato motivo oggettivo-Pagamento indennità risarcitoria-Avvisi di ricevimento- Frazionamento di un’unica attività.
2. Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 2803/2024.
” […]
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza impugnata, ha confermato la decisione di primo grado che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato il 17 marzo 2014 a G.D. e condannato la S. Spa, unitamente alla M. srl, previa risoluzione del rapporto di lavoro formalmente instaurato solo con la prima società, al pagamento di una indennità risarcitoria pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e spese;
2. preliminarmente la Corte territoriale ha rilevato che “non vi è più questione tra le parti in ordine alle eccezioni, sollevate dalle società appellanti, di improcedibilità del ricorso di I grado per intervenuta transazione, posto che le stese sono state respinte dal giudice di primo grado con la sentenza parziale n. 61/2016, che nessuna delle parti ha impugnato e che perciò è ormai in giudicato”;
avuto riguardo all’accordo transattivo del 14 gennaio 2013, intervenuto tra le società e il lavoratore, i giudici d’appello hanno ritenuto che lo stesso aveva avuto ad oggetto “questioni relative ai pregressi rapporti di lavoro ormai cessati […] e non invece all’ultimo rapporto di lavoro che il G. ha instaurato con la M. (proprio in virtù dello stesso accordo transattivo) e che si è concluso con il licenziamento qui impugnato”, con la conseguenza che “detta transazione non spiega alcun effetto preclusivo, avendo regolato una res litigiosa che era insorta nell’ambito di un rapporto precedente”;
3. la Corte, poi, condividendo l’assunto del primo giudice, ha ritenuto, “sulla scorta delle chiare e univoche risultanze di causa, che nella specie, e in concreto, sia stata realizzata una artificiosa frammentazione dell’unica attività svolta da S. e che proprio in coincidenza con questa frammentazione il ricorrente, in forza alla S. già da qualche anno, sia passato da quest’ultima società alla M. (mantenendo le stesse mansioni di magazziniere), per poi essere licenziato da quest’ultima per cessazione dell’attività aziendale”, con la conseguenza che “la distinzione tra i due formali datori di lavoro, lungi dall’essere questi ultimi soggetti autonomi e distinti, è stata soltanto nominale, perché di fatto il datore di lavoro è stato unico”; da tale accertamento è derivata l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto alla base del licenziamento (cessazione dell’attività aziendale della M. srl srl a fronte della prosecuzione dell’attività complessiva della S. spa) e l’applicazione della tutela di cui all’art. 18, commi 5 e 7, St. lav., con la conferma di una indennità risarcitoria pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto in considerazione non solo dell’anzianità di servizio del dipendente licenziato, ma anche delle dimensioni dell’azienda e del tempo trascorso tra recesso e sentenza;
4. avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la S. spa, affidato a quattro motivi; la M. srl ha resistito con controricorso, formulando altresì ricorso incidentale con cinque motivi, in larga parte coincidenti con quelli del ricorso dell’altra società; l’intimato ha resistito con controricorso al solo ricorso principale;
tutte le parti hanno comunicato memorie;
in particolare, la difesa del G. ha eccepito l’inammissibilità del controricorso, contenente impugnazione incidentale, della M. Srl, per omessa notificazione del medesimo;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Considerato che
1. in via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità del controricorso incidentale di M. Srl in liquidazione, atteso che non risulta il deposito dei prescritti avvisi di ricevimento, in relazione alle notifiche effettuate il 25 marzo 2020 dal difensore di detta società alle controparti mediante piego raccomandato;
secondo questa Corte: “La notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario da parte dell’agente postale e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 cod. proc. civ. è il solo documento idoneo a provare sia l’intervenuta consegna, sia la data di essa, sia l’identità della persona a mani della quale è stata eseguita; ne consegue che, ove tale mezzo sia stato adottato per la notifica del controricorso e del ricorso incidentale in esso contenuto, la mancata produzione dell’avviso di ricevimento comporta non la mera nullità, bensì l’inesistenza della notificazione (della quale, pertanto, non può essere disposta la rinnovazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.) e l’inammissibilità del controricorso e del ricorso incidentale” (in termini: Cass. n. 4559 del 2001; cfr., anche, Cass. n. 70 del 2002; Cass. n. 13639 del 2010; Cass. n. 25552 del 2017);
2. ciò posto i motivi del ricorso principale della S. Spa possono essere come di seguito sintetizzati;
2.1. con il primo si denuncia: “Error in procedendo – art. 360 n. 4 c.p.c. Per non avere la Corte di Appello riconosciuto il giudicato della sentenza n. 61/2016 di primo grado laddove riconosceva effetti preclusivi al verbale di conciliazione stragiudiziale del 14 gennaio 2013”; si sostiene che la questione della improcedibilità sollevata dalle società “non era stata rigettata, bensì parzialmente accolta per quanto attiene la necessità di limitare la domanda al solo nuovo rapporto lavorativo intercorso a partire dal 2013”;
2.2. il secondo mezzo denuncia la “violazione e falsa applicazione delle norme di legge in relazione all’interpretazione dei contratti ex artt. 1362 e ss. c.c. (relativamente all’accordo del 14 gennaio 2013)”, sostenendo che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello, “l’intenzione delle parti fosse quella di precludere qualsivoglia nuova questione attinente al rapporto di lavoro con M., nonché i pregressi rapporti con S. Spa e M. Srl”;
2.3. con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 2359, 2497 e 2094 c.c., con riferimento alla figura alla nozione di un “unico centro di imputazione”, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere escluso la Corte di Appello l’autonomia tra le due società, senza in alcun modo giustificare “la successione frode-preordinazione-dolo” in danno del lavoratore;
2.4. con il quarto motivo, in via subordinata, si deduce la violazione dell’art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970, con riferimento ai criteri di valutazione dell’indennità risarcitoria, determinata, secondo la ricorrente, avuto riguardo anche ad una anzianità di servizio per un rapporto di lavoro anteriore, risolto con dimissioni volontarie mai impugnate;
3. i motivi non possono trovare accoglimento per le ragioni già espresse da questa Corte in precedente reso su vicenda largamente sovrapponibile alla presente e che il Collegio condivide (v. Cass. n. 1507 del 2021, cui si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.);
3.1. il primo motivo formulato dalla S. spa non merita accoglimento;
la Corte territoriale, in via preliminare, ha esaminato la questione della improcedibilità del ricorso di primo grado, sottolineando che la statuizione del primo giudice, che aveva respinto le eccezioni sollevate dalla società era ormai passata in giudicato atteso che nessuna delle parti ne aveva fatto oggetto di impugnazione; qualora vi fosse stata una diversa posizione del Tribunale, nella motivazione della sentenza, rispetto al dispositivo (che nel rito del lavoro prevale – cfr. Cass. n. 8894 del 2010) la problematica avrebbe dovuto essere sottoposta quale motivo di gravame;
3.2. il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile in quanto volto a proporre una diversa interpretazione dell’accordo transattivo del 14 gennaio 2013 che, evocando un diverso accertamento della volontà negoziale, sollecita un sindacato estraneo al giudizio di legittimità;
infatti, anche l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006); tali valutazioni del giudice di merito in proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003), ovvero, nel vigore del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., al controllo di una motivazione che superi la soglia del cd. minimum costituzionale;
3.3. il terzo motivo proposto dalla S. Spa è infondato;
la sentenza impugnata, in ordine alla individuazione degli elementi per ravvisare, tra due soggetti, un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. n. 19023 del 2017; Cass. n. 26346 del 2016), secondo cui tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti requisiti: a) univocità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle single imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori;
i giudici del doppio grado di giudizio, con una valutazione di merito loro riservata ed insindacabile in questa sede, attraverso un esame del materiale probatorio, hanno constatato che la distinzione tra i due formali datori di lavoro, lungi dall’essere questi soggetti autonomi e distinti, era soltanto nominale, perché di fatto il datore di lavoro era stato unico;
3.4. parimenti infondato è il quarto motivo del ricorso principale;
in punto di diritto, va evidenziato che la indennità risarcitoria in contestazione è, in relazione alla sua funzione di riparazione per equivalente, onnicomprensiva, nel senso che assorbe qualunque voce di danno, patrimoniale e non patrimoniale, nonché quello previdenziale, salvo quello derivante dal licenziamento ingiurioso o dal fatto costituente reato; la sua determinazione è improntata ad una valutazione equitativa, sia pure parametrata ai criteri di cui all’art. 18 co. 5 legge n. 300 del 1970 in cui, quello della anzianità del lavoratore, in ipotesi di ravvisata unicità del centro di imputazione del rapporto, non può non tenere conto di tutto il contesto lavorativo del dipendente svolto presso le società coinvolte e non fermarsi ad un approccio atomistico, senza che possa valere al riguardo la eventuale delimitazione (o fondatezza) delle domande nei confronti di uno soltanto dei titolari formali; in altri termini, si tratta di indici esterni che vanno, incidentalmente, valutati in sé e non messi in relazione alla loro singola potenziale idoneità a fondare una valutazione positiva in ordine ad un autonomo giudizio che abbia ad oggetto esclusivamente il loro esame; in ogni caso, in alcun modo è ipotizzabile la denunciata violazione dell’art. 18 S.d.L. novellato, atteso che anche per l’indennità risarcitoria stabilita da tale disposizione è stato ribadito il principio già espresso da questa Corte in tema di indennità di cui alla legge n. 604 del 1966, art. 8 ed all’art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010, principio “secondo il quale la determinazione tra il minimo e il massimo previsti spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo nei limiti in cui è consentito il sindacato sulla motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.” (in termini v. Cass. n. 13178 del 2017, in motivazione; conf. Cass. n. 27656 del 2018; Cass. n. 6550 del 2019; Cass. n. 21556 del 2019);
4. conclusivamente, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, deve essere respinto anche il ricorso principale; le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, in favore dell’Avv. L.S. che ha dichiarato di averle anticipate;
non gravano, invece, le spese sulla M. Srl in liquidazione atteso che, rispetto al controricorso incidentale dichiarato inammissibile, le controparti non hanno svolto attività difensiva;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambe le ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale […]”.
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