(Studio legale  G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)

Corte di cassazione. Ordinanza 17 luglio 2024, n. 19755.

Pubblico impiego. Differenze retributive. Svolgimento mansioni superiori .Inquadramento. Passaggio di categoria. Indennità di coordinamento. Collocazione economica della corrispondente posizione. Differenze retributive. Inammissibilità.

 “[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Rilevato che

1. T.M. ha agito presso il Tribunale di Frosinone nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale (di seguito, ASL) di quella città, rivendicando, quale infermiera professionale, le differenze retributive per lo svolgimento, dal 20.2.2006 al 15.6.2013, delle mansioni superiori di categoria DS, rispetto all’inquadramento in categoria D, oltre all’indennità di coordinamento;

il Tribunale ha rigettato la domanda sull’indennità di coordinamento, mentre l’ha accolta quanto alle differenze retributive rispetto alla categoria DS;

la Corte d’Appello di Roma, raggiunta dal gravame della ASL, lo ha rigettato, evidenziando come la differenza tra la categoria D e la categoria DS consistesse nella posizione sovraordinata, di direzione, coordinamento e controllo, rispetto alle attività altrui ed agli altri lavoratori, mentre la categoria D aveva riguardo alla mera organizzazione operativa di attività;

ha quindi ritenuto che sia le emergenze documentali, sia la prova testimoniale confermassero lo svolgimento di mansioni di capo sala, con risoluzione dei problemi del personale e verso l’utenza, acquisto del materiale della farmacia, organizzazione del personale da ogni punto di vista, attività ritenute dirimenti al fine di comprovare i tratti direzionali maggiori richiesti dalle declaratorie;

2. la ASL ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui la lavoratrice ha opposto difese mediante controricorso;

Considerato che

1. il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.) oltre ad omesso esame di fatti decisivi (art. 360 n. 5 c.p.c.);

con esso si assume, da un primo punto di vista, che la ricorrente non avrebbe svolto alcuna delle attività proprie della declaratoria della categoria DS e si aggiunge, in una diversa prospettiva, che l’acquisizione di tale categoria presupponeva l’inquadramento al 31.8.2001 in posizione D e lo svolgimento a quella data di reali mansioni di coordinamento, requisiti entrambi di cui la M. era priva, essendo inquadrato in categoria C e non svolgendo quelle funzioni;

queste ultime difese sono poi riprese con il secondo motivo, sotto il profilo dell’omesso esame di fatti decisivi (art. 360 n. 5 c.p.c.), consistenti appunto della mancanza di inquadramento in categoria D e di svolgimento di mansioni di coordinamento alla data dirimente;

2. i due motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi;

3. va premesso, perché fondamentale al fine di indirizzare la decisione, come la categoria DS, pur definita dal CCNL 7.4.1999  e nel CCNL 20.6.2001 come “livello economico”, nella contrattazione individui tuttavia una vera e propria mansione;

ciò è reso evidente dalla sussistenza, rispetto ad essa, di una ben precisa declaratoria che vale a differenziare le attività svolte, e non solo la collocazione economica di esse;

ciò costituisce dato acquisito nella giurisprudenza di questa S.C., che ha sempre ragionato rispetto alla categoria DS in termini di mansioni e non di solo rilievo economico della corrispondente posizione;

già Cass. 28 agosto 2018, n. 21258 ha individuato un «tratto che connota le mansioni proprie del livello DS», consistente nella «maggiore ampiezza del grado di discrezionalità, la responsabilità dei risultati conseguiti, la direzione e il controllo delle risorse umane, i poteri di programmazione e di proposta» ed analogamente è stato fatto da Cass. 16 gennaio 2020, n. 818 (punti 5 ss. della motivazione);

senza dubbio, l’evoluzione dall’inquadramento in categoria D a quello in categoria DS ha conosciuto anche una dinamica per così dire formale, conseguente all’inquadramento in categoria D ed al riconoscimento dell’indennità di coordinamento al 31.8.2001 (v. art. 19, lett. b CCNL 19.4.2004) che consente dal 1.9.2003 il passaggio in categoria DS, ma, al contempo, l’identificazione sulla base di una declaratoria connotata nei termini di cui si è detto consente di individuare in quella categoria una vera e propria posizione classificatoria e quindi di ragionare in termini di esercizio di mansioni superiori ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 52 del d. lgs. n. 165 del 2001;

è in questa scia che si inserisce la pronuncia impugnata;

3.1 da ciò deriva intanto l’inconferenza dei ragionamenti contenuti nei motivi con riguardo all’integrazione dei requisiti per il riconoscimento della posizione economica per effetto del possesso della categoria D e della titolarità dell’indennità di coordinamento per reale esercizio, al 31.8.2001, di tali funzioni;

si tratta di uno dei modi di acquisizione di quella categoria, ma non è tale fattispecie quella su cui verte la causa, incentrata invece sui diritti conseguenti all’esercizio di fatto di quelle mansioni;

3.2 a quest’ultimo proposito, nel primo motivo si assume che la ricorrente non avrebbe mai svolto le attività proprie della declaratoria DS del tempo;

si tratta tuttavia di affermazione apodittica, non meglio spiegata e dunque inammissibile, in quanto meramente finalizzata ad ottenere una diversa soluzione di merito, a fronte di una pronuncia che ha invece spiegato come fosse «la stessa documentazione di causa a dimostrare che nel periodo dedotto in giudizio la M. aveva svolto le funzioni “di direzione e coordinamento, gestione e controllo di risorse umane”», per poi trovare ulteriore conferma di ciò in ambito testimoniale e con riferimento a tratti differenziali che sono del tutto coerenti con la declaratoria DS e di cui già si è detto; è del resto noto non come non sia ragione di censura in sede di legittimità il determinarsi di una difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 22 novembre 2023, n. 32505);

4. inammissibile è anche il terzo motivo di ricorso, per evidente errore materiale rubricato anch’esso con il numero 2, attraverso il quale la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e del CCNL di comparto (art. 360 n. 3 c.p.c.) ed assume che la sentenza impugnata avrebbe indebitamente sovrapposto la categoria DS con il diritto all’indennità di coordinamento, trascurando come l’inquadramento della prima non comporti in automatico il riconoscimento della seconda;

il motivo non considera che la sentenza impugnata, confermando la pronuncia del Tribunale, non ha in alcun modo accertato il diritto all’indennità di coordinamento, disconosciuto in prime cure senza che sul punto sia mai stato dispiegato gravame, ma solo il diritto alle differenze retributive rispetto alla categoria DS, come reso evidente dall’intera narrativa processuale contenuta nella sentenza resa in secondo grado;

il motivo è dunque incoerente rispetto al decisum e come tale inammissibile;

5. il ricorso va dunque dichiarato complessivamente inammissibile e le spese del giudizio di cassazione restano regolate secondo soccombenza;

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso […]”.