Parità di genere nel lavoro: le nuove regole.
Legge 5 novembre 2021, n. 162Parità di genere nel lavoro: le nuove regole.
A cura di Eva Zanghì
Entra in vigore il 3 dicembre 2021, la legge 5 novembre 2021 n. 162 , recante “Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo”.
Tra le principali innovazioni introdotte con la legge 5 novembre 2021 n. 162, si segnalano le seguenti: a) dal 1° gennaio 2022 per le aziende viene introdotta una “certificazione della parità di genere” ed uno sgravio contributivo per chi ne è in possesso; b) è previsto anche un punteggio premiale per l’accesso ai fondi europei, nazionali; c) cambia anche la relazione biennale alle Camere sull’applicazione della legge e si interviene sulle nozioni di discriminazione diretta e indiretta; d) viene estesa alle aziende pubbliche e private con più di 51 dipendenti la redazione di un rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile.
Secondo dati recenti, in ambito Ue il “divario retributivo di genere” (gender pay gap, per gli anglo-dipendenti) arriva ad una media del 36,7% mentre in Italia si attesta sul 43%. La Commissione europea sta lavorando ad una proposta di direttiva che, una volta approvata, metterebbe in difficoltà, in quanto più stringente, la legge italiana appena nata. Ai dipendenti, infatti, verrebbe consentito di chiedere informazioni sui livelli salariali medi divisi per genere e le aziende dovrebbero pubblicare tutti i dati sulle retribuzioni, senza poter chiedere quanto guadagnavano i lavoratori da assumere nei precedenti impieghi.
Nel dettaglio, la legge n. 162/2021, all’articolo 1 (“Modifica all’articolo 20 del codice delle pari opportunità”) modifica la disciplina sulla relazione biennale alle Camere sull’applicazione della legge. La nuova legge prevede infatti che la relazione sia presentata dal Consigliere nazionale di parità, anche sulla base del rapporto annuo che il medesimo deve presentare al Ministro del Lavoro e al ministro delegato per le Pari opportunità.
L’articolo 2 (“Modifiche all’articolo 25 del codice delle pari opportunità”) modifica le nozioni di discriminazione diretta e indiretta sempre in ambito lavorativo, inserendo l’ipotesi che riguardi le candidate e i candidati in fase di selezione del personale. Si specifica che la discriminazione indiretta può riguardare anche un aspetto di natura organizzativa o incidente sull’orario di lavoro. Con una revisione della norma di chiusura ora diventa discriminante ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ponga il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.
L’articolo 3 (“Modifiche all’articolo 46 del codice delle pari opportunità”) opera una revisione della disciplina che richiede, per le aziende pubbliche e private che superino un determinato numero di dipendenti, la redazione di un rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile. L’obbligo viene esteso alle aziende sia pubbliche che private che abbiano tra 51 e 100 dipendenti con una cadenza fissa biennale (viene così ampliato l’ambito di applicazione, passando da un bacino di circa 13 mila ad uno di 31 mila imprese). Sarà un decreto del Ministro del lavoro, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, a indicare i dati e le informazioni che necessariamente devono essere inseriti nel rapporto e le relative modalità di indicazione. L’Ispettorato nazionale del lavoro verificherà la veridicità dei rapporti aziendali, sono previste sanzioni da 1.000 e a 5.000 euro.
Articolo 4 (“Certificazione della parità’ di genere”). Con decorrenza 1° gennaio 2022, per le aziende pubbliche e private è previsto l’istituto della certificazione della parità di genere. Un Dpcm definirà criteri e modalità attuative. Più in particolare, la certificazione – “che è intesa a ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità” – è riservata alle aziende, pubbliche e private, che, in via obbligatoria o su base volontaria, adottino i rapporti biennali. Con decreto verranno stabiliti i parametri minimi per la certificazione, con riferimento alla retribuzione, alle opportunità di carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (tenuto anche conto della gravidanza).
L’articolo 5 (“Premialità di parità”) prevede, per il 2022, uno sgravio contributivo in favore delle aziende private in possesso della suddetta certificazione; l’esonero è concesso nel limite complessivo di 50 milioni di euro, nonché nel limite, per ogni azienda, di 50.000 euro annui e di un punto percentuale, con riferimento al complesso dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. In favore delle aziende private che, nell’anno precedente a quello di riferimento, siano in possesso della certificazione su menzionata, è inoltre previsto un punteggio premiale, nell’ambito della valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei, nazionali e regionali, di proposte progettuali, ai fini della concessione di aiuti di Stato.
Infine, l’articolo 6 (“Equilibrio di genere negli organi delle società pubbliche”) estende alle società (costituite in Italia) controllate da pubbliche amministrazioni e non quotate in mercati regolamentati, le norme in materia di parità di genere previste per la composizione degli organi collegiali di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati. In base a tali disposizioni lo statuto societario deve prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi e che, per i primi sei mandati successivi all’applicazione della norma, ogni genere sia rappresentato nella misura di almeno due quinti degli amministratori eletti.
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