(Studio legale G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)
Corte di cassazione, sezione lavoro, Sentenza 2 dicembre 2024, n. 30803.
La previsione della L. n. 153 del 1969, art. 22, comma 5, secondo cui “la pensione di anzianità è equiparata a tutti gli effetti alla pensione di vecchiaia quando il titolare di essa compie l’età stabilita per il pensionamento di vecchiaia”, ha chiarito che essa va intesa nel senso che al compimento dell’età pensionabile prevista per la pensione di vecchiaia diviene applicabile tutta la disciplina dettata per tale pensione, ivi compresa quella relativa ai requisiti contributivi..
Lavoro. Diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico. Pensione di vecchiaia. “Neutralizzazione”. Accoglimento.
“[…] La Corte di Cassazione,
(omissis)
Svolgimento del processo
Con sentenza del 14.2.22 n. 143, la Corte d’appello di Lecce rigettava l’appello proposto da C.G., avverso la sentenza del tribunale di Lecce che aveva respinto la domanda proposta da quest’ultimo avverso l’Inps, volta all’affermazione del diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico, nella misura di € 854,10 a decorrere dal febbraio 2010 (data del perfezionamento dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia), attraverso la “neutralizzazione” dei periodi di sfavorevole contribuzione ricadenti negli anni 1997, 1998, 1999 e 2001, con condanna dell’Inps al pagamento degli importi differenziali.
Il tribunale aveva ritenuto inapplicabile il rimedio della cd. neutralizzazione di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 264/94 dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 3 comma 8 della legge n. 297/82 (disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica) nella parte in cui non prevedeva che nel caso di esercizio durante l’ultimo quinquennio di contribuzione, di attività lavorativa meno retribuita da parte di un lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa comunque essere inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell’età pensionabile e ciò, perché la pensione in godimento era stata liquidata nella vigenza della legge n. 421/92 e del d.lgs. n. 503/92, alla stregua del quale l’arco temporale utile per il calcolo della retribuzione pensionabile risultava ampliato rispetto a quello indicato dall’art. 3 comma 8 della legge n. 297/82, con progressiva estensione del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile, in modo tale da farlo coincidere, a regime, con tutta la vita lavorativa dell’assicurato.
La Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, a sostegno dei propri assunti di rigetto del gravame del C., ha ritenuto che alla luce della riforma del sistema pensionistico di cui al d.lgs. n. 503/92 il rimedio nella cd. neutralizzazione non possa più avere ingresso, atteso il raddoppio del periodo utile per la quantificazione del trattamento pensionistico che evidenzia l’intento del legislatore di prendere in considerazione non più, solo, gli ultimi anni di vita lavorativa, ma un arco temporale ben più ampio per modellare il trattamento pensionistico sulla contribuzione accreditata per più anni, così da evitare squilibri finanziari; nella specie, gli anni 1997,1998, 1999 e 2001 erano anni di cui non poteva non tenersi conto ai fini della maturazione del requisito per l’accesso alla pensione di anzianità.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, C.G. ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, mentre l’Inps non ha spiegato difese scritte (ma ha solo depositato procura in calce).
Il PG ha concluso in udienza nel senso del rigetto del ricorso.
Il Collegio riserva sentenza, nel termine di novanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 3 comma 8 della legge n. 297/82 e dell’art. 13 comma 1 lett. a) del d.lgs. n. 503/92, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che il rimedio della neutralizzazione non fosse applicabile alle pensioni successive all’entrata in vigore del d.lgs. n. 503/92, visto che l’art. 13 comma 1 lett. a) continuava a richiamare la legge n. 287/82, (ndr legge n. 297/82) in relazione al calcolo della quota A.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 22 comma 6 della legge n. 153/69 e dell’art. 2 del d.lgs. n. 503/92, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente, la Corte d’appello aveva escluso la possibilità di neutralizzare la contribuzione richiesta in domanda (riferita agli anni 1997, 1998, 1999 e 2001), in quanto, ad avviso della Corte del merito, tali annualità sarebbero state indispensabili ai fini del conseguimento della pensione di anzianità.
Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono fondati, nei termini che seguono.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Il rimedio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, della cd. “neutralizzazione” dei periodi a retribuzione ridotta – il quale ha la finalità di evitare un decremento della prestazione previdenziale in un assetto legislativo non più attuale e incentrato sulla valorizzazione del maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni di lavoro – può trovare applicazione solo nei limiti in cui la pensione sia ancora in tutto o in parte liquidata con il sistema cd. retributivo (Cass. nn. 29967/22, 28025/18, 26442/21, 32775721).
In particolare, questa Corte, nell’interpretare la previsione della L. n. 153 del 1969, art. 22, comma 5, secondo cui “la pensione di anzianità è equiparata a tutti gli effetti alla pensione di vecchiaia quando il titolare di essa compie l’età stabilita per il pensionamento di vecchiaia”, ha chiarito che essa va intesa nel senso che al compimento dell’età pensionabile prevista per la pensione di vecchiaia diviene applicabile tutta la disciplina dettata per tale pensione, ivi compresa quella relativa ai requisiti contributivi, con la conseguenza che diviene astrattamente possibile richiedere la neutralizzazione di quella parte della contribuzione finale che si appalesi non più necessaria in relazione al requisito contributivo proprio della pensione di vecchiaia e la cui sterilizzazione appaia invece idonea a garantire all’assicurato un più elevato trattamento di pensione (così Cass. n. 11649 del 2018).
Così statuendo, questa Corte si è posta in consapevole linea di continuità con la giurisprudenza costituzionale che aveva già avuto modo di dichiarare l’illegittimità costituzionale della L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 8, “nella parte in cui non consente, in caso di pensione di anzianità, che, dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, la pensione debba essere ricalcolata sulla base della sola contribuzione obbligatoria qualora porti ad un risultato più favorevole per l’assicurato” (così Corte Cost. n. 428 del 1992): è infatti evidente che in tanto si può predicare l’illegittimità costituzionale della L. n. 297 del 1982 cit., art. 3, in quanto si presupponga che il conseguimento dell’età pensionabile previsto per la pensione di vecchiaia non comporti soltanto l’equiparazione quoad effectum della prestazione di anzianità già conseguita a quella di vecchiaia, ma – ben più radicalmente – il mutamento del titolo in virtù del quale si percepisce la pensione e la conseguente riliquidazione di quest’ultima sulla base del requisito contributivo proprio della pensione di vecchiaia.
Ha però chiarito questa Corte che l’esclusione dal calcolo della pensione dei periodi di retribuzione ridotta non necessari ai fini del perfezionamento dell’anzianità contributiva minima, ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 3, comma 8, non solo può operare solo all’interno del periodo indicato dalla norma, restando in specie inapplicabile al montante contributivo relativo a periodi precedenti l’ultimo quinquennio di contribuzione, ma soprattutto può operare nei limiti in cui la pensione sia ancora in tutto o in parte liquidata con il sistema c.d. retributivo (così da ult. Cass. n. 29667 del 2022): e ciò perchè i trattamenti pensionistici liquidati dopo l’1.1.1993 sono determinati, avuto riguardo alla disciplina di cui alla L. n. 421 del 1992 e al D.Lgs. n. 503 del 1992, sulla base di una progressiva estensione del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile, che obbedisce alla ratio di rendere l’importo della pensione il più possibile aderente all’effettiva consistenza di quanto percepito dal lavoratore nel corso della sua vita lavorativa, di talchè rispetto ad essi non può in alcun modo operare, nemmeno per i lavoratori che, alla predetta data, avessero maturato un’anzianità contributiva utile ai fini pensionistici, un rimedio che, nell’assetto legislativo delineato dalla L. n. 297 del 1982, art. 3, incentrato sulla valorizzazione del maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni di lavoro, aveva l’opposta finalità di evitare che la prosecuzione dell’attività lavorativa comportasse un decremento della prestazione previdenziale (così già Cass. n. 28025 del 2018, cui hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn. 790 e 26442 del 2021 e Cass. n. 29667 del 2022, cit. e da ultimo, in particolare, Cass. n. 4845/23).
Nella specie, pertanto, va rilevato che la Corte del merito ha accertato dall’estratto contributivo del ricorrente, che lo stesso iniziò a lavorare nel 1965 e che ebbe l’ultimo accredito contributivo nel 2001 (diventando titolare di pensione di anzianità dal settembre 2002, cfr. p. 1 della sentenza impugnata), così che, alla data del 31.12.1995, lo stesso aveva un’anzianità contributiva superiore ai 18 anni, con conseguente diritto alla liquidazione, del trattamento pensionistico di vecchiaia, nel febbraio 2010, con il metodo – integralmente – retributivo, essendo lo stesso ricompreso per intero nella quota A.
Stante quanto sopra, al momento del maturare dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, nel febbraio 2010, lo stesso poteva “neutralizzare” l’ultimo quinquennio lavorato (in particolare, gli anni 1997, 1998, 1999 e 2001, quelli maturati in Svizzera) in quanto penalizzanti, per garantirgli il miglior trattamento di quiescenza così come previsto dal sistema interamente retributivo e ciò alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 264/94, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 3 comma 8 della legge n. 297/82 (disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica) nella parte in cui tale norma non prevedeva che nel caso di esercizio durante l’ultimo quinquennio di contribuzione, di attività lavorativa meno retribuita da parte di un lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa comunque essere inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell’età pensionabile.
Ciò, si ribadisce, in quanto gli anni 1997, 1998, 1999 e 2001, nella specie si collocano nell’ultimo quinquennio “lavorato”, prima dell’accesso alla pensione di anzianità ed in ragione del disposto dell’art. 22 comma 5 della legge n. 153 del 1969 secondo cui, “la pensione di anzianità è equiparata a tutti gli effetti alla pensione di vecchiaia quando il titolare di essa compie l’età stabilita per il pensionamento di vecchiaia”.
Pertanto, può affermarsi che gli anni di cui si chiede la neutralizzazione ricadono nell’ultimo quinquennio della pensione di vecchiaia, mentre quello che la Corte del merito dovrà accertare, in sede di rinvio, è se i contributi di cui il ricorrente chiede la neutralizzazione ricadano tutti effettivamente nella quota A, in quanto ciò dipende anche da come sia stata liquidata al C. la pensione in corso di godimento.
In accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Lecce, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione […]”.
Commenti recenti