(Studio legale  G. Patrizi, G. Arrigo, G. Dobici)

Corte di cassazione Sentenza 12 dicembre 2024, n. 32189

Domanda rivalutazione anzianità contributiva derivante da esposizione ad amianto. Unità produttiva chiusa e lavoratori collocati in mobilità, ma non cessazione totale attività lavorativa dell’azienda.

“[…] La Corte di Cassazione,

(omissis)

Fatti di causa

In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Firenze accoglieva la domanda di B.M. diretta ad ottenere la rivalutazione dell’anzianità contributiva derivante dall’esposizione ad amianto, secondo il coefficiente pari a 1,5 anziché a 1,25, ai sensi dell’art.1, co.115 l. n.190/14.

Riteneva la Corte che al lavoratore si applicasse il beneficio di cui al citato art.1, co.115 l. n.190/14 in quanto l’unità produttiva di Livorno era stata chiusa e tutti i lavoratori erano stati collocati in mobilità, mentre restava irrilevante che l’impresa avesse mantenuto l’attività lavorativa presso altri stabilimenti in diverse città.

Avverso la sentenza ricorre l’Inps per un motivo.

Resiste B.M. con controricorso, illustrato da memoria.

A seguito di infruttuosa trattazione in adunanza camerale, la causa era rinviata all’odierna pubblica udienza.

L’ufficio della Procura Generale ha depositato nota scritta concludendo per l’accoglimento del ricorso.

In sede di camera di consiglio il collegio riservava termine di 90 giorni per il deposito del presente provvedimento.

Ragioni della decisione

Con l’unico motivo di ricorso, l’Inps deduce violazione dell’art.1, co.115 l. n.190/14 per avere la Corte d’appello dato un’interpretazione estensiva della norma, non consentita nel caso di specie; secondo l’Istituto l’interpretazione letterale deve invece portare a concludere che il beneficio della rivalutazione contributiva spetta nel solo caso di impresa che abbia cessato totalmente la propria attività lavorativa.

Preliminarmente è da respingere l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dal controricorrente, per mancata esposizione dei fatti di causa e per genericità del motivo di ricorso.

Dal ricorso emerge quale fosse il tenore dell’originaria domanda; emerge altresì che essa fu respinta dal giudice di primo grado e accolta dal collegio d’appello (v. p.4).

Il motivo è poi sufficientemente specifico nell’argomentare le ragioni del dissenso rispetto alla decisione d’appello.

Tanto premesso, il motivo è fondato nei termini che seguono.

Secondo l’art.1, co.115 l. n.190/14, la rivalutazione contributiva per l’esposizione ultradecennale all’amianto, già riconosciuta con pronuncia avente effetto di giudicato nella misura parti all’1,25, spetta nella misura dell’1,50 per i lavoratori impiegati in “aziende che hanno collocato tutti i dipendenti in mobilità per cessazione dell’attività lavorativa”.

Nel caso di specie è pacifico che l’unità produttiva di Livorno, presso cui era impiegato il controricorrente, ha cessato l’attività lavorativa e che tutti i lavoratori ivi addetti sono stati collocati in mobilità.

L’impresa però ha continuato a svolgere la produzione in altri stabilimenti siti in diverse città d’Italia.

La sentenza impugnata ha ritenuto che la cessazione dell’attività lavorativa potesse riguardare anche una sola unità produttiva, mentre l’Inps ritiene che la norma faccia riferimento alla mobilità di tutti i lavoratori con cessazione totale dell’attività d’impresa.

Il concetto di cessazione dell’attività lavorativa, già prima dell’art.1, co.115 l. n.190/14, è stato usato dal legislatore ad esempio nell’art.24, co.2 l. n.223/91, proprio in materia di messa in mobilità dei lavoratori, e nell’art.54, co.3, lett. b), d.lgs. n.151/01 (il divieto di licenziamento durante il periodo di maternità viene meno in caso di cessazione dell’attività dell’azienda).

La giurisprudenza di questa Corte, quando ha dovuto applicare gli artt.24, co.2 l. n.223/91 e 54, co.3, lett. b), d.lgs. n.151/01, ha inteso la cessazione dell’attività come cessazione totale dell’attività d’impresa e non come cessazione dell’attività entro un singolo stabilimento o unità operativa.

Si è così affermato che l’art.54, co.3, lett. b), d.lgs. n.151/01 opera solo in caso di cessazione dell’intera attività aziendale, e non anche in caso di cessazione dell’attività di un singolo reparto dell’azienda (Cass.18810/13).

Nello specifico ambito dei licenziamenti collettivi e della messa in mobilità, l’art.24, co.2 l. n.223/91 è sempre stato richiamato con riguardo alla cessazione totale dell’attività d’impresa (v. Cass.2161/09 riguardo alla liquidazione dell’Isveimer; Cass. 28461/18).

Vero è che nel sistema delineato dalla l. n.223/91 per la cassa integrazione straordinaria e la procedura di messa in mobilità, cui si richiama l’art.1, co.115 l. n.190/14 nel suo riferirsi alla messa in mobilità di tutti i lavoratori, la cessazione dell’attività (art. 24, co.2 l. n.223/91 e art.1, co.115 l. n.190/14) che giustifica la messa in mobilità è alternativa alla riduzione o trasformazione dell’attività (art. 24, co.1 l. n.223/91); e proprio nella riduzione dell’attività lavorativa può meglio inscriversi il fenomeno della chiusura di uno stabilimento con permanenza di altri stabilimenti in diverse città; mentre la cessazione dell’attività lavorativa presuppone che venga meno l’attività d’impresa.

Tanto detto riguardo al contesto normativo in cui s’inserisce l’art.1, co.115 l. n.190/14, questa Corte (Cass. 26092/24) è già intervenuta sull’interpretazione della predetta norma.

In un caso in cui tutti i lavoratori erano stati messi in mobilità per cessazione dell’attività produttiva che esponeva all’amianto ad eccezione di un addetto a diversa attività di sorveglianza, questa Corte ha affermato che l’attività produttiva che dava luogo ad esposizione amianto era cessata, e tanto rilevava ai fini dell’applicazione della norma, indipendentemente dal fatto che fosse rimasto in forza all’azienda un lavoratore impiegato in diversa attività non implicante esposizione all’amianto.

Applicando tale precedente al caso di specie, deve innanzitutto dirsi che non è rilevante la cessazione dell’attività all’interno di una singola unità produttiva (stabilimento di Livorno), poiché, come detto, a mezzo del collegamento sistematico dell’art.1, co.115 l. n.190/14 con l’art.24, co.2 l. n.223/91, non è determinante la nozione di singola unità produttiva o stabilimento in rapporto alla cessazione dell’attività.

È invece necessario che cessi completamente lavorativa svolta dall’impresa implicante esposizione all’amianto, e che tutti i lavoratori addetti all’attività, sebbene dislocata in più siti dell’impresa, siano collocati in mobilità.

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha applicato l’art.1, co.115 l. n.190/14 circoscrivendo l’indagine al solo stabilimento di Livorno, quando avrebbe dovuto accertare se l’attività lavorativa fonte di esposizione all’amianto fosse limitata a quello stabilimento o presente anche in altri siti produttivi – eventualmente anche mediante svolgimento di mansioni non aventi le medesime caratteristiche di quelle svolte in Livorno ma comunque fonte di esposizione – e se, in tale secondo caso, l’attività fosse cessata completamente e tutti i lavoratori occupati nei vari stabilimenti ed esposti all’amianto fossero stati collocati in mobilità.

La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, per i relativi accertamenti e per la regolazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

 P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese di lite del presente giudizio di cassazione […]”.