(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di cassazione – Sentenza 27 marzo 2025, n. 8079
Regime decadenziale. Ritenute previdenziali. Procedimento sanzionatorio. Ricezione degli atti. Termine di 90 giorni per la contestazione. Sanzione amministrativa. Normativa previdenziale. Onere della prova
“[…] La Corte di Cassazione
(omissis)
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione di prime cure e in accoglimento del gravame incidentale svolto dall’attuale parte intimata, ha dichiarato estinta la sanzione amministrativa irrogata dall’INPS, in applicazione del regime decadenziale previsto dall’art. 14 della legge n.689 del 1981 in combinato disposto con gli artt. 6 e 9 del d.lgs. n. 8 del 2016.
2. Decidendo sull’opposizione ad ordinanza ingiunzione con la quale l’INPS aveva ingiunto il pagamento di somme a titolo di sanzione amministrativa per il mancato versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali con riferimento all’art. 2, comma 1-bis d.l. n.463 del 1983, convertito in l.n.638 del 1983, come sostituito dall’art. 3, co.6 . d.lgs. n. 8 del 2016 che aveva depenalizzato parzialmente la fattispecie dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ha accolto l’eccepita decadenza per inosservanza del termine di 90 giorni per la contestazione (in data 18 aprile 2017), computato detto termine dalla data di entrata in vigore della norma di depenalizzazione (6 febbraio 2016).
3. La Corte di merito ha motivato l’applicabilità dell’art. 14 legge n.689 cit., e l’effetto decadenziale estintivo, sperimentando due diversi profili interpretativi: il primo, secondo cui il vuoto normativo in ordine all’inosservanza del termine prescritto dall’art. 9 d.lgs. n.8 del 2016, di novanta giorni dalla ricezione degli atti penali entro il quale l’autorità amministrativa è tenuta a notificare gli estremi della violazione, è agevolmente colmabile, a mente del rinvio dell’art. 6 d.lgs. n.8 cit., tramite il ricorso all’ultimo comma dell’art. 14 legge n.689 del 1981 conseguendo alla violazione l’estinzione dell’obbligazione sanzionatoria; il secondo, in riferimento al doppio passaggio per la trasmissione degli atti dalla sede penale all’autorità amministrativa, prescritto dall’art. 9 del d.lgs. n.8 cit., con onere di allegazione di detto doppio passaggio a carico dell’INPS, con esito interpretativo, ove nulla fosse detto, come nella specie, della ricezione all’autorità amministrativa degli atti trasmessi dalla sede penale e, dunque, detta tempistica fosse inapplicabile, con piena applicabilità, mediante il rinvio dell’art. 6, dell’art. 14 legge n. 689 cit., con particolare riferimento alla fattispecie decadenziale ivi prevista.
4. La sentenza è impugnata dall’INPS, con ricorso affidato ad un unico motivo, avverso il quale ha resistito, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria, R.L.
5. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo rigettarsi il ricorso.
Ragioni della decisione
6. Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, degli artt. 8, comma 1, e 9, d.lgs. n. 8/2016, e dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463/1983 (conv. con l. n. 638/1983), per avere la Corte di merito ritenuto maturata la decadenza dall’esercizio del potere sanzionatorio di cui all’art. 14, l. n. 689/1981, cit.: ad avviso dell’Istituto ricorrente, infatti, la vicenda per cui è causa andrebbe disciplinata esclusivamente sulla scorta degli artt. 8, comma 1, e 9, d.lgs. n. 8/2016, che – nel prevedere la depenalizzazione dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali, già qualificato come illecito penale dall’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463/1983, cit. – hanno bensì previsto, per le fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore, la retroattività della sostituzione della sanzione amministrativa a quella penale e la conseguente restituzione degli atti all’autorità amministrativa affinché quest’ultima proceda a notificare al responsabile gli estremi della violazione, ma senza in alcun modo comminare la decadenza per il caso in cui l’amministrazione non vi provveda entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti.
7. Il motivo è infondato.
8. Va premesso che il d.lgs. n. 8/2016, nel prevedere, all’art. 8, comma 1, che “le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso”, ha disciplinato, all’art. 9, le modalità con cui darvi concreta applicazione, stabilendo anzitutto che “l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi” (comma 1), differenziando in secondo luogo i soggetti a ciò tenuti a seconda che l’azione penale sia già stata o meno esercitata (commi 2 e 3) e disponendo, da ultimo, che “l’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni […] dalla ricezione degli atti” (comma 4).
9. Ciò posto, va rilevato che l’art. 6, d.lgs. n. 8/2016, stabilisce in forma assolutamente generale che “nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689”; e se è indubitabile che la previsione valga anzitutto pro futuro, ossia per le violazioni commesse a far data dalla sua entrata in vigore, non è meno vero che tra le “sanzioni amministrative previste dal presente decreto” debbono intendersi ricomprese anche quelle sanzioni che, a norma del successivo art. 8, “si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso”: prova ne sia, ai fini che qui interessano, che l’art. 9, come s’è già visto, prevede che l’autorità amministrativa debba notificare “gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni […] dalla ricezione degli atti”, vale a dire entro il medesimo termine previsto dall’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente interpretato come termine di decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria (cfr., ex multis, Cass. n. 9456 del 2004 e, da ult., Cass. n. 4345 del 2024).
10. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una soluzione costituzionalmente necessitata ove si consideri che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, l. n. 689/1981, nella parte in cui non prevede un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio mediante l’emissione dell’ordinanza ingiunzione o dell’ordinanza di archiviazione degli atti, la Corte costituzionale ha nondimeno precisato che, in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità deve necessariamente modellare anche “la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere”, in quanto “la previsione di un preciso limite temporale per la irrogazione della sanzione costituisce un presupposto essenziale per il soddisfacimento dell’esigenza di certezza giuridica, in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, nonché di prevenzione generale e speciale”, e la sua individuazione in un momento “non particolarmente distante dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, consentendo all’incolpato di opporsi efficacemente al provvedimento sanzionatorio, garantisce un esercizio effettivo del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost. ed è coerente con il principio di buon andamento ed imparzialità della P.A. di cui all’art. 97 Cost.” (Corte cost. n. 151 del 2021).
11. In altri termini, è il principio di legalità di cui all’art. 23 Cost., in combinato disposto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 e il principio di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97, ad imporre all’interprete di ritenere che il termine previsto all’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, sia un termine di decadenza: diversamente opinando, infatti, l’ “esigenza di contenere nel tempo lo stato di incertezza inevitabilmente connesso alla esplicazione di una speciale prerogativa pubblicistica, quale è quella sanzionatoria, capace di incidere unilateralmente e significativamente sulla situazione giuridica soggettiva dell’incolpato”, resterebbe esclusivamente affidata alla previsione del termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative (art. 28, l. n. 689/1981), che tuttavia, per ampiezza e suscettibilità di interruzione, deve considerarsi “inidoneo a garantire, di per sé solo, la certezza giuridica della posizione dell’incolpato e l’effettività del suo diritto di difesa, che richiedono contiguità temporale tra l’accertamento dell’illecito e l’applicazione della sanzione” (così ancora Corte cost. n. 151 del 2021, cit.).
12. Chiarito, pertanto, che la norma di cui all’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, deve leggersi alla stregua del precetto di cui all’art. 14, comma 2°, l. n. 689/1981, affatto correttamente, nel caso di specie, i giudici territoriali hanno ritenuto maturata la decadenza di cui trattasi: per principio generale, infatti, l’onere della prova dell’osservanza dei termini previsti a pena di decadenza per l’esercizio di un diritto incombe su chi intende esercitarlo (cfr., fra le tante, Cass. nn. 3796 del 1989, 10412 del 1997, 7093 del 2003) e l’INPS, onerato in tal senso, come si evince dalla sentenza impugnata non ha allegato se e quando gli atti, eventualmente trasmessi in sede penale, gli siano stati nuovamente inviati in sede amministrativa.
13. Il ricorso, pertanto, va rigettato.
14. La novità e complessità della questione trattata giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità, mentre, tenuto conto del rigetto del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese […]”.
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