Nota di Luigi Verde
1.Con sentenza n. 12132, dell’8 Maggio 2023, la Corte di Cassazione ha affermato che nella valutazione della possibile ricollocazione del dipendente prima che lo stesso sia licenziato per giustificato motivo oggettivo (GMO), il datore di lavoro deve valutare anche quelle posizioni che, pur ancora ricoperte, saranno disponibili entro un arco temporale prossimo alla data del recesso.
Con tale interpretazione estensiva la S.C. ha ritenuto che la valutazione non dev’essere più cristallizzata al momento del licenziamento ma deve riguardare anche quelle posizioni di cui è imminente la disponibilità.
Nel caso di specie, due dipendenti con mansioni fungibili rispetto a quelle del lavoratore licenziato avevano già presentato le dimissioni e stavano lavorando il periodo di preavviso.
2.I fatti. Un lavoratore impugna il licenziamento irrogatogli per giustificato motivo oggettivo. La Corte d’Appello accoglie il ricorso ritenendo non assolto l’obbligo di repêchage, per non avere la società tenuto in considerazione che, contestualmente all’impugnato recesso, due altri dipendenti avevano rassegnato le dimissioni e dovevano essere sostituiti.
3.La Cassazione -confermando quanto deciso dalla Corte d’Appello- ha rilevato preliminarmente che nell’assolvimento dell’obbligo di repêchage, la condotta datoriale deve essere improntata a buona fede e correttezza. Per i giudici della S., sulla base di un’interpretazione estensiva degli obblighi di correttezza e buona fede che vanno applicati anche nella fase di recesso del rapporto di lavoro, l’obbligo di repêchage deve riguardare anche posizioni lavorative disponibili nel breve termine: la situazione aziendale cristallizzata al momento del licenziamento non è più il perimetro certo in cui valutare la ricollocabilità del lavoratore. Nel valutare la ricollocabilità prima di procedere al licenziamento del dipendente, il datore di lavoro deve prendere in considerazione anche quelle posizioni che, per quanto ricoperte, si rendono disponibili in un periodo prossimo alla data del recesso. Ciò significa, in altri termini, che devono essere prese in considerazione anche le posizioni occupate da lavoratori che svolgono la prestazione a copertura del periodo di preavviso a seguito di dimissioni.
In base ateli presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società e ha dichiarato l’illegittimità del recesso per mancato assolvimento dell’obbligo di repêchage
4.Di seguito alcuni passi della sentenza.
“[…] Ragioni della decisione. […]
9.2. Al giudice del rinvio era stato demandato dalla Corte di Cassazione di accertare se la società era incorsa o meno nella violazione dell’obbligo di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative dove il lavoratore licenziato avrebbe potuto essere utilmente ricollocato. A tal fine era stato chiarito che era il datore di lavoro a dover provare che al momento del licenziamento non v’era alcuna posizione di lavoro, analoga a quella soppressa, dove adibirlo anche per lo svolgimento di mansioni equivalenti e tenendo conto della professionalità acquisita dal lavoratore. Era stato poi demandato alla Corte del rinvio di accertare che la datrice di lavoro, che ne era onerata, per un congruo periodo di tempo successivo al recesso non aveva effettuato alcuna nuova assunzione in qualifiche analoghe a quella rivestita dal lavoratore licenziato. Inoltre, il giudice di legittimità aveva precisato che una eventuale codatorialità avrebbe potuto rilevare solo come elemento indiziario da apprezzare nell’ambito di una valutazione globale di tutti gli altri elementi per verificare la corrispondenza della condotta ad un comportamento improntato a buona fede e correttezza.
9.3. Fatta questa premessa rileva il Collegio che la Corte territoriale non è incorsa in alcuna violazione delle norme indicate.
9.4. Va qui ribadito che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni. Per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., poi, occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (cfr. Cass. 23/10/2018 n. 26769 e anche con specifico riferimento all’art. 2697 v. Cass. n. 13395 del 2018 e n. 15107 del 2013). In sostanza la violazione dell’art. 115 c.p.c. non può riguardare l’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo il caso in cui il giudice nello scegliere e valutare gli elementi probatori abbia omesso di prendere in considerazione risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività senza motivare in concreto le ragioni della irrilevanza ovvero abbia posto alla base della decisione fatti erroneamente ritenuti notori o appartenenti alla sua scienza personale (cfr. Cass. 28/02/2018 n. 4699 e 11/10/2016 n.20382 e recentemente Cass. 26/10/2021 n. 30173).
9.5. Non v’è dubbio poi che la condotta datoriale debba essere improntata a buona fede e correttezza nel verificare in concreto l’esistenza nella sua organizzazione di posizioni disponibili cui adibire il lavoratore il cui posto sia stato soppresso.
9.6. La sentenza della Corte del rinvio si è attenuta ai principi sopra esposti accertando in fatto che contestualmente al licenziamento del G. – responsabile della commercializzazione dei vini prodotti dalla D.S. s.p.a. nell’area territoriale Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – intimato il 3 maggio 2011, due lavoratori con qualifica di area manager di I.S. s.p.a. si erano dimessi e stavano ultimando il periodo di preavviso che sarebbe terminato il successivo 31 maggio 2011. Ha ritenuto quindi provato che in un arco temporale assai breve si sarebbero rese disponibili delle posizioni analoghe a quella già occupata dal G. e soppressa. Ha inoltre accertato che al momento del licenziamento non poteva essere nota alla datrice di lavoro la scelta imprenditoriale della società D.S. di procedere all’assunzione dei dimissionari invece di continuare ad avvalersi del contratto di service in essere con la I.S. s.p.a.. La Corte territoriale ha infatti accertato che tale decisione venne comunicata alla I. solo il successivo 20 giugno 2011 e solo oggi si deduce che la creazione di una nuova ed autonoma rete di vendita da parte della Società D.S. era nota e che per l’effetto le posizioni lavorative ricoperte dai due area manager dimissionari erano oggetto del progetto di riorganizzazione in corso presso la I.S. s.p.a.
Si tratta di circostanze di fatto diverse rispetto a quelle allegate nel corso del giudizio dalla società che, come risulta dalla sentenza oggi impugnata, si è dall’origine difesa affermando che al momento del licenziamento le posizioni lavorative erano ancora coperte. Né l’odierna ricorrente chiarisce come dove e quando tali puntuali allegazioni erano state introdotte nel giudizio. Alla loro novità consegue l’inammissibilità delle deduzioni.
9.7. Va poi sottolineato che, nel contesto fattuale delineato, è corretta la decisione della Corte di merito che ha ritenuto che il datore di lavoro, nel valutare le possibilità di ricollocazione del lavoratore prima di procedere al suo licenziamento, debba prendere in esame anche quelle posizioni lavorative che, pur ancora coperte, si renderanno disponibili in un arco temporale del tutto prossimo alla data in cui viene intimato il recesso. Quando, come nel caso in esame, tale circostanza sia ben nota al datore di lavoro questi ne deve tenere conto diversamente risultando il suo comportamento pur formalisticamente corretto in contrasto con i principi di correttezza e buona fede”.
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