(Studio legale G.Patrizi, G.Arrigo,G.Dobici)

Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza depositata n. 2872 il 31 gennaio 2024.

Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116, cod. proc. civ., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché, come nella specie, risulti logico e coerente il valore preminente attribuito agli elementi utilizzati.

Lavoro- Recesso dal rapporto dirigenziale a tempo determinato-Obbligo di esclusiva-Conflitto di interessi e lesione del vincolo fiduciario- Responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare-Intervento del comitato dei garanti-Incompatibilità ambientale-Rigetto

Corte di Cassazione, sentenza n. 2872/2024.

“[…] Svolgimento del processo.

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4186 del 2014 – oggetto di cassazione con rinvio da parte della sentenza Cass. n. 32258 del 2019 – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, che aveva rigettato tutte le domande proposte da V.D.V. nei confronti dell’Azienda Policlinico Umberto I, dichiarava illegittimo il recesso dal rapporto dirigenziale a tempo determinato intimato dall’appellata il 17 ottobre 2006 e condannava l’Azienda al pagamento delle retribuzioni che sarebbero maturate sino all’originaria scadenza dell’incarico, quantificate in complessivi euro 164.300,00.

2. Questa Corte, con la sentenza n. 32258 del 10 dicembre 2019, nell’accogliere il ricorso dell’Amministrazione, cassando con rinvio la suddetta sentenza di appello n. 4186 del 2014, ha affermato che la Corte territoriale, muovendo dall’erroneo presupposto che nel rapporto dirigenziale il potere di recesso del datore di lavoro pubblico sia in ogni caso condizionato dall’emissione del parere obbligatorio del Comitato dei garanti, non ha accertato la natura della responsabilità contestata al D.V., che andava, invece, valutata, sulla base dei criteri indicati, giacché in caso di addebiti non riconducibili alla responsabilità dirigenziale, nessuna incidenza sulla validità della sanzione irrogata avrebbe potuto avere la mancata formulazione del parere.

Il ricorso era fondato anche nella parte in cui addebitava alla sentenza impugnata di avere erroneamente affermato che il Comitato dei Garanti, nell’adottare il regolamento interno finalizzato a disciplinare le modalità di funzionamento dell’organo, potesse incidere anche sui termini del procedimento, stabilendone la sospensione nei mesi estivi.

3. La Corte d’Appello di Roma, decidendo in sede di rinvio, con la sentenza 2270 del 2022, ha rigettato l’appello proposto dal lavoratore avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 17061 del 18 novembre 2009 e ha condannato V.D.V. alla restituzione, all’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I di Roma, della somma netta di euro 139.018,53 oltre accessori dal pagamento al saldo.

4. La Corte d’Appello di Roma, in sede di rinvio, ha valutato l’idoneità degli addebiti, contestati al dirigente, a fondamento del recesso che gli è stato intimato.

L’Azienda contestava due addebiti al dirigente, consistenti nell’aver creato una situazione di incompatibilità ambientale e nell’aver assunto l’incarico di amministratore unico di società, in violazione del vincolo di esclusività del rapporto di lavoro.

Afferma la Corte d’Appello che la contestazione non atteneva al raggiungimento degli obiettivi della dirigenza, bensì alla correttezza dell’adempimento nella prestazione.

Il contratto stipulato il 15 maggio 2002, poi rinnovato il 4 maggio 2005, prevedeva all’art. 3, l’obbligo di svolgere, a tempo pieno e con impegno esclusivo in favore dell’Azienda, le funzioni di responsabile dell’UOC di ingegneria clinica.

Era invece incontroverso che il dirigente avesse violato l’obbligo di esclusiva assumendo la carica di amministratore unico della società G. srl, che aveva ad oggetto la vendita il noleggio, la manutenzione di apparecchiature elettromedicali.

Tale impegno, oltre a risultare in contrasto con l’impegno obbligo di prestare servizio esclusivo presso la UOC di ingegneria clinica del Policlinico, determinava una situazione di palese conflitto di interessi posto che l’Azienda ospedaliera attraverso la UOC diretta dal D.V. era committente di appalti e forniture di apparecchiature elettromedicali, e la società G. aveva nel suo oggetto sociale la vendita e la manutenzione di apparecchiature elettromedicali.

Dunque, l’assunzione dell’incarico di amministratore presso la suddetta società aveva definitivamente leso il vincolo fiduciario, particolarmente intenso, che avrebbe dovuto legare il dirigente all’azienda presso la quale applicava il ruolo di responsabilità.

La situazione di conflitto di interessi era palesata nella avocazione in capo al D.V., da parte dello stesso, di tutte le competenze relative al controllo della gestione dell’appalto di manutenzione e nella tenuta dei rapporti per conto dell’Azienda con il tecnico specialistico socio della società di cui il D.V. era amministratore.

Nell’atto introduttivo del giudizio il ricorrente riconosceva di aver assunto la carica di amministratore unico della suddetta società il 25 gennaio 2005, in costanza del primo rapporto di lavoro instaurato con la UOC ingegneria clinica con decorrenza dal 16 maggio 2002, e di essersi successivamente dimesso ad aprile 2005.

5. Per la cassazione della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello in sede di rinvio ricorre V.D.V. prospettando quattro motivi di ricorso, assistiti da memoria.

6. Resiste con controricorso l’Azienda.

7. Il Procuratore Generale ha depositato anche requisitoria scritta con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

1. In via preliminare, deve osservarsi che, come già affermato da questa Corte (Cass., n. 15009 del 2019), non si ravvisano profili di incompatibilità nei confronti di alcuni componenti del collegio che hanno esaminato il precedente ricorso per Cassazione nell’ambito del medesimo giudizio (sentenza n. 32258 del 2019).

Come hanno avuto modo di sottolineare le Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio di legittimità non si riferisce direttamente alla domanda proposta dall’attore, bensì alla decisione già assunta su tale domanda al fine di verificarne, appunto, la correttezza; pertanto, qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio può essere composto anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (v. Cass., S. U., n. 24148 del 2013).

Le Sezioni Unite hanno, invero, ritenuto che non sussiste la concreta possibilità che il giudice che abbia partecipato al precedente giudizio di legittimità sia meno libero di decidere o sia condizionato dalla volontà di ‘difendere’ la precedente decisione di legittimità.

2. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 384, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ. – errata determinazione dei limiti del giudizio di rinvio – mancato rispetto dei principi di diritto.

È censurata la statuizione con cui la Corte d’Appello ha ritenuto che non rientrava nel suo sindacato disquisire sulla natura della responsabilità imputata D.V. dell’azienda, né sull’attività o meno del parere del Comitato dei garanti.

Ciò, in quanto la Corte di cassazione con la sentenza rescindente aveva affermato che la Corte d’Appello non avrebbe accertato la natura della responsabilità imputata al lavoratore. Il motivo richiama la statuizione della sentenza n. 32258 del 2019, prospettando come ad esso non avrebbe dato attuazione la sentenza di secondo grado.

3. Il motivo non è fondato.

La Corte d’Appello, benché ha statuito che dopo la sentenza di cassazione con rinvio n. 32258 del 2019 non era possibile «ulteriormente valutare se gli addebiti contestati costituivano ipotesi di responsabilità dirigenziale o se l’indissolubile intreccio tra la responsabilità dirigenziale e la responsabilità disciplinare fosse tale da richiedere l’intervento del comitato dei garanti», ha rilevato che l’Azienda resistente ha contestato due addebiti al lavoratore, consistenti nell’avere creato una situazione di incompatibilità ambientale e nell’aver assunto l’incarico di amministratore unico di società, in violazione del vincolo di esclusività del rapporto di lavoro.

Ha perciò concluso che l’addebito mosso al ricorrente non atteneva al raggiungimento degli obiettivi dirigenziali bensì alla correttezza dell’adempimento della prestazione.

La Corte d’appello, dunque, ha in ogni caso accertato la natura dell’addebito contestato al ricorrente, come demandato dalla sentenza rescissoria, riconducendola all’ambito disciplinare ed escludendo che fosse riferibile agli obiettivi aziendali.

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e 116, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ. (travisamento delle prove).

Espone il ricorrente che la contestazione di addebito aveva ad oggetto la qualifica di amministratore unico della società dal 25 gennaio 2005 al 30 giugno 2005, laddove in data 15 aprile 2005 esso ricorrente avrebbe avocato a sé tutta l’area della manutenzione delle apparecchiature elettromedicali, e in data 28 aprile 2005 avrebbe tenuto un’interlocuzione con il sig. P.A., tecnico specialista dell’ATI con cui il ricorrente avrebbe avuto un rapporto di subordinazione, essendo il tecnico socio della società G..

Assume il ricorrente che tali fatti sono errati e contrari ad atti e documenti.

Infatti, esso ricorrente era stato amministratore della società senza percepire alcun compenso per 73 giorni, dal 25 gennaio 2005 al 4 aprile 2005.

l contratto di lavoro da cui Policlinico era receduto era stato sottoscritto il 4 maggio 2005, con efficacia dal successivo 16 maggio 2005.

Pertanto, la carica era stata assunta non in costanza del contratto per cui il Policlinico aveva esercitato il recesso. Non aveva svolto attività retribuita per detta società e non aveva lavorato per la medesima, che era stata non operativa.

Erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto che la società G. fosse società che partecipava alla società ATI, che aveva vinto l’appalto per la manutenzione dell’apparecchiature del Policlinico.

Deduce, quindi, che non aveva svolto attività in conflitto di interesse e che la carica di amministratore unico era stata assunta e dismessa prima della sottoscrizione del rapporto di lavoro con il Policlinico.

5. Il motivo è inammissibile in quanto, pur rubricato violazione di legge, si sostanzia nella richiesta di un riesame della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte d’Appello.

Occorre ricordare il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al Giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex aliis, Cass. nn. 17702 del 2015, 13485 del 2014, 16499 del 2009, 21412 del 2006).

Ciò, in particolare, ove la Corte d’Appello considera che il contratto di lavoro stipulato il 15 maggio 2002 era stato rinnovato il 4 maggio 2005, ma che la carica di Amministratore era stata assunta in data 25 gennaio 2005, in costanza dunque del primo rapporto di lavoro instaurato con la UOC Ingegneria clinica, con decorrenza 16 maggio 2002, operando così una valutazione delle risultanze probatorie e non un travisamento dei fatti.

Analoghe ragioni di inammissibilità valgono anche con riferimento alle censure relative alla situazione di incompatibilità ambientale addebitata al ricorrente.

Pertanto, nonostante, il ricorrente deduca il travisamento delle prove, dalla lettura del motivo emerge che quel che il ricorrente lamenta è che la Corte d’Appello sia incorsa in molteplici errori di valutazione degli elementi istruttori e non abbia tenuto conto di altri.

Si tratta, dunque, anche con riguardo a tale addebito, di contestazioni alla valutazione in fatto delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte d’Appello, inammissibile in sede di legittimità.

Ciò, anche considerando che (Cass., S.U., n. 19881 del 2014 e Cass., S.U., n. 8053 del 2014) il vizio di motivazione rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.- omesso esame delle risultanze probatorie.

Con tale censura è dedotto il vizio di omesso esame delle risultanze probatorie che inducano a ritenere provati fatti contrari rispetto a quanto affermato nella sentenza impugnata.

7. Con il quarto motivo di ricorso è dedotto omesso esame di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, n.5, cod. proc. civ.- omesso esame della tardività della contestazione.

8. I suddetti motivi sono inammissibili. Le deduzioni del ricorrente che contesta l’accertamento di fatto svolto dalla Corte d’Appello, si sostanziano nella censura della valutazione del materiale probatorio effettuato dalla Corte d’Appello, in particolare quanto alla documentazione prodotta in atti, che è rimessa al giudice del merito.

È applicabile alla fattispecie il già richiamato art. 360 n. 5, cod. proc. civ., nei limiti già sopra richiamati.

Va anche rilevato che l’ “omesso esame” va riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (si v., ex multis, Cass., n. 2268 del 2022).

Rimangono, pertanto, estranee al vizio previsto dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., le censure, che come quelle articolate dalla ricorrente, che nella sostanza sono volte a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2°, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova.

La deduzione del vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.

La valutazione delle prove raccolte anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass., n. 1234 del 2019, n. 20553 del 2019).

La Corte d’Appello, nella fattispecie in esame, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto, in fatto, che fossero provati gli addebiti contestati al lavoratore.

Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116, cod. proc. civ., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché, come nella specie, risulti logico e coerente il valore preminente attribuito agli elementi utilizzati.

9. Il ricorso deve essere rigettato.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso […]”.