(Fonte: Alleanza Contro la Povertà, 25 Settembre 2023)
“Povertà e nuove misure di contrasto: il confronto è aperto“.
E’ stato presentato nel settembre 2023, in Senato, presso la sala Isma, il Position paper dell’Alleanza contro la povertà in Italia in merito alle misure di contrasto alla povertà, a partire da quelle passate, per soffermarsi su quelle più recenti, contenute nella legge 85/2023.
Riportiamo qui di seguito l’intervento introduttivo del portavoce dell’Alleanza contro la povertà, Antonio Russo.
“Nei 10 anni trascorsi dalla nascita, nel 2013, dell’Alleanza contro la povertà, l’incidenza della povertà assoluta in Italia è cresciuta di quasi tre volte: poco più di 2 milioni erano i poveri assoluti nel 2013, circa 6 milioni sono oggi, ben il 9,4% della popolazione: nel 2021, erano in condizione di povertà assoluta più di 1,9 milioni di famiglie (7,5% del totale), pari a circa 5,6 milioni di individui (9,4% come l’anno precedente). Il disagio è stato più marcato per le famiglie con figli minori, per le quali l’incidenza passa dall’8,1% delle famiglie con un solo figlio minore al 22,8% di quelle che ne hanno da tre in su. Valori elevati si registrano anche per le coppie con tre o più figli (20,0%) e per le famiglie di altra tipologia, dove spesso coabitano più nuclei familiari (16,3%). Ancora elevata la povertà assoluta tra gli stranieri, che sono oltre un 1,6 milioni, con una incidenza pari al 32,4%: oltre quattro volte superiore a quella degli italiani (7,2%). Le famiglie in povertà assoluta sono, nel 68,7% dei casi, famiglie di soli italiani (quasi 1 milione e 350mila) e per il restante 31,3% famiglie con stranieri (oltre 614 mila), pur rappresentando queste ultime solo il 9% del totale. Se questi sono i numeri – ha detto ancora Russo – occorre un programma il più possibile condiviso, di breve medio e lungo termine , di lotta contro la povertà assoluta, capace anche di evitare che quella relativa ‘frani’ verso il basso”.
Per quanto riguarda le misure di contrasto alla povertà, introdotte dal2018, queste “hanno solo parzialmente mitigato la situazione – ha proseguito Russo – ma hanno comunque contenuto l’andamento, a fronte del peggioramento delle condizioni del Paese (specialmente durante la pandemia). Ora, le politiche di contrasto alla povertà abbisognano di una prospettiva temporale lunga; di un patto che vada oltre le legislature. In questi 10 anni abbiamo promosso un dibattito, fondato su studi e analisi approfondite degli strumenti esistenti, formulato proposte che solo parzialmente hanno trovato spazio nella varie misure ( troppe volte cambiate nel passaggio dei governi, per un problema che presupporrebbe un approccio strutturale e multidimensionale…). Tra i vari modelli di volta in volta introdotti nel tempo, riteniamo che lo schema di Reddito d’Inclusione Sociale (Reis) resti ancora valido per le caratteristiche proprie e per l’ottimizzazione delle risorse umane, economiche e sociali di cui il Paese è dotato. Dobbiamo assolutamente contrasta che il processo di strutturalizzazione e cronicizzazione della povertà nel nostro Paese”.
A tale scopo, le nuove misure introdotte dal governo non sembrano, all’Alleanza, in grado di raggiungere lo scopo: “L’Alleanza ha contribuito in audizione ad offrire una quadro di proposte che solo parzialmente hanno trovato spazio nel testo di legge (n. 85/2023). Nelle varie fasi di discussione, abbiamo dichiarato le nostre preoccupazione, supportati da uno studio dagli organismi interni e dagli approfondimenti di organismi istituzionali come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Il documento fa sintesi di suggerimenti che abbiamo dato già nel corso dei mesi passate. Indispensabile e pregiudiziale è per noi un ritorno ad una misura universalistica e non categoriale.
Una serie di ragioni sostengono questa posizione, che sembrava quasi incardinata nel nostro ordinamento già dal 2018 con l’introduzione del Reddito di inclusione eppoi nelle successive misure fino al Reddito di cittadinanza. Quel principio è una delle ragioni fondative dell’AcP, che già nella proposta originaria sostenne l’introduzione nell’ordinamento di una misura diretta alla povertà che fosse connotata dal vincolo universalistico. La spinta di quella intuizione raccolta all’epoca dal legislatore ci aiutò a liberarci dal triste primato, che condividevamo con la Grecia, di essere gli unici due Paesi europei a non avere un reddito minimo. Quindi quel vincolo aveva allora e ha oggi, per noi, un suo valore specifico. Da ciò che ci suggerisce la nostra esperienza, vivere in una condizione di disagio sociale, quanto non di povertà, prescinde dall’età, dal luogo dove si vive o dalle origini etniche: banalmente, chi è povero è semplicemente povero. La fragilità sociale, per quanto viva nelle persone, è oggettiva. E i motivi per i quali ci si trova in una situazione di soggezione e disagio, prevalentemente non dipendono dalla volontà di chi in quella situazione si è trovato: forse solo un anno e mezzo prima lavorava e aveva una vita dignitosa; oppure lavora e ha una famiglia e due figli da far crescere, ma è un lavoratore sottopagato (working poor); o, ancora, ha dei figli maggiorenni da mandare all’università, o forse in questa condizione si è trovato a seguito del fallimento della sua impresa artigiana o commerciale, o per condizioni che non hanno direttamente a che fare con il lavoro o per una situazione non riconducibile alla solo assenza di occupazione, come un problema sanitario o anche la crescita del costo della vita. Perché – lo ricordiamo – l’inflazione colpisce soprattutto i più economicamente fragili o, come in questi mesi, la variazione delle rate di mutuo, che ha un forte impatto sulla condizione di famiglie e singoli.
A volte basta davvero poco per scivolare nella solitudine drammatica di chi non ce la fa. In altre parole, chi vive in povertà non può essere considerato colpevole della propria condizione”.
Alla luce di questo, “si appare indispensabile il ritorno ad una misura universale di reddito minimo, che eviterebbe un arretramento del quadro normativo. Di conseguenza, l’Assegno d’Inclusione, in quanto sostegno al reddito di tipo categoriale, può essere definito come uno schema di reddito minimo ‘atipico’ nel panorama europeo, dove vige ovunque il principio dell’universalismo selettivo. Mentre il Supporto formazione e lavoro è a tutti gli effetti una misura di attivazione lavorativa, sempre categoriale, che conta su un trasferimento economico temporaneo e che non può essere considerata alla stregua di reddito minimo. La nostra idea è che occorra perseguire la realizzazione di uno strumento che connetta la componente monetaria (il sussidio) con la componente di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa (i servizi, sia del sociale sia i servizi del lavoro) e che individui un diverso ruolo dei Comuni e delle comunità), del sistema di welfare locale e dei sistemi di infrastrutturazione dei servizi del lavoro, come pure dei cittadini, nelle loro forme associate o anche private ( Reis)”.
Un’altra ragione per il ritorno a una misura universalistica risiede nella “dimensione europea della nostra cittadinanza e risponde allo schema di reddito minimo oramai adottato in quasi tutti i Paesi dell’Unione, che ci chiama a un adeguamento delle politiche nazionali a quelle comunitarie. In questa fase della storia (ma forse non solo in questa..) un certo modo di fare profitto, le crisi economiche cicliche, gli eventi straordinari (la pandemia ) e non ultimo quello che meno ci si aspettava, come la guerra, producono povertà. E’ obbligo degli Stati e delle Comunità nazionali e di quella europea farsi carico, attraverso programmi e misure di protezione, di chi ne diviene vittima. E’ quanto prevede il Pilastro europeo dei diritti sociali (proposizione 14 ), adottato dalla Commissione Europea a marzo 2021 e fatto proprio dal Consiglio Europeo nel maggio successivo. Vi si legge: ‘Tutti coloro che non hanno sufficienti risorse hanno diritto a un reddito minimo, adeguato a garantire una vita dignitosa in ogni fase della vita e ad un effettivo accesso a beni e servizi abilitanti. […] Per coloro che sono in grado di lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere integrato da incentivi per la (re)integrazione nel mercato del lavoro’. Di conseguenza, una misura di reddito minimo (oramai presente in quasi tutti gli Stati europei) già adottata dalla Gran Bretagna dal 1948, dalla Francia dal 1988 e l’Ungheria dal 1993, è sostanziamene coerente con le indicazioni della nuova Raccomandazione europea in tema di reddito minimo per chi si trova in povertà approvata dal Consiglio d’Europa nel gennaio scorso”.
Con le nuove misure (Adi e Sfl) l’Alleanza contro la povertà prevede che “la platea dei beneficiari del vecchio Rdc si dimezzerà del 50% circa. Ciò anticipa un taglio importante tra i potenziali aventi diritto, che va posto in relazione a come il fenomeno della povertà si sta manifestando, aggravato da non poche contingenze sfavorevoli, ad esempio quelle inflattive, che agiscono più immediatamente sui redditi bassi. Lo stesso investimento previsto per la coperture delle nuove misure sarebbe, a regime, di non poco inferiore a quello della ultima annualità del RdC. Sugli effetti immediatamente prodotti, e anche su quelli della riforma a regime, così come sulle prospettive di miglioramento, è costruita la piattaforma di 8 proposte, che riguardano prevalentemente l’Assegno di inclusione. Esse agiscono sulla soglia reddituale di accesso, su alcune fasce di soggetti più svantaggiati rispetto ad altri (cittadini stranieri), sul sostegno all’affitto e sulle regole relative alle possibili offerte di lavoro e alla cumulabilità dello stesso con la misura. Si parla anche, nel documento, di strumenti di valutazione (scala di equivalenza) e carichi familiari, come pure di indicizzazione della soglia reddituale individuale e del ruolo dei comuni e del terzo settore, anche in ordine alla individuazione di un percorso volontario per la realizzazione dei Progetti Utili alla Collettività. Questo è il lavoro che oggi presentiamo, con lo stile di chi sa che l’argomento è complicato e complesso e che quasi mai le cose complicate trovano soluzioni se affrontate in maniera semplificata. E’ in gioco la dignità delle persone, la tenuta del patto sociale, che fa di un Paese una grande democrazia. La politica non è l’unica leva sulla quale agire per superare una problema che per noi deve trovare uno spazio di confronto e dibattito non ideologico, poiché i problemi dei soggetti fragili delle comunità sono problemi di tutti e non di una sola parte. La politica non è l’unica leva sulla quale agire, ma ci ostiniamo a pensare che resta la più importante. E’ questo lo spirito con il quale continueremo ad animare un dibattito e un confronto che auspichiamo possa andare oltre questa iniziativa con le tutte le forze parlamentari. Che il tema della povertà torni al centro della politica e delle politiche, è secondo noi indispensabile. Nessuno ha soluzioni salvifiche per un problema così importante per numeri e portata storica. A partire da qui, rinnoviamo la nostra disponibilità ad un lavoro di studio, di approfondimento e di proposta. Qui oggi, e sui territori nelle prossime settimane. In questo cammino, nutriamo la speranza di incontrare la volontà di molte donne e di molti uomini”.
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