Ripristino dei controlli alle frontiere per motivi di ordine pubblico e di sicurezza interna. Condizioni.
Conclusioni dell’avvocato generale nelle cause riunite C-368/20 e C-369/20. 6 ottobre 2021.Conclusioni dell’avvocato generale nelle cause riunite C-368/20 e C-369/20. 6 ottobre 2021.
Secondo l’avvocato generale Saugmandsgaard Øe, uno Stato membro che si trovi di fronte a minacce gravi persistenti per l’ordine pubblico o la sicurezza interna può ripristinare i controlli alle proprie frontiere interne per un periodo anche superiore a sei mesi.
Tuttavia, il superamento di tale termine è soggetto a condizioni particolarmente restrittive.
1. Quali limiti impone il diritto dell’Unione europea (UE) agli Stati membri che invocano la sicurezza nazionale per reintrodurre temporaneamente i controlli alle frontiere all’interno dell’area Schengen? A questa domanda ha dato una prima risposta l’Avvocato generale nelle sue conclusioni del 6 ottobre 2021, sulle cause riunite 368/20 e C-369/20.
In linea di principio, lo spazio Schengen è uno spazio senza frontiere interne e i controlli sistematici alle frontiere sono stati aboliti dal 1995. In via eccezionale, il codice frontiere Schengen prevede la possibilità per gli Stati membri dell’UE di reintrodurre i controlli alle frontiere per motivi di ordine pubblico e di sicurezza interna, entro il termine massimo complessivo di due anni. Attualmente, cinque Stati membri dell’UE (Germania, Francia, Austria, Danimarca e Svezia) e la Norvegia dispongono di tali controlli alle frontiere all’interno dell’area Schengen.
I casi in esame mettono in dubbio la legalità dei controlli alle frontiere introdotti dall’Austria sul confine meridionale con la Slovenia nel 2015 e rinnovati fino ad oggi. Ciò che è essenzialmente in gioco nei due casi in questione è l’equilibrio tra libera circolazione e sicurezza nazionale. Da un lato, la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone resa possibile dall’assenza di frontiere interne è “parte del nostro stile di vita europeo” e “un simbolo dell’interconnessione dell’Europa” (Comunicazione della Commissione, 2 giugno 2021). Dall’altro, la sicurezza nazionale è strettamente connessa alla sovranità degli Stati membri. Le minacce alla sicurezza nazionale invocate dagli Stati membri per giustificare la reintroduzione dei controlli alle frontiere includono la cosiddetta crisi migratoria, la prevenzione del terrorismo e, più recentemente, la pandemia di Covid19.
I casi riuniti rappresentano un esempio da manuale di contenzioso strategico. Il richiedente è uno studioso di diritto dell’UE e internazionale presso l’Università di Amsterdam. Il 16 novembre 2019 si è rifiutato di mostrare i suoi documenti a un valico di frontiera tra la Slovenia e l’Austria ed è stato multato di conseguenza. In seguito ha impugnato sia la multa di 36 euro che lo stesso controllo di frontiera davanti al tribunale amministrativo provinciale della Stiria. Il 5 agosto 2020, il giudice austriaco ha presentato una domanda di pronuncia pregiudiziale chiedendo se varie disposizioni del diritto dell’UE dovessero essere interpretate nel senso che ostano a una normativa nazionale sotto forma di successivi decreti austriaci che prorogano i controlli alle frontiere.
2. NW veniva condannato, in Austria, al pagamento di un’ammenda di EUR 36 per aver attraversato la frontiera sloveno-austriaca a Spielfeld nell’agosto 2019 senza essere munito di un documento di viaggio valido. Infatti, NW si era rifiutato di esibire il passaporto all’ispettore che glielo chiedeva, ritenendo che il controllo alle frontiere interne dello spazio Schengen fosse in contrasto con il diritto dell’Unione. Nel novembre 2019 NW veniva nuovamente sottoposto a un controllo mentre si apprestava a entrare con la sua autovettura in Austria (di nuovo a Spielfeld) in provenienza dalla Slovenia.
NW contestava questi due controlli e l’ammenda dinanzi al Landesverwaltungsgericht Steiermark (Tribunale amministrativo regionale della Stiria, Austria). Il giudice ha chiesto alla Corte di giustizia di interpretare il diritto dell’Unione e in particolare il codice frontiere Schengen[1] , che mira a garantire l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne.
Il Landesverwaltungsgericht Steiermark spiega che l’Austria ha ripristinato i controlli alla frontiera con la Slovenia nel contesto della crisi migratoria a decorrere dal mese di settembre 2015. In seguito, tali controlli sono stati prorogati sulla base di diverse eccezioni previste dal codice frontiere Schengen.
All’epoca dei controlli controversi, ossia nel 2019, l’Austria si era già avvalsa di una medesima eccezione[2] più volte di seguito, ogni volta per una durata di sei mesi. Tale eccezione autorizza gli Stati membri, in circostanze eccezionali in cui si trovano di fronte a una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, a ripristinare temporaneamente, nel rispetto di determinate condizioni, il controllo di frontiera alle frontiere interne. Tuttavia, il codice prevede a tal riguardo una durata massima di sei mesi.
In tale contesto, il Landesverwaltungsgericht Steiermark desidera sapere se il codice frontiere Schengen osti a una nuova applicazione dell’eccezione in questione nel caso in cui uno Stato membro, allo scadere del periodo di sei mesi, si trovi ancora di fronte a una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna.
3. Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Henrik Saugmandsgaard Øe propone di rispondere in senso negativo.
Tuttavia, ove si tratti sostanzialmente di una prosecuzione della minaccia grave precedente (una «minaccia rinnovata»), egli ritiene che, ai fini di una siffatta nuova applicazione, il principio di proporzionalità implichi che siano rispettati criteri particolarmente rigorosi.
L’avvocato generale considera che un’interpretazione secondo cui l’eccezione non può essere nuovamente applicata più volte consecutive rischierebbe di portare a risultati inaccettabili, se non assurdi.
Infatti, le minacce gravi per l’ordine pubblico o la sicurezza interna non sono necessariamente limitate nel tempo.
Inoltre, e soprattutto, una siffatta interpretazione rischia di pregiudicare le competenze relative al mantenimento dell’ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza interna riservate agli Stati membri. Infatti, se uno Stato membro fosse costretto ad abolire un controllo di frontiera strettamente necessario alla scadenza del periodo di sei mesi, tale Stato membro sarebbe impossibilitato ad esercitare le competenze e le responsabilità che gli incombono. Secondo l’avvocato generale, non è concepibile che il legislatore europeo abbia avuto l’intenzione di ottenere un simile risultato e, di conseguenza, di escludere la possibilità di una nuova applicazione dell’eccezione in questione, in caso di «minaccia rinnovata».
Egli rammenta, in particolare, che il codice frontiere Schengen mira non solo a garantire l’assenza di qualsiasi controllo alle frontiere interne, ma anche a preservare l’ordine pubblico e a contrastare tutte le minacce per l’ordine pubblico. Pertanto, le competenze e le responsabilità degli Stati membri in tale settore non possono essere circoscritte da limiti temporali assoluti.
Pur essendo dell’avviso che occorra interpretare il codice frontiere Schengen nel senso che esso consente, in linea di principio, una nuova applicazione dell’eccezione in questione in caso di «minaccia rinnovata», l’avvocato generale ritiene tuttavia che, quando la minaccia grave di cui trattasi è, in sostanza, simile alla minaccia grave precedente, il requisito di proporzionalità comporti notevoli limitazioni sotto tale profilo, in quanto pone condizioni particolarmente restrittive ai fini di una siffatta nuova applicazione.
Lo Stato membro interessato deve segnatamente spiegare, sulla base di analisi concrete, oggettive e circostanziate in materia, da un lato, perché il rinnovo del controllo sia adeguato, valutando quale sia stato il grado di efficacia della misura iniziale di ripristino del controllo. Dall’altro lato, lo Stato deve precisare perché quest’ultimo sia ancora un mezzo necessario, illustrando le ragioni per cui nessun’altra misura meno coercitiva sarebbe sufficiente, come, ad esempio, l’impiego del controllo di polizia, dell’intelligence, della cooperazione di polizia a livello dell’Unione nonché della cooperazione di polizia internazionale.
Peraltro, quando si tratta, come nel caso di specie, di una nuova applicazione reiterata più volte di seguito, la condizione di proporzionalità rafforzata diverrà, di conseguenza, sempre più restrittiva a ogni nuova applicazione.
Secondo l’avvocato generale, la Commissione, alla quale una siffatta misura deve essere notificata prima della sua adozione (così come agli altri Stati membri), deve ogni volta verificare minuziosamente se tale condizione sia soddisfatta. A tale riguardo, egli si rammarica del fatto che la Commissione non abbia emesso un parere, conformemente al codice frontiere Schengen, sulle notifiche inviatele dall’Austria, sebbene le consideri prive di fondamento.
Infine, l’avvocato generale ritiene che, quando uno Stato membro sottopone cittadini dell’Unione a una verifica sulle persone alle frontiere interne, in conformità con i requisiti del codice frontiere Schengen, tale verifica è parimenti conforme al diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, quale garantito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Ne risulta che l’eventuale imposizione di una sanzione per violazione dell’obbligo di esibire un passaporto o una carta d’identità non è, in tali circostanze, contraria al diritto dell’Unione.
Note
[1]Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), come modificato dal regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 settembre 2016.
[2]Prevista dall’articolo 25, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen.
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