Differenza retributive, dipendente Inps, svolgimento di incarichi o mansioni corrispondenti ad inquadramento superiore a quello contrattualmente attribuito.

Cassazione, Ordinanza 18 gennaio 2022, n. 1497

CORTE DI CASSAZIONE. Ordinanza 18 gennaio 2022, n. 1497 .

Non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto.

Dal testo dell’Ordinanza 18 gennaio 2022, n. 1497.

“[…] Rilevato che

1. La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 1809 del 2015, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di C.L. avverso la decisione emessa tra le parti dal Tribunale di Lecce;

la L. aveva adito il Tribunale premettendo di essere dipendente dell’INPS dal 26 novembre 2002 con inquadramento nell’area amministrativa B, posizione economica B1, in servizio presso la sede di Casarano; di aver svolto sempre incarichi e/o mansioni corrispondenti alla superiore area funzionale posizione economica C1, in particolare assegnata all’Area Direzione-Risorse Umane per svolgere adempimenti relativi alla gestione del rapporto di lavoro del personale addetto alla sede di Casarano;

aveva, pertanto, chiesto il riconoscimento in proprio favore delle differenze economiche tra quanto percepito e quanto spettante in conseguenza dello svolgimento delle mansioni superiori riconducibili all’area funzionale C, posizione economica C1, con decorrenza dal 26 novembre 2002, con la conseguente condanna dell’INPS al pagamento di quanto così dovuto;

2.il Tribunale aveva accolto la domanda per quanto di ragione e, nei limiti dell’eccepita prescrizione quinquennale, condannato l’INPS al pagamento della complessiva somma di euro 18.257,37 oltre interessi e spese;

3.la Corte d’Appello confermava l’intervenuto svolgimento delle mansioni superiori area C, posizione economica C1, ponendo in evidenza come il discrimine tra l’inquadramento di appartenenza e quella in relazione al quale erano state rivendicate le differenze retributive risiede nella competenza, di base o acquisita, nell’occuparsi rispettivamente di una fase o dell’intero processo produttivo;

disattendeva il motivo di gravame concernente l’indennità di Ente e confermava, pertanto, la quantificazione delle spettanze come effettuata in prime cure con l’inclusione di detta indennità;

4.per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso l’INPS prospettando due motivi di impugnazione;

5.ha resistito con controricorso la lavoratrice.

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del c.c.n.l. 2002-2005, dell’art. 6 dell’Accordo quadro in materia di mansioni superiori del 22 ottobre 2001, dell’art. 24 del c.c.n.l. 1998-2001 e dell’art. 36 Cost.;

con tutti i rilievi, formulati in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., è censurata la statuizione che ha riconosciuto alla lavoratrice anche l’indennità di ente relativa allo svolgimento di mansioni afferenti al superiore profilo C1;

il ricorrente richiama l’art. 26 del c.c.n.l. enti Pubblici non economici 2002- 2005, che disciplina l’indennità di ente;

ripercorre, quindi, il contenuto dell’art. 24 del c.c.n.l. 1998-2001 e dell’art. 6 dell’Accordo quadro in materia di mansioni superiori del 22 ottobre 2001, da cui emergerebbe che alla lavoratrice andava attribuita la differenza delle sole voci retributive “stipendio gabellare” e “indennità integrativa speciale”, ma non anche l’indennità di ente, che costituisce trattamento meramente accessorio, connesso al formale inquadramento del dipendente;

rileva, altresì, che il principio adeguatezza della retribuzione di cui all’art. 36 Cost., deve essere bilanciato con quelli espressi dagli artt. 97 e 98 Cost., secondo cui il rapporto di pubblico impiego deve rispettare l’esigenza di conservare un assetto della pubblica amministrazione rigido e trasparente;

2.il motivo non è fondato (si veda, in fattispecie analoga, Cass. 16 dicembre 2019, n. 33135);

l’indennità di Ente della quale si controverte è stata introdotta con l’art. 26 del c.c.n.l. per il personale del comparto enti pubblici non economici, per il quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio economico 2002-2003, sottoscritto il 9 ottobre 2003 (v. Cass. 18 giugno 2018, n. 16019);

il suddetto art. 26, al comma 2, sancisce che: “L’indennità di ente ha carattere di generalità e natura fissa e ricorrente. Essa viene corrisposta per dodici mensilità”;

tale indennità, quindi, secondo la previsione contrattuale costituisce compenso retributivo fisso e continuativo nell’erogazione;

come questa Corte ha già avuto modo di affermare (v. Cass. 7 aprile 2016, n. 6768), non osta al carattere fisso e continuativo che l’elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto;

tale ultima evenienza non si rinviene nella fattispecie in esame, in cui correttamente, in ragione del carattere fisso e continuativo dell’indennità di ente quale elemento della retribuzione, la Corte d’appello ha disatteso il motivo di gravame dell’INPS e confermato la riconosciuta attribuzione alla lavoratrice di tale indennità nel computo delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori;

3.con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 del c.c.n.l. 1998/2001, dell’art. 9 del c.c.n.l. 2006/2009, dell’art. 1362 cod. civ. con riferimento all’interpretazione delle declaratorie contrattuali delle Aree, nonché dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, come succ. modif.;

espone il ricorrente che la fattispecie in esame era disciplinata da due contratti collettivi, come succedutisi nel tempo;

per il periodo dal settembre 2004 al settembre 2007, doveva trovare applicazione l’art. 24 del c.c.n.l. 1998/2001; per il periodo dall’ottobre 2007 al dicembre 2009 doveva trovare applicazione l’art. 9 del c.c.n.l. 2006/2009;

ad avviso del ricorrente, dalle suddette declaratorie emergerebbe per il periodo 2004/2007 vi sarebbe stata violazione del quadro negoziale di riferimento, essendosi riconosciuto lo svolgimento delle mansioni superiori Cl senza tener conto che la lavoratrice apparteneva all’area B e che, pertanto, in base all’art. 24 del c.c.n.l. di riferimento (secondo “nell’ambito del nuovo sistema di classificazione del personale previsto dal presente contratto, si considerano mansioni immediatamente superiori le mansioni svolte dal dipendente all’interno della stessa Area in profilo appartenente alla posizione di livello economico immediatamente superiore a quella in cui egli è inquadrato”) la predetta avrebbe potuto aspirare solo alle differenze retributive in ragione del passaggio da un profilo all’altro nell’Area di appartenenza;

4. il motivo non è fondato;

con giurisprudenza consolidata (v. tra le più recenti Cass. 31 ottobre 2019, n. 28112; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2102; Cass. 29 novembre 2016, n. 24266 ed in fattispecie del tutto analoghe alla presente, Cass. 33135 del 2019 cit. e Cass. 20 novembre 2019, n. 30232) dalla quale non vi è ragione di discostarsi, non fornendo il ricorrente elementi per mutare orientamento, questa Corte ha affermato che in materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto dell’art. 52, comma 5, d.lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore – e tale diritto non è condizionato alla legittimità dell’assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operativa del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.;

pertanto, deve essere disattesa la deduzione del ricorrente che sollecita un’interpretazione della disciplina delle mansioni superiori di fatto (art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001) che limiti il riconoscimento delle differenze retributive al solo svolgimento delle mansioni immediatamente superiori, facendo riferimento alla relativa nozione introdotta dall’art. 24 del c.c.n.l. enti pubblici non economici 1998/2001, in quanto ciò contrasterebbe, anche nell’ambito del rapporto di impiego pubblico privatizzato, con i principi di cui agli artt. 36, 97 e 98 Cost.;

5. il ricorso deve essere, dunque, rigettato;

6.le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con la distrazione ex art. 93 cod. proc. civ. a favore del difensore della controricorrente, avv. A.C., dichiaratosi antistatario;

7. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma-1 quater, del d.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi all’avv. A.C., antistatario.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto […]”.