(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione. Sentenza 27 novembre 2024, n. 30540.
Lavoro. Licenziamento con preavviso dirigente medico. Assenza ingiustificata per asserita partecipazione ad eventi formativi. Rigetto
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Catania ha respinto il gravame proposto da G.R., dirigente medico, e confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento con preavviso intimatole dalla A.O.U.P. G.R.S.M.
2. Limitatamente a quel che qui rileva, la Corte territoriale, premesso che l’addebito concerneva l’assenza ingiustificata per oltre 185 ore per asserita partecipazione ad eventi formativi, ha respinto preliminarmente le eccezioni di nullità del procedimento, escludendone l’illegittimità perché avviato da persona diversa dal responsabile della struttura di assegnazione della lavoratrice, essendo stato rispettato il termine di conclusione del procedimento – avuto riguardo all’epoca di adozione della misura in luogo che alla data della sua comunicazione – e rispettato il diritto di difesa, in quanto la lavoratrice, seppure convocata, aveva scelto di non partecipare in presenza e l’ufficio disciplinare aveva esaminato le di lei note difensive, anche se non condivise.
Nel merito, incontestata l’entità delle assenze quale indicata nella contestazione, i giudici d’appello hanno rilevato che, in base alle disposizioni del c.c.n.l., l’attività formativa doveva essere funzionale all’attività professionale ed essere documentata: nella specie, a prescindere dalla non diretta relazionabilità all’esercizio della professione di alcuni corsi (indicati espressamente in sentenza) fra quelli asseritamente frequentati, la lavoratrice, nonostante l’espressa richiesta dell’Azienda (inammissibile perché tardiva l’eccezione della dirigente di non aver ricevuto le comunicazioni), non aveva prodotto idonea certificazione, limitandosi a produrre un’autocertificazione. Infine, la misura espulsiva adottata era ritenuta proporzionata alla gravità della condotta, nelle sue componenti oggettive e soggettive.
3. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione G.R. per otto motivi, cui resiste l’Azienda con controricorso.
4. Il rappresentante del Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con richiesta di rigettare il ricorso.
5. Le parti hanno depositato memoria.
6. La causa giunge in decisione all’esito della trattazione in pubblica udienza, nella quale sono intervenuti i difensori delle parti e il rappresentante del Pubblico Ministero, che, nel richiamare le conclusioni già rassegnate nella memoria depositata, ha insistito per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si deduce, ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. per la mancata ammissione della prova testimoniale dedotta ed articolata in ordine alla prassi per cui anche altri dipendenti si limitavano a comunicare preventivamente all’azienda la propria partecipazione ad eventi formativi senza che sia mai stata chiesta loro la dimostrazione dell’effettiva partecipazione.
1.1. La censura, nei termini formulati, è inammissibile, posto che, per consolidato indirizzo di questa Corte, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (così, in particolare, Cass. Sez. L, 01/07/2024, n. 18072).
Nella specie, la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento sulle disposizioni del contratto collettivo in ordine alla prevista prova attraverso idonea certificazione della partecipazione alle attività di formazione, non potendo una prassi aziendale derogare a tale espressa previsione.
Di conseguenza, le prove articolate sul punto sono state ritenute ininfluenti ai fini del giudizio, così escludendosi in radice la decisività richiesta per l’ammissibilità della censura in esame.
2. Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. dell’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, perché la segnalazione disciplinare non era provenuta dal responsabile della struttura.
2.1. La censura si rivela infondata, come correttamente ritenuto dalla Corte di merito, che ha richiamato sul punto un precedente di questa Corte dal quale non si ravvisano motivi per discostarsi, la cui ratio è pienamente applicabile anche al caso di specie (Cass. Sez. L, 05/10/2017, n. 23268, secondo cui, in materia di procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti delle P.A., gli artt. 55 d.lgs. n. 165 del 2001, ratione temporis applicabile, e 24, c.c.n.l. comparto Regioni ed Autonomie locali 2002-2005, non individuano nella segnalazione del responsabile della struttura un requisito di validità del procedimento, e non vietano all’Ufficio per i procedimenti disciplinari di avviare l’iniziativa disciplinare allorquando la notizia sia stata acquisita in modo diverso dalla segnalazione in questione; infatti, il legislatore ha solo voluto rimarcare un compito istituzionale che fa capo al dirigente il quale, in ragione della posizione organizzativa e funzionale ricoperta, è di norma il soggetto che può acquisire la conoscenza dei fatti di potenziale rilievo disciplinare, fermo restando che il predetto ufficio deve attivare il procedimento anche qualora altri procedano alla segnalazione e può acquisire la notizia autonomamente dal responsabile della struttura).
3. Con il terzo motivo si deduce la violazione e l’omessa applicazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. dell’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001 in relazione ai termini per la conclusione del procedimento, da adottare con un atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione e non con un verbale.
3.1. Anche questa censura si rivela infondata, come pure correttamente ritenuto dai giudici d’appello, in applicazione di un consolidato principio espresso da questa Corte, secondo cui, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, ai fini del rispetto del termine previsto per la riattivazione del procedimento disciplinare, a seguito della comunicazione della sentenza che definisce il procedimento penale, occorre avere riguardo alla data di adozione dell’atto da parte della P.A., in applicazione della regola più generale secondo cui la decadenza è impedita dal compimento dell’atto tipico entro il termine indicato, mentre – se l’atto ha carattere recettizio – la sua conoscenza (o conoscibilità) da parte del destinatario rileva esclusivamente ai fini della produzione degli effetti dell’atto, a meno che essa non sia prevista come elemento costitutivo della fattispecie impeditiva nella fonte che contempla la decadenza, previsione che non si rinviene negli artt. 55-bis e 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001 né nella contrattazione collettiva (Cass. Sez. L, 03/06/2021, n. 15464).
Nella specie, il principio risulta pienamente applicabile per confermare il rispetto del termine previsto per la conclusione del procedimento disciplinare, precisando che la misura sanzionatoria è stata tempestivamente adottata dall’ente con il verbale, che è proprio l’atto impugnato in giudizio dalla dirigente.
4. Con il quarto motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., con riferimento alla asserita carenza di istruttoria del procedimento, in relazione alla giustificazione delle assenze siccome dedotta dalla ricorrente e di cui sarebbe stata omessa la considerazione da parte dei giudici di merito.
4.1. Il motivo, nei termini formulati, presenta plurimi profili di inammissibilità, in primis perché non è correlato alla decisione assunta dalla Corte d’appello nella parte in cui ha affermato che la dott.ssa R. ha inteso giustificare le assenze mediante una mera autocertificazione della partecipazione ad eventi formativi «senza fornire alcun attestato di partecipazione, a fronte della richiesta dell’azienda».
Pertanto, contrariamente a quanto assunto nel motivo, la Corte territoriale ha espressamente considerato le giustificazioni addotte, risolvendosi ogni ulteriore deduzione in proposito in un’inammissibile sollecitazione a rivalutare la ricostruzione fattuale operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (in tal senso, fra molte, Cass. 6-3, 14/04/2017, n. 8758).
5. Con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza, ai seni dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., derivante da violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., e artt. 24 e 111, comma 6 Cost. e art. 6 CEDU ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., in relazione alla motivazione addotta nella sentenza impugnata per ritenere rispettato il diritto di difesa.
5.1. Il motivo è palesemente infondato posto che la Corte d’appello ha espressamente motivato l’infondatezza dell’eccezione relativa alla violazione del diritto di difesa osservando che «la dott.ssa R. è stata convocata per essere ascoltata e ha inteso non partecipare in presenza.
Le note difensive della stessa sono state, tuttavia, esaminate dall’ufficio disciplinare – come ammesso dalla stessa appellante – anche se non condivise.
Non può riscontrarsi alcuna violazione del diritto di difesa.». Non ricorre, pertanto, il dedotto vizio, in quanto la motivazione espressa attinge sicuramente la soglia del minimo costituzionale ex art. 111 Cost. (v. fra molte Cass. Sez. 1, 03/03/2022, n. 7090, secondo cui nella vigente disciplina il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali), dovendosi, pertanto, escludere la violazione delle richiamate disposizioni costituzionali ovvero della CEDU per essere stato assicurato – come emerge dalla sentenza impugnata – il diritto di difesa, risolvendosi ogni ulteriore censura svolta nel motivo in un’inammissibile ricostruzione dei fatti alternativa a quella resa dal giudice di merito.
6. Con il sesto motivo, si deduce, ex art. 360, comma primo, n. 5 e n. 3, cod. proc. civ., che la Corte d’appello ha ritenuto fondato l’addebito di assenza ingiustificata con riferimento ad un profilo differente da quello prospettato, trascurando quanto in atti e violando la normativa contrattuale aziendale.
6.1. Il motivo, nei termini formulati, si rivela inammissibile sotto diversi profili in quanto, in primo luogo, non si confronta adeguatamente con la sentenza impugnata, che ha ritenuto incontestata l’assenza per 185 ore e 38 minuti nel periodo dall’1.1.2020 al 20.5.2020 senza preventiva comunicazione e giustificando tali assenze solo mediante una mera autocertificazione; la censura, inoltre, in assenza del requisito della decisività richiesto per il vizio ex n. 5, sollecita – peraltro in maniera non perspicua – dietro lo schema della violazione di legge (inammissibilmente formulato in riferimento ad una contrattazione non nazionale bensì aziendale: fra molte, Cass. Sez. L, 14/01/2021, n. 551) una rivisitazione del materiale istruttorio al fine di pervenire ad un accertamento fattuale – in ordine alla assenza ingiustificata – differente da quello reso dai giudici di merito.
7. Con il settimo motivo si deduce, ex art. 360, comma primo, n. 5 e n. 4, cod. proc. civ., il mancato esame di un profilo decisivo per la legittimità della sanzione, in ordine alla lamentata disparità di trattamento per la prassi aziendale applicata nei confronti degli altri dipendenti e di cui alla richiesta di prova testimoniale, nonché la falsa applicazione dell’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001 in relazione alla proporzionalità della sanzione adottata.
7.1. Anche tale censura si rivela inammissibile, perché difetta l’elemento della decisività con riferimento al prospettato mancato esame, sotto il profilo della lamentata disparità di trattamento, secondo quanto già osservato in ordine al primo motivo, e perché si deduce come violazione di legge la valutazione resa dal giudice di merito in ordine alla proporzionalità della misura espulsiva adottata, insindacabile nella presente sede di legittimità (da ultimo, Cass. Sez. L, 03/01/2024, n. 107, secondo cui n materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia).
Nella specie, la Corte d’appello ha espressamente valutato la proporzionalità della sanzione in relazione alla gravità dei fatti, anche in riferimento all’elemento soggettivo senza incorrere nei vizi rilevabili nel giudizio in cassazione.
8. Infine, con l’ottavo motivo si prospetta la questione relativa alla disciplina delle spese di lite, prospettandone la compensazione, parzialmente o per intero, in deroga al principio della soccombenza.
8.1. La censura è inammissibile, come da consolidato indirizzo di questa Corte (fra molte, Cass. Sez. 5, 31/03/2017, n. 8421, secondo cui, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi).
9. Il ricorso va, dunque, respinto, con conseguente condanna della ricorrente soccombente alla refusione delle spese processuali, liquidate come da dispositivo in ragione dell’attività difensiva svolta.
10. Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio […]”.
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