(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di cassazione. Ordinanza 22 agosto 2024, n. 23035.

Domanda riconoscimento pensione di anzianità. Richiesta retrodatazione. Rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto. Rigetto

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Fatti di causa

1.– Il signor B.C. propone ricorso per cassazione, notificato il 26 novembre 2018 e affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, contro la sentenza n. 167 del 2018, pronunciata dalla Corte d’appello di Venezia e depositata il 22 giugno 2018.

La Corte territoriale ha respinto il gravame del signor C. e ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede, che aveva rigettato la domanda dell’appellante, volta a ottenere il riconoscimento della pensione di anzianità a decorrere dall’istanza del novembre 2010.

I giudici del gravame, sulla base dei documenti acquisiti al processo, hanno ritenuto corretta la decorrenza individuata dall’Istituto (primo settembre 2014), argomentando che le evidenze documentali non avvalorano la precedente istanza addotta dall’appellante a supporto della richiesta di retrodatazione.

2.– Resiste l’INPS con controricorso, avviato alla notifica il 3 gennaio 2019.

3.– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, secondo comma, numero 4-quater, e 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ.

4.– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

5– Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi al termine della camera di consiglio (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).

Ragioni della decisione

1.– Con il primo motivo (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e imputa alla Corte di merito di non aver esposto le ragioni di fatto e di diritto in ordine all’insussistenza di autonoma domanda di pensionamento, antecedente al primo agosto 2014.

2.– Con la seconda censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 421 cod. proc. civ. e lamenta che i giudici d’appello non abbiano tratto le necessarie inferenze dalla mancata ottemperanza all’ordine di esibizione della domanda del ricorrente, impartito dal giudice di prime cure a entrambe le parti.

3.– Con la terza critica (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente prospetta la violazione o la falsa applicazione dell’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente negato gli effetti del beneficio della rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto, riconosciuto con sentenza passata in giudicato.

4.– Con il quarto motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente censura, infine, la violazione o la falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., sul presupposto che la Corte d’appello di Venezia abbia fondato il rigetto della domanda sulla base di una pronuncia inconferente dei giudici di legittimità e abbia così violato l’obbligo di esporre le ragioni di fatto e di diritto della decisione assunta.

5.– Hanno priorità logica il primo e il quarto motivo, che adombrano un vizio radicale della sentenza impugnata, sotto il profilo dell’anomalia insanabile della motivazione.

5.1.– Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, in quanto accomunate dalle argomentazioni addotte e dal vizio denunciato, si rivelano infondate.

5.2.– Questa Corte è costante nel circoscrivere al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione. Tale sindacato concerne le sole anomalie che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si atteggia come “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053).

In particolare, la motivazione è apparente allorché, pur esistente dal punto di vista grafico, non renda percepibile il fondamento della decisione e consista in argomentazioni oggettivamente inidonee a dar conto del ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232).

Il codice di rito non annette, dunque, alcun rilievo al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

5.3.– Nel caso di specie non si riscontra alcuna delle anomalie che configurano il vizio oggi denunciabile dinanzi a questa Corte.

I giudici del gravame, dopo aver inquadrato l’oggetto del contendere e dopo avere ripercorso le argomentazioni della sentenza del Tribunale (pagine 3 e 4), hanno esaminato analiticamente le doglianze dell’appellante (pagine 4 e 5).

A tale riguardo, la sentenza impugnata ha passato in rassegna i dati probatori acquisiti e ha delimitato, per escluderne in concreto la rilevanza, la portata e l’àmbito della documentazione invocata dall’appellante allo scopo di conseguire la retrodatazione della decorrenza della pensione (pagine 7 e 8).

La Corte di merito ha esposto in modo puntuale le ragioni che l’hanno indotta a disattendere la prospettazione dell’odierno ricorrente e il percorso argomentativo non s’incardina soltanto, su un piano generale e astratto, sul precedente di legittimità diffusamente riprodotto alle pagine 8, 9 e 10 in tema di rivalutazione contributiva per esposizione all’amianto.

La Corte territoriale ha valorizzato le specifiche risultanze processuali e le ha ponderate alla luce dei motivi di gravame, cui ha offerto adeguata risposta, confermando con autonoma valutazione l’apprezzamento già espresso dal giudice di prime cure.

La motivazione, perspicua e coerente, non presenta i vizi che i motivi di ricorso censurano.

6.– Inammissibile si dimostra il secondo motivo, che s’incentra sul mancato rilievo che la Corte di merito ha conferito a un argomento di prova, desumibile dall’inottemperanza all’ordine di esibizione.

6.1.– Spetta soltanto al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (fra le molte, di recente, Cass., sez. III, 30 aprile 2024, n. 11538, punto 9 delle Ragioni della decisione).

6.2.– Nel caso di specie, la doglianza, dietro la parvenza della violazione dell’art. 421 cod. proc. civ., si appunta sull’apprezzamento delle risultanze istruttorie e tende a contrapporre un diverso, più favorevole, inquadramento alla valutazione che i giudici d’appello hanno espresso, in consonanza con il Tribunale, alla luce della meditata disamina del dibattito processuale e delle prove assunte.

Donde l’inammissibilità del motivo, che si sostanzia nella richiesta di riesame del merito, precluso in questa sede.

7.– Inammissibile si dimostra anche il terzo mezzo.

7.1.– Nell’iter logico della pronuncia impugnata, non viene in rilievo la legge n. 257 del 1992 e non è dall’applicazione delle disposizioni di tale normativa che i giudici d’appello traggono gli argomenti probanti dell’infondatezza delle domande proposte.

Quanto, poi, al giudicato, la Corte di merito ne ha tenuto il debito conto (pagine 6 e 7), per escluderne, con apprezzamento congruamente motivato, che la censura non scalfisce in modo efficace, l’incidenza sulla soluzione della questione controversa. In questa sede si disputa sulla possibilità di ravvisare una domanda utile ai fini della retrodatazione della decorrenza della pensione.

7.2.– La censura, nel delineare la violazione della legge n. 257 del 1992, si rivela, dunque, per un verso generica e, per altro verso, priva della necessaria pertinenza con la ratio decidendi esposta a fondamento della pronuncia impugnata.

Tali carenze determinano l’inammissibilità della critica.

8.– Ne discende che il ricorso dev’essere, nel suo complesso, respinto.

9.– Dev’essere disattesa l’eccezione di tardività della proposizione del controricorso, sollevata dalla parte ricorrente nella memoria illustrativa ai fini della regolamentazione delle spese.

9.1.– Secondo la disciplina applicabile ratione temporis, il termine per la proposizione del controricorso è di venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso (art. 370, primo comma, cod. proc. civ.), a sua volta fissato in «venti giorni dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto» (art. 369, primo comma, cod. proc. civ.) e, in particolare, dal perfezionamento della notificazione per il destinatario (in tal senso, Cass., sez. lav., 10 novembre 2022, n. 33132).

Non si applica al caso di specie l’art. 370 cod. proc. civ., nella formulazione innovata dall’art. 3, comma 27, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, che non prevede più la notifica del controricorso, ma soltanto il suo deposito entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso. Tale disciplina si applica, invero, ai giudizi introdotti successivamente al 1° gennaio 2023 (Cass., S.U., 18 marzo 2024, n. 7170).

9.2.– Dalle carte regolamentari emerge che il ricorso, recante la data del 22 novembre 2018, apposta dal difensore del ricorrente, è stato notificato il 26 novembre 2018, e non già il 26 ottobre 2018, come si adombra nella memoria illustrativa a supporto dell’eccezione di tardività. Tanto si desume dalla stessa data racchiusa nella relata di notifica via PEC, prodotta dal ricorrente unitamente al ricorso.

Assumendo tale data di notifica del ricorso, comprovata dalla documentazione prodotta e compatibile con la data di redazione del ricorso indicata dal difensore (22 novembre 2018), risulta tempestiva la proposizione del controricorso, avviato alla notifica il 3 gennaio 2019 (e poi depositato il 22 gennaio 2019), nel rispetto del complessivo termine di quaranta giorni imposto per la notifica dall’art. 370 cod. proc. civ.

10.– Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano a favore della parte controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

11.– L’integrale rigetto del ricorso, proposto dopo il 30 gennaio 2013, impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.