(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Cassazione Civile, Sez. Lav., Ordinanza 11 ottobre 2024, n. 26514.
Non spetta al datore di lavoro controllare le modalità di esercizio dell’assistenza ex L. 104
Il permesso ex lege 104 non obbliga il lavoratore a fornire assistenza al parente in un certo orario rigido. Non può essere il datore di lavoro a stabilire le giornate in cui il dipendente è tenuto ad occuparsi del familiare disabile. Il lavoratore, infatti, può scegliere di prestare assistenza in altro orario della giornata senza commettere un errore che giustifichi il licenziamento.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Rilevato che
1. Il Tribunale di Palermo, a conferma di ordinanza in esito alla fase sommaria, annullava il licenziamento disciplinare intimato il 14.7.2017 da (OMISSIS) s.r.l. al dipendente B.P. (inquadrato al 3° livello CCNL terziario presso supermercato) e condannava la società alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno;
2. in sede di reclamo, la Corte d’Appello di Palermo riformava la sentenza di primo grado e rigettava il ricorso del lavoratore;
3. in particolare, la Corte di merito:
– riportava la contestazione disciplinare, all’esito di controllo a campione sulla fruizione da parte di dipendenti dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 mediante relazione investigativa, con la quale si addebitava al dipendente che in 3 giornate di aprile 2017 i permessi retribuiti richiesti per l’assistenza alla madre invalida non erano stati correttamente fruiti, in riferimento al turno 8 – 14,30;
– riteneva integrante abuso del diritto la mancata assistenza espletata in tale orario, e rigettava l’assunto difensivo del lavoratore, secondo cui la riconducibilità dell’assistenza verso il disabile non deve necessariamente esplicarsi nella fascia oraria del turno, ma deve essere estesa all’intera giornata di permesso;
– riteneva indimostrata l’effettiva assistenza alla persona disabile, con riferimento a 2 delle giornate oggetto di contestazione, e che la prova dell’effettiva assistenza limitata a una delle 3 giornate oggetto di contestazione non escludesse la legittimità del licenziamento per violazione dei principi di correttezza e buona fede, anche accedendo alla tesi difensiva;
4. avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per cassazione il lavoratore con quattro motivi; resiste con controricorso la società; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 33, comma 3, legge n. 104/1992, 2087 e 2119 c.c., 5 legge n. 604/1966, 7 e 18 legge n. 300/1970; evidenzia di aver richiesto di usufruire dei permessi per il mese di aprile 2017 all’inizio del mese, riferiti all’intera giornata, perché i turni venivano stabiliti successivamente e l’indicazione sulla richiesta di permesso era stata aggiunta (circostanza pacifica) in seguito dal personale del datore di lavoro per esigenze organizzative;
2. con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione delle medesime norme, sostenendo l’erroneità della sentenza impugnata nel ritenere provata la richiesta di assistenza della madre invalida in corrispondenza del turno di lavoro, e non dell’intera giornata, senza peraltro considerare che il turno di lavoro non era conosciuto al momento della presentazione della richiesta di permesso;
3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; afferma di essersi difeso in relazione alla contestazione limitata all’arco temporale 8 – 14,30, sicché la contestazione disciplinare e la prova limitata al solo turno di lavoro non possono considerarsi idonee a legittimare il licenziamento;
4. con il quarto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 33, comma 3, legge n. 104/1992; censura la valutazione della prova relativamente alla mancata assistenza nella terza giornata contestata, e sostiene che, quindi, l’assenza di prova circa l’assistenza per una sola giornata non integra giusta causa di licenziamento;
5. i primi tre motivi, da trattare congiuntamente per connessione, in quanto tutti attinenti alle modalità di fruizione dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, legge n. 104/1992, sono fondati per quanto di ragione;
6. la norma in esame stabilisce (nel testo vigente, come da ultimo sostituito dall’art. 3, comma 1, lett. b), n.1, d. lgs. n. 105/2022, ma le modifiche recenti non sono rilevanti rispetto alla fattispecie concreta per cui è causa) che: “Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”;
7. come osservato dalla dottrina, alla precisione della norma nell’individuare le situazioni assistenziali sul piano soggettivo non corrisponde alcuna esplicitazione normativa dei contenuti dell’assistenza che possa o debba essere riservata alla persona con disabilità da parte del lavoratore che eserciti il diritto; la giurisprudenza di legittimità si è orientata ad affermare che elemento essenziale della fattispecie di cui all’art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 è l’esistenza di un diretto nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile, precisando che tale nesso causale va inteso non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile, senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro;
8. è stato quindi chiarito che il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso del diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro, come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente, ed integra, nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità e uno sviamento dell’intervento assistenziale (Cass. n. 4984/2014); ciò anche per il disvalore sociale connesso a tali condotte abusive, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi, comunque con necessità di diversa organizzazione del lavoro in azienda e di sostituzioni (Cass. n. 8784/2015); né il permesso ex art. 33 della legge n. 104/1992 riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile, rispetto alla quale l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, può essere utilizzato in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza; ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari (Cass. n. 17968/2016);
9. entro tale perimetro funzionale, è stato peraltro precisato che l’assistenza non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il soggetto non sia in condizioni di compiere autonomamente; l’abuso quindi va a configurarsi solo quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza, da intendere in senso ampio, in favore del familiare (Cass. n. 12679/2024, n. 6468/2024, n. 25290/2022, n. 1394/2020, n. 21529/2019, n. 30676/2018, n. 23891/2018, n. 29062/2017, n. 17968/2016, n. 9217/2016, n. 8784/2015), atteso che l’interesse primario cui è preposta la legge n. 104/1992 è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza al disabile che si realizzano in ambito familiare, attraverso una serie di benefici a favore delle persone che se ne prendono cura, pur dovendosi scongiurare utilizzi fraudolenti della normativa (così Cass. n. 20243/2020);
10. nel caso di specie, la Corte di merito non si è attenuta a tali principi;
11. la decisione si è infatti incentrata sulla verifica della mancata assistenza durante i turni di lavoro, sulla base delle evidenze derivanti dalla relazione investigativa, senza tenere conto, da un lato, del fatto che tali turni non erano conosciuti dal lavoratore al momento della richiesta dei permessi, in funzione delle necessità di assistenza al disabile, da intendersi nel senso ampio e olistico che si è sopra evidenziato e, dall’altro, che la prova si è focalizzata sull’orario mattutino, senza considerare che l’assistenza può essere fornita nell’arco della giornata, non spettando al datore di lavoro controllare le modalità di esercizio della stessa, ma solo, sussistendone i presupposti, reagire a eventuali abusi in quanto incidenti sull’organizzazione lavorativa e sul dovere di buona fede e correttezza;
12. posto che il diritto di fruire dei permessi da parte del familiare di persona disabile si pone in relazione diretta con le esigenze di assistenza, nell’assetto di interessi potenzialmente contrapposti come delineato dal legislatore le esigenze organizzative del datore di lavoro non incidono sulla scelta del lavoratore dei giorni in cui fruire dei permessi, che debbono essere comunicati al datore di lavoro, ma non sono soggetti al suo gradimento o alla sua discrezionalità; né il datore di lavoro può sindacare, in assenza di accordi in tale senso tra le parti sociali, la scelta delle giornate in cui esercitare l’assistenza al disabile, e quindi tale scelta si pone al di fuori degli obblighi di diligenza e fedeltà del lavoratore nell’attuale quadro normativo;
13. è stato posto in luce da questa Corte (Cass. n. 12679/2024 cit.) che i permessi ex art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 sono delineati quali permessi giornalieri su base mensile, e non su base oraria o cronometrica, e che possono essere fruiti a condizione che la persona gravemente disabile non sia ricoverata a tempo pieno, sicché l’assistenza del familiare può realizzarsi in forme non specificate;
14. deve pertanto in questa sede riaffermarsi che l’assistenza a persona con disabilità in situazione di gravità che legittima il diritto del lavoratore dipendente, pubblico o privato, ai permessi mensili retribuiti ex art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 non va intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione; si configura abuso quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza in senso ampio in favore del familiare, cioè in difformità dalle modalità richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è previsto, da accertarsi nel merito; non integra abuso la prestazione di assistenza al familiare disabile in orari non integralmente coincidenti con il turno di lavoro, in quanto si tratta di permessi giornalieri su base mensile, e non su base oraria;
15. in accoglimento per quanto di ragione dei primi 3 motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve dunque essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, per provvedere ad un nuovo esame della fattispecie concreta, secondo i principi sopra enunciati;
16. rimane assorbito il quarto motivo, riguardante la valutazione delle prove da operare nel merito alla luce dei principi di diritto enunciati;
17. alla Corte di rinvio spetta anche la regolazione delle spese di lite, incluse quelle del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi 3 motivi di ricorso, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, anche per le spese […]”..
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