Riconoscimento della protezione speciale. Corte di Cassazione. Sentenza n. 24269/2023.
Legami familiari e inclusione sociale e lavorativa. Disciplina normativa applicabile.
Nel caso di specie “il ricorrente lamenta che il Tribunale, nel prendere in esame la domanda di riconoscimento della protezione speciale, abbia omesso di effettuare il necessario giudizio di comparazione tra la condizione personale del richiedente asilo in Italia e quella in cui verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio”.
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, “a cui il Collegio intende dare continuità, in tema di protezione internazionale “speciale”, la seconda parte dell’art. 19, comma 1.1, del d.lgs. 286 del 1998, come modificato dal d. l. n. 130 del 2020, convertito con l. n. 173 del 2020 – applicabile ratione temporis nel giudizio di legittimità avverso una decisione resa successivamente all’entrata in vigore della legge, quindi dal 22 ottobre 2020 – attribuisce diretto rilievo all’integrazione sociale e familiare in Italia del richiedente asilo, da valutare tenendo conto della natura e dell’effettività dei suoi vincoli familiari, del suo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno e dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine, senza che occorra procedere ad un giudizio di comparazione con le condizioni esistenti in tale paese, neppure nelle forme della comparazione attenuata con proporzionalità inversa (Cass. 18455/2022; Cass. 36789/2022)”.
“Per completezza deve precisarsi che l’art. 7, comma 1, lettera c), n. 1, del decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20 (Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare), convertito, con modificazioni, nella legge 5 maggio 2023, n. 50 sotto la rubrica «Protezione speciale, vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio, cure mediche e calamità naturali», ha soppresso il terzo e il quarto periodo del comma 1.1. dell’art. 19 del d.lgs. n. 286 del 1998”.
“Il richiamato ius superveniens non trova applicazione nella fattispecie, tenuto conto che lo stesso art. 7, comma 2, stabilisce espressamente che continua ad applicarsi la normativa previgente per le istanze presentate prima dell’entrata in vigore del d. l. n. 20 del 2023, come convertito, nonché «nei casi in cui lo straniero abbia già ricevuto l’invito alla presentazione dell’istanza da parte della Questura competente». Nel caso in esame, la disciplina previgente, che continua ad applicarsi, è quella introdotta dal d.l.n.130/2020, conv. in l.n.173/2020, stante quanto disposto dall’art.15 di detto d.l. e considerato che il decreto impugnato è stato emesso il 20-9- 2021. 4.2.”
“Orbene, il Tribunale, pur avendo dato atto che il richiedente aveva prodotto documentazione attestante il suo inserimento anche lavorativo in Italia, ha denegato la protezione speciale sul rilievo, errato per quanto si è detto, che «l’integrazione sociale, di per sé sola, non è sufficiente a determinare nessuna forma di protezione» (pag.6 del decreto impugnato).
Il Tribunale non ha, dunque, neppure esaminato il fattore dell’integrazione del ricorrente in Italia, obliterando il disposto della seconda parte dell’art. 19, comma 1.1, del d.lgs. 286 del 1998, come modificato dal d. l. n. 130 del 2020, convertito con l. n. 173 del 2020, che deve trovare applicare secondo le coordinate ermeneutiche di cui si è detto, ossia senza che occorra procedere ad un giudizio di comparazione con le condizioni esistenti nel Paese d’origine.
Va, infine, aggiunto che il ricorrente, con sufficiente specificità (pag.21 ricorso), ha dedotto che dal 2017 ha iniziato un importante 10 percorso di integrazione, ha imparato la lingua italiana, ha stretto rapporti sociali e di amicizia a Potenza, ha conseguito la patente di guida e ha prodotto diversi contratti di lavoro.”
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