(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo, G.Dobici)
Corte di Cassazione. Sentenza 27 febbraio 2024, n. 8375.
Sicurezza sul lavoro. Infortunio. Attrezzatura priva di protezioni.Responsabilità penale datore di lavoro. Annullamento.
“[…] Fatto
1. Con sentenza in data 22.6.2023 la Corte d’appello di Torino in parziale riserva della sentenza con cui il Tribunale di Aosta con la sentenza in data 27.4.2021 aveva dichiarato T. in qualità di datore di lavoro quale amministratore delegato della (…), colpevole del reato di cui l’artt. 590 commi 1,2 e 3 cod. pen. in relazione all’artt. 583, comma 1 n. 1 cod. pen., condannato alla pena di euro 500 di multa, ricostruite le circostanze attenuanti generiche, ha ritenuto rideterminato la pena in Euro 200,00 di multa.
2. I fatti, come ricostruiti dalle sentenze di merito, sono i seguenti: in data 19.11.2019, tra le ore 9 e 15 e le ore 9 e 30, all’interno dei locali dell’ex officina C.C., D.D., dipendente di B.B. con mansioni di operaio, stava utilizzando un trapano a colonna per forare una guarnizione in gomma. In particolare, aveva stretto nella morsa un pezzo di legno a supporto dell’elemento da forare avente dimensioni leggermente inferiori rispetto alla guarnizione che non consentiva il serraggio del pezzo nella morsa della macchina utensile. L’attrito generato durante la foratura del pezzo comportava lo spostamento del medesimo, proprio a causa del mancato o errato serraggio nella morsa, con conseguente trascinamento della mano sinistra dell’operaio, erroneamente impiegata per trattenere il pezzo durante l’operazione di foratura, cosi che la punta del terzo dito della mano sinistra rimaneva impigliata con arrotolamento dello stesso sull’utensile in moto e conseguente trascinamento e stritolamento del braccio sinistro.
Nel frangente, l’operaio riusciva con la mano destra a premere il pulsante di arresto ed a chiedere aiuto al collega E.E. che in quel momento stava lavorando di spalle sul banco di saldatura il quale lo trasportava all’infermeria dove venivano attivate le procedure di emergenza.
L’infortunato veniva quindi portato all’ospedale di Aosta ove giungeva alle ore 12 e 25.
Veniva quindi ricoverato al reparto di ortopedia e sottoposto ad intervento di riduzione cruenta di frattura di ulna e radio mediante fissazione di placche e viti e dimesso il 29.11.2019 con diagnosi di frattura esposta pluriframmentaria diafisaria distale ulna e radio con lacerazione muscolotendinea. con durata della malattia per 51 giorni.
Dalla successiva indagine, emergeva che nell’officina dove si era verificato il sinistro l’ambiente di lavoro era in fase di conversione a magazzino e solo alcune macchine risultavano collegate alla rete di alimentazione elettrica tra cui due filettatrici, una saldatrice ed il trapano a colonna a causa del quale si era verificato l’infortunio in esame.
L’attrezzatura era stata ereditata dalla società dalla precedente gestione aziendale ed era stata immediatamente scartata in quanto priva di protezioni, marcatura certa, documentazione di sicurezza e manuale di uso e di manutenzione.
In particolare, del trapano era stata stabilita e comunicata la dismissione come risulta dal verbale di riunione del 22.1.2019; il macchinario, tuttavia, era presente in officina, collegato alla rete elettrica e disponibile per le lavorazioni. Alla data del sopralluogo in data 14.1.2020 il macchinario risultava invece dismesso ed il collegamento alla rete elettrica rimosso.
Alla luce di tali emergenze probatorie, il giudice di primo grado ha ritenuto raggiunta la prova della penale responsabilità dell’imputato in quanto, in veste di datore di lavoro, ha posto a disposizione del lavoratore attrezzature non più idonee secondo la normativa vigente e, pur avendone comunicato formalmente la dismissione, non le aveva sostituite con altre e comunque le ha negligentemente lasciate nei locali dell’officina consentendo di fatto ai lavoratori di impiegarle.
Riteneva il giudice d’appello che incombesse sull’odierno imputato l’onere di appurare l’effettiva dismissione o inutilizzabilità del trapano a colonna e delle attrezzature non a norma ancora presenti nei locali dell’azienda essendo prevedibile che i lavoratori le potessero utilizzare.
L’impianto motivatorio della sentenza di primo grado veniva interamente recepito dal giudice d’appello il quale riteneva responsabile il T., malgrado la delega di funzioni in materia di sicurezza in favore di due preposti, F.F. e G.G., limitandosi a mitigare il trattamento sanzionatorio.
3. Avverso detta sentenza l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in un motivo.
Con detto motivo deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. con riferimento agli artt. 43, comma 3, e 590 cod.pen. per essere stata affermata la responsabilità dell’imputato in difetto del profilo soggettivo della colpa. Si assume che la prospettiva offerta dai giudici di merito sembra evocare una responsabilità da mera posizione in difformità dagli orientamenti di legittimità sul profilo soggettivo nei reati colposi.
Il datore di lavoro aveva deliberato la dismissione del macchinario pericoloso ed aveva incaricato dell’esecuzione il preposto sotto il controllo del direttore tecnico. Inoltre aveva provveduto ad allestire una nuova officina dove erano stati allocati i nuovi macchinari e le attrezzature conformi rimaste.
L’esecuzione della dismissione delle attrezzature non conformi veniva affidata dall’imputato al preposto G.G. con ordine impartito alla presenza del direttore tecnico suo superiore F.F..
La settimana prima dell’infortunio il direttore tecnico si era accorto che l’ordine impartito non era stato eseguito richiamando all’esecuzione dello stesso il preposto G.G. e di tale scoperta non veniva informato il datore di lavoro né altri non impiegando il modulo appositamente predisposto per la prescritta eventuale segnalazione.
Infatti, l’organizzazione aziendale prevedeva, fin dal 2017, per la rilevazione delle situazioni di pericolo e di non conformità la trasmissione da parte del soggetto responsabile in favore del datore di lavoro di un apposito modulo e nessuno dei preposti ebbe a segnalare il mancato o ritardato adempimento della prescrizione ricevuta.
Pertanto, dall’angolo visuale soggettivo e personale della colpa occorre chiedersi quale fosse la possibilità del T. di rispettare effettivamente la regola cautelare del non porre a disposizione un macchinario non conforme. Inoltre non sarebbe stato indagato il profilo della c.d. causalità della colpa, non avendo la Corte d’appello individuato in alcun modo il comportamento alternativo lecito.
3. La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
1. Il ricorso é fondato.
La censura, che reitera la doglianza già proposta come motivo di appello, é volta a contestare l’attribuzione della penale responsabilità all’odierno imputato, in qualità di datore di ‘lavoro, quale amministratore delegato della B.B., sul rilievo che lo stesso non solo avrebbe deliberato in data 19.1.2019 la dismissione delle attrezzature ereditate dalla vecchia società H.H., tra cui appunto il trapano a colonna che avrebbe causato l’incidente, ma avrebbe altresì delegato ai preposti C. e D. la dismissione delle vecchie attrezzature, non potendo quindi avere l’effettiva conoscenza dell’inottemperanza alla disposizione impartita.
I profili attinti dal ricorso involgono la complessità della struttura delle aziende, la conseguente attribuzione della responsabilità penale ai soggetti che vi operano, nonché il tema della delega di funzioni.
E’ indubbio che in tema di infortuni sul lavoro, la delega di funzioni – ora disciplinata precipuamente dall’art. 16 T.U. sulla sicurezza – non esclude l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite e, tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni – che la legge affida al garante – concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; ne consegue che l’obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato – al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo – e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. (Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016, Rv. 267319).
2. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha approfondito il tema della esigibilità del rispetto della regola cautelare proprio con riferimento a casi, come quello in esame, nei quali l’obbligo giuridico trova la propria fonte nell’assunzione di un incarico ed ha sottolineato che, in questi casi, è necessario valutare la situazione di fatto per accertare che il titolare della posizione di garanzia abbia avuto la concreta possibilità di rispettare la regola violata. In questa prospettiva si è sostenuto che i tempi e i modi di apprensione delle informazioni connesse al ruolo rilevano ai fini del giudizio sull’esigibilità del comportamento dovuto e della rimproverabilità dell’atteggiamento antidoveroso (Sez. 4, n. 33548 del 08/03/2022, C., non massimata).
II tema è stato particolarmente approfondito proprio con riferimento alla responsabilità datoriale nella materia degli infortuni sul lavoro. Si è sottolineato, infatti, che la responsabilità per colpa deve essere fondata sull’esigibilità del comportamento dovuto.
Ci si è adoperati, quindi, nel senso di personalizzare il rimprovero rivolto all’autore della condotta e lo si è fatto introducendo una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto, non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta possibilità di uniformarsi alla regola, in ragione delle specifiche qualità personali dell’agente e della situazione di fatto in cui egli ha operato (Sez. 4, n. 1096 del 08/10/2020, dep. 2021, V., Rv. 280188; Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, R., Rv. 276797; Sez. 4, n. 20833 del 03/04/2019, S., non massimata). Ragionando in termini differenti, si porrebbe in capo al datore di lavoro una inaccettabile responsabilità penale “di posizione”, tale da sconfinare nella responsabilità oggettiva ( Sez. 4, n. 20833 del 3-4-2019, non mass.).
3. Occorre altresì considerare che la colpa ha un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura più squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare.
Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’osservanza delle norme cautelari violate (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, E.). Il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella possibilità soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l’osservanza della regola stessa: in poche parole, nell’esigibilità del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che può essere collocato nell’ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all’agente. Si tratta di un profilo della responsabilità colposa cui la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato (Sez. 4, n. 12478 del 19-20.11.2015, P.G. in proc. B. ed altri, Rv.267811-267815, in motivazione; Sez. 4, 3-11-2016, B.).
4. Ebbene, nel caso in esame, la Corte territoriale ha fondato il giudizio di penale responsabilità nei confronti dell’odierno imputato sulla omissione, configurata in termini meramente astratti, dell’obbligo di vigilare sull’osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza da parte dei lavoratori. Senza, tuttavia, confrontarsi in concreto con l’organizzazione aziendale in cui il T. aveva, non solo delegato le funzioni in materia di sicurezza al direttore tecnico ed ad un preposto ma aveva altresì approntato una procedura informativa che, ove attuata, avrebbe assicurato la conoscenza in capo al datore di lavoro del perdurante utilizzo delle attrezzature di cui era stata ordinata la dismissione.
In altri termini, la Corte di merito, dopo aver correttamente enunciato i principi generali disciplinanti la responsabilità del datore di lavoro, non ha, tuttavia, valutato gli elementi, pur acquisiti all’istruttoria, connotanti la organizzazione aziendale de qua alla luce della delega di funzioni in materia di sicurezza e del suo specifico contenuto nonché la concreta possibilità da parte del datore di lavoro, in assenza della prevista segnalazione della situazione pericolosa, di avere contezza della presenza e dell’utilizzo dei macchinari dismessi nell’officina.
5. Ne deriva l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.
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