(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di cassazione. Ordinanza 16 luglio 2024, n. 19561.

Pensione di reversibilità. Requisito reddituale. Indebito previdenziale. Comunicazione dei redditi rilevanti. Dolo. Accertamento. Erogazione del trattamento pensionistico. Rigetto

“[…] La Corte di Cassazione.

(omissis)

Rilevato che

Con sentenza del 28.03.19 n. 212, la Corte d’appello di Torino accoglieva il gravame proposto dall’Inps, avverso la sentenza del tribunale di Vercelli che aveva accolto l’opposizione proposta da G.G., a decreto ingiuntivo emesso su richiesta dell’Inps, per la somma di € 3.442,30, a titolo di indebito sulla pensione di G.M.R. (madre del ricorrente, deceduta nell’ottobre del 2005), per il periodo 1.2.2004-31.12.2004, deducendo la tardività dell’azione di recupero, con riferimento al termine previsto dall’art. 13 comma 2 della legge n. 412/91 e chiedendo di accertare l’insussistenza dell’indebito.

Il tribunale, pur ritenendo che il recupero dell’Istituto previdenziale fosse tempestivo, perché comunicato entro l’anno successivo a quello di riferimento, tuttavia, ad avviso del tribunale, mancava la prova che l’indebita percezione della pensione da parte del sig.ra G. fosse dipesa da dolo o da incompleta ovvero omessa segnalazione di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione, quando invece, l’errore che aveva dato origine all’indebito non era imputabile alla sig.ra G.M.R., ma all’Istituto previdenziale.

La Corte d’appello, a sostegno degli assunti di accoglimento del gravame dell’Inps, ha rilevato nel merito, che la sig.ra G. non aveva comunicato i redditi rilevanti, cioè i fatti che potessero incidere sul diritto o sulla misura della pensione di reversibilità, mentre l’Inps aveva comunicato l’intenzione di voler recuperare quanto indebitamente riscosso, entro il termine annuale di decadenza, di cui all’art. 13 comma 2 della legge n. 412/91.

Avverso la sentenza della Corte d’appello, G.G. (nella qualità di figlio superstite) ricorre per cassazione, sulla base di sei motivi, mentre l’Inps resiste con controricorso.

Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.

Considerato che

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di error in procedendo, per omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., in merito all’inammissibilità dell’atto di appello e, comunque, violazione dell’art. 434 c.p.c., per difetto di specificità dei motivi d’appello.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2697 c.c., in quanto, erroneamente, la Corte d’appello aveva affermato che era a carico del pensionato l’onere di provare la insussistenza dell’indebito e ciò, ad avviso del ricorrente, perché il recupero non quantificava i redditi sopra-soglia, né vi era stato un procedimento di accertamento e l’attestazione del funzionario dell’Inps non poteva costituire un documento idoneo a fondare la richiesta di indebito pensionistico.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di omessa valutazione di un fatto decisivo della controversia, consistente nel fatto che l’importo considerato come indebito pensionistico era stato liquidato con provvedimento oramai definitivo dell’agosto del 2005.

Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 13 comma 1 della legge n. 412 del 1991, perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto che il comportamento tenuto dalla sig.ra G. configurasse il dolo omissivo contemplato dall’art. 13 comma 1 della legge n. 412/91, escludendo, in tal modo, che si trattasse di errore nella liquidazione del trattamento pensionistico e ritenendo invece che fosse riconducibile a una omessa comunicazione a cui la pensionata era tenuta.

Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art.13 comma 2 della legge n. 412/91, perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto che la richiesta del 2005 avesse impedito il maturare della decadenza annuale, ex art. 13 comma 2 della legge n. 412/91 e che il termine di prescrizione decennale che era iniziato a decorrere da tale data, era stato più volte interrotto, mentre invece, dopo la comunicazione del 2005, l’Inps aveva proceduto a liquidare definitivamente la pensione, senza provvedere ad alcuna trattenuta, se non a distanza di 12 anni.

Con il sesto motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia: per inopponibilità/intrasmissibilità del presunto dolo all’erede che è un terzo di buona fede.

Il primo motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non avendo il ricorrente riportato in ricorso, ex art. 366 primo comma n. 6 c.p.c., né i motivi di appello dell’Inps né la sentenza di primo grado, al fine di mettere in condizione questa Corte di valutare la fondatezza della pretesa.

Il secondo motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema d’indebito previdenziale, nel giudizio instaurato, in qualità d’attore, dal pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito, l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto, è a suo esclusivo carico (cfr. Cass. nn. 15550/19, 26231/18).

Nella specie, il ricorrente ha dedotto che la nota con la quale l’Istituto previdenziale aveva contestato l’indebito fosse generica, ma ciò a fronte dell’accertamento di fatto della Corte d’appello che aveva invece esaminato la predetta nota, giungendo alla conclusione che essa fosse di tenore tale da consentire alla pensionata la totale comprensione delle pretese dell’Istituto.

Il terzo motivo è inammissibile, per mancanza di decisività, in quanto pur se il provvedimento di liquidazione del 2005 era divenuto definitivo, l’Istituto previdenziale poteva provvedere al recupero entro un anno dal periodo di riferimento, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 412 del 1991.

Il quarto motivo è inammissibile per mancanza di decisività. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Ai fini della ripetizione dell’indebito previdenziale per sopravvenuta mancanza del requisito reddituale, ai sensi dell’art. 13, comma 2, della l. n. 412 del 1991, non è richiesto l’accertamento del dolo dell’assicurato o l’esistenza di un provvedimento dell’INPS di attribuzione del bene della vita oggetto di recupero, ma rileva soltanto la tempestività della richiesta di ripetizione dell’Istituto rispetto alla comunicazione, da parte del pensionato, dei dati rilevanti ai fini della verifica annuale della persistenza delle condizioni legittimanti l’erogazione del trattamento pensionistico” (Cass. n. 15039/19).

Nella specie, l’indebito per cui è causa è dipeso dal superamento dei limiti reddituali previsti dall’art. 1 comma 41 della legge n. 335/95, per cui, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 412/91, quando l’Inps procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche, provvede entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccesso e la Corte d’appello ha accertato che l’Istituto aveva iniziato il recupero dell’indebito nel maggio 2005 a fronte di erogazioni senza titolo effettuate dal febbraio 2004 al dicembre 2004.

Sulla base di ciò, era del tutto irrilevante ogni analisi dello stato soggettivo del percipiente, in quanto il dolo (anche omissivo) avrebbe legittimato il recupero in ogni tempo, mentre nella presente vicenda, il recupero dell’indebito pensionistico da parte dell’Istituto previdenziale era avvenuto nel termine annuale di decadenza per mutamento delle condizioni reddituali della pensionata e non era un indebito dovuto ad errore dell’ente, ipotesi nella quale sarebbe potuto rilevare lo stato soggettivo del pensionato.

Il quinto motivo è inammissibile.

In questo senso va accolta l’eccezione di giudicato interno sollevata dall’Inps alle pp. 7 e 8 del controricorso, dove riporta la statuizione del giudice di primo grado che esclude che si sia maturata la decadenza a carico dell’Inps, statuizione riportata anche alla p. 3 della sentenza impugnata; pertanto, in sede di appello, la parte privata avrebbe dovuto dolersi del rigetto dell’eccezione di decadenza con appello incidentale, non essendo sufficiente la mera riproposizione, ex art. 346 c.p.c., trattandosi , appunto, di questione espressamente decisa e non già meramente assorbita.

La doglianza, inoltre, è altresì inammissibile, perché l’odierno ricorrente non si fa carico di illustrare quale sia il contenuto della comunicazione del maggio 2005, che secondo il suo assunto non sarebbe stata idonea ad evitare il maturare della decadenza.

Il sesto motivo è inammissibile, perché non si confronta con l’effettiva statuizione della Corte d’appello che riferisce il dolo sempre e solo alla pensionata deceduta, cioè alla sig.ra G.M.R. e in nessuna parte riferisce lo stato soggettivo del dolo omissivo all’odierno ricorrente, suo avente causa.

Al rigetto del ricorso, consegue la condanna alle spese, secondo quanto meglio indicato in dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, rispetto a quello già versato, a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare all’Inps le spese di lite, che liquida nell’importo di € 3.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge”.