(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di Cassazione, Ordinanza 22 marzo 2024, n. 7801.
Lavoro. Prestazioni occasionali. Contratto di collaborazione. Prova di subordinazione. Rigetto.
“[…] Rilevato che
1.- P.P. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 151/2011, notificata in data 20/04/2011, con cui la Direzione territoriale del lavoro di Cosenza aveva ingiunto di pagare la complessiva somma di euro 44.432,00 per molteplici violazioni di legge relative alla posizione lavorativa di A.P..
A sostegno dell’opposizione deduceva che l’A. aveva svolto per la “P.P.C.P.”, di cui ella era titolare, solo prestazioni occasionali nel periodo dall’01/03/2009 al 28/02/2010, senza vincolo di subordinazione, in conformità al contratto di collaborazione stipulato in data 01/03/2009.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale di Castrovillari accoglieva l’opposizione e annullava l’ordinanza ingiunzione.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame interposto dal Ministero del lavoro – Direzione territoriale del lavoro di Cosenza e rigettava l’opposizione.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) in via preliminare va esaminata l’eccezione di inutilizzabilità dei verbali contenenti le dichiarazioni rese dall’A. agli ispettori, prodotti dal Ministero nel corso del primo grado di giudizio, eccezione sollevata tempestivamente all’udienza del 15/02/2012 successiva al deposito della costituzione del Ministero e reiterata nel giudizio di appello;
b) tale eccezione è infondata, poiché ai sensi dell’art. 23, co. 2, L. n. 689/1981, il termine per il deposito da parte dell’amministrazione dei documenti relativi all’infrazione e alla sua contestazione non è perentorio e quindi la sua inosservanza non determina alcuna decadenza (Cass. ord. n. 5828/2015), sicché il verbale ispettivo e le dichiarazioni in esso contenute, pur tardivamente prodotte, sono sempre utilizzabili come prova;
c) il Tribunale ha accolto l’opposizione sul rilievo che le dichiarazioni rese ai militari di A.P., nonché da P.F. e G.V., contenute nei verbali ispettivi, non fossero sufficienti a provare la subordinazione, non avendo trovato conferma in giudizio;
d) ma secondo la Suprema Corte, i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali o dagli ispettori del lavoro possono costituire prova sufficiente delle circostanze riferite dai lavoratori al pubblico ufficiale qualora il loro contenuto specifico oppure il concorso di altri elementi renda superfluo l’espletamento di altri mezzi istruttori (Cass. n. 3525/2005; Cass. n. 15702/2004; Cass. n. 9827/2000);
e) nel caso di specie le dichiarazioni dell’A. rese in data 10/03/2009 sono molto specifiche (mansioni di postino con continuità per cinque giorni la settimana, dalle ore 09,30 alle ore 13,30, utilizzando l’autovettura aziendale) e risultano confermate dalle dichiarazioni rese dal P. e dal G. in data 10 e 11 marzo 2009, i quali hanno riferito che l’A. consegnava costantemente la posta all’INPS di Rossano per conto della “P.P.C.P.”, smentendo l’assunto della P.;
f) inoltre queste risultanze non sono state specificamente contestate dalla P.;
g) attesa la fidefacienza del verbale, non può dubitarsi che i verbalizzanti abbiano ricevuto quelle dichiarazioni dall’A., dal P. e dal G.;
h) queste dichiarazioni non risultano inficiate dall’unica testimonianza addotta dalla P. in giudizio con tale R.A., titolare di un’attività commerciale nelle vicinanze di quella della P., che ha dichiarato di aver visto l’A. solo occasionalmente, poiché si tratta di una deposizione del tutto generica.
4.- Avverso tale sentenza P.P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- Ispettorato territoriale del lavoro di Cosenza ha resistito con controricorso.
6.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
Considerato che
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 23, co. 2, L. n. 689/1981 e 416 c.p.c., nonché “difetto, insufficienza ed illogicità della motivazione”, per avere la Corte territoriale ritenuto non tardiva la produzione documentale della direzione del lavoro nel giudizio di primo grado e, quindi, utilizzabile il verbale ispettivo ai fini della decisione.
Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
E’ infondato, poiché questa Corte ha già affermato che “In tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione, il termine assegnato all’amministrazione per depositare i documenti relativi all’infrazione, fissato in dieci giorni prima dell’udienza di comparizione dall’articolo 23, secondo comma, legge 24 novembre 1981, n. 689, applicabile “ratione temporis”, non ha natura perentoria e la sua violazione rappresenta una mera irregolarità, sicché la copia conforme del verbale di contestazione tardivamente prodotta è utilizzabile come prova” (Cass. ord. n. 5828/2015).
In particolare va ribadito che per il giudizio di opposizione previsto dall’art. 22 ss. L. n. 681/1989, il legislatore delinea uno schema atipico in materia di prove, consentendo al giudice di svolgere attività istruttorie a prescindere dall’iniziativa delle parti. Ne deriva che il termine di dieci giorni, fissato dal giudice nel rispetto dell’art. 23, co. 2, L. n. 689/1981, non presenta natura perentoria e comporta che la produzione tardiva dei documenti da parte dell’amministrazione resistente sia colpita da mera irregolarità (Cass. n. 13795/2006; Cass. n. 2149/2004; Cass. n. 15828/2002; Cass. n. 4931/2001; Cass. n. 1404/1999).
Data questa mera irregolarità, il documento è e resta idoneo ad integrare il materiale probatorio, sulla base del quale il giudice può legittimamente formare il proprio convincimento.
Il predetto principio è stato affermato da questa Corte non soltanto in relazione a sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, ma anche in materia di sanzioni amministrative per violazione della normativa “antiriciclaggio” (Cass. 18/04/2018, n. 9545) ed anche con riferimento – ratione temporis – al termine previsto dall’art. 6, co. 8, d.lgs. n. 150/2011.
Infine, principio identico è stato altresì affermato da questa Corte con riguardo alle sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità garante della privacy (Cass. ord. n. 25671/2018).
Quindi va ribadito il costante orientamento di questa Corte, secondo cui nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione il termine per il deposito della documentazione strettamente connessa all’atto impugnato non è, in difetto di espressa previsione, perentorio, sicché al mancato rispetto dello stesso non consegue alcuna decadenza a carico della pubblica amministrazione.
Con riguardo all’art. 6, d.lgs. n. 150/2011, il richiamo alle norme sul rito del lavoro è sì generale. Tuttavia, per espressa scelta del legislatore, questo rito non si applica con riguardo ai profili espressamente disciplinati dall’art. 6 cit. (come dimostrato dalla c.d. clausola di riserva “ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del presente articolo”).
Orbene, il co. 8 dell’art. 6 cit. stabilisce il termine di dieci giorni per produrre il rapporto e gli altri atti relativi all’accertamento dell’infrazione, ma per la sua inosservanza non prevede la sanzione della decadenza. Trattasi di norma di rito speciale che, pertanto, è idonea a derogare all’art. 416 c.p.c.
Il motivo è poi inammissibile in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., in quanto nella sua attuale formulazione non consente più di denunziare “difetto, insufficienza ed illogicità della motivazione”, ma solo l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2699 e 2700 c.c., nonché “difetto, insufficienza ed illogicità della motivazione”, per avere la Corte territoriale ritenuto l’incontestabilità dei verbali salvo querela di falso, nella specie non proposta, e per aver omesso di riferire questa fidefacienza solo al c.d. estrinseco e non pure al c.d. intrinseco.
Il motivo è infondato.
Contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte territoriale ha ritenuto assistito da fidefacienza solo la circostanza delle avvenute dichiarazioni da parte dei sigg.ri A., P. e G., non anche il loro contenuto. Tanto è vero che ha sottoposto poi quelle dichiarazioni a valutazione di attendibilità ai fini della formazione del proprio convincimento ed ha adeguatamente motivato sul punto.
Il motivo è poi inammissibile in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. per la medesima ragione già esposta in relazione al primo motivo.
3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 5), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 115, 116, 420, 421, 436 c.p.c., 2697 c.c. e 10, co. 5, d.lgs. n. 124/2004, nonché “difetto, insufficienza ed illogicità della motivazione”, per avere la Corte territoriale considerato non contestato il contenuto delle dichiarazioni rese dall’A. ai militari, contenute nel verbale di accertamento, e ritenuto credibili e decisive quelle dichiarazioni, nonché non confutate dalla deposizione testimoniale assunta in giudizio.
Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte una rivalutazione delle risultanze istruttorie, che invece è attività riservata al giudice di merito e interdetta in sede di legittimità.
Il motivo è poi inammissibile in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. per la medesima ragione già esposta in relazione al primo motivo.
4.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso […]”.
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